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In dirittura di arrivo la revisione del preruolo universitario

Presentato un emendamento al DL 36 sul PNRR: effettivi miglioramenti rispetto al ddl 2285.

30/05/2022
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Dopo un lungo iter parlamentare, la revisione del preruolo universitario ha trovato nella giornata di giovedì 26 maggio una svolta improvvisa e per molti versi inattesa. Il DDL 2285 era in discussione praticamente da un anno alla Commissione cultura, istruzione e scienza al Senato, dopo l’approvazione alla Camera di una proposta di legge pessima, partita con buone intenzioni (accorciare i tempi dell’immissione nei ruoli, eliminare le forme di lavoro atipiche negli atenei, stabilizzare i precari) ma esitata in un articolato che non cambiava l’impianto della Legge 240 del 2010 e, anzi, di fatto lo peggiorava. In quel testo, infatti, si estendeva il lungo percorso per diventare professori universitari, si aumentava il precariato (con borse di ricerca con scarsa retribuzione e senza diritti e tutele), si introducevano inappropriati parallelismi ed intrecci negli Enti Pubblici di Ricerca, non si prevedeva alcuna norma transitoria in grado di dare una risposta all’attuale bolla di precariato (decine di migliaia di ricercatori, assegnisti, collaboratori rimasti bloccati nel decennio in cui l’università ha tagliato strutture e risorse).

La Ministra Messa, in un’audizione congiunta delle commissioni Affari Istituzionali e Istruzione che stanno esaminando il decreto legge 36/2022 (norme sul PNRR), ha invitato infatti ad inserire in questo decreto, tramite emendamenti, le proposte di revisione del preruolo e le norme legate al PNRR che avessero incontrato larga condivisione. In questo quadro, stante i tempi e le dinamiche parlamentari, il Disegno di Legge 2285 è probabilmente destinato a spegnersi con la prossima conclusione della legislatura. Avevamo preannunciato in un comunicato unitario i rischi di questa accelerazione, ribadendo le nostre richieste: diritti, tutele e contributi per tutti/e, con un’unica figura pre ruolo; una radicale riduzione dei percorsi; tenure contenuta nella durata, con parametri oggettivi e omogenei; una reale normativa transitoria nel quadro di un reclutamento ciclico e progressivo.

A fronte dell’invito della Ministra, il Senatore Verducci, relatore del DL 2285, ha presentato nella stessa giornata un emendamento al DL 36/2022, che è quindi di fatto diventato la proposta di ridefinizione del preruolo, inserita in un canale di rapida approvazione nelle due camere (entro il 30 giugno). L’emendamento presenta elementi di innovazione positivi sia rispetto il testo varato dalla Camera dei Deputati un anno fa, sia rispetto il quadro che sembrava delinearsi al Senato. Sebbene non viene messo in discussione la presenza di un precariato strutturale, rimanendo comunque in un impianto che non si discosta dalla Legge 240 del 2010, vengono introdotti elementi di miglioramento rispetto all’attuale condizione del precariato, nella direzione delle rivendicazioni portate avanti in questi anni unitariamente e come FLC CGIL.

La proposta emendativa sul preruolo, infatti, si focalizza su quattro elementi: l’istituzione di contratti di ricerca al posto degli attuali assegni (art. 22 della legge 240/2010), la trasformazione degli RTD a) e B) in un'unica figura tenure (art. 24 della legge 240/2010), alcune norme transitorie, l’introduzione del tecnologo a tempo indeterminato. In pratica, sono stati ripresi larga parte degli emendamenti del relatore al Disegno di Legge 2285 presentati all’inizio di maggio, inseriti direttamente nella legge 240 del 2010 e quindi senza il contesto di altre proposte presenti nel DDL.

Il primo effetto positivo, allora, è quella della scomparsa dell’ipotesi di strutturazione ed estensione delle borse di ricerca. Spariscono cioè le norme che ribadivano una forma atipica e impropria di lavoro nelle università, particolarmente poco tutelata, che in alcuni ipotesi arrivava sino a 36 mesi ed era finanziabile anche con sole risorse interne delle università. Un’ipotesi che non solo avrebbe potuto determinare un sostanziale allungamento del percorso di inserimento nei ruoli (oltre i 12 anni), ma sarebbe potuta diventare lo forma privilegiata di collaborazione alle attività di ricerca, sostituendo così nei fatti gli assegni di ricerca con una figura ancor meno tutelata. Come avevamo segnalato, era uno degli elementi peggiori su cui stava esitando il DL 2285. Anche se le borse di ricerca per ora in qualche modo rimangono, in quanto sono definite a livello di ateneo sulla base di specifiche convenzioni e senza oneri finanziari per l'università (cioè esclusivamente con fondi esterni), per un improprio e vago riferimento al comma 5, lettera f, dell’art. 18 della legge 240 del 2010, citate di passaggio come possibili componenti dei gruppi di ricerca. Uno dei prossimi obbiettivi sarà allora eliminare questo passaggio. In ogni caso, la loro mancata strutturazione ed estensione è oggi una buona notizia.

Il secondo elemento positivo è la sostituzione dell’assegno di ricerca con un contratto. Gli assegni erano una configurazione atipica di lavoro nelle università, senza molte tutele e senza contributi. Vengono sostituiti con un vero e proprio contratto a tempo determinato, su base biennale (con un minimo di stabilità), anche se ci sembra ancora problematica la sua eccessiva durata complessiva (sino a 5 anni, superando nelle università il limite dei 36 mesi vigente per il resto del lavoro). L’emendamento ha introdotto due ulteriori elementi positivi rispetto alle precedenti ipotesi. In primo luogo, la sua retribuzione sarà definita in sede di contrattazione, non meno che un ricercatore a tempo definito: questa nuova figura viene quindi collocata all’interno del personale universitario contrattualizzato, e conseguentemente si potrà e dovrà garantirgli nel CCNL i relativi diritti democratici e sindacali (un elemento cruciale proprio per eliminare ogni condizione atipica nelle università, che era fuori sia dai ruoli sia dal CCNL e quindi esterna ad ogni rappresentanza collettiva). Inoltre, non sono previste differenziazioni dei requisiti di accesso tra i profili di ricercatore e tecnologo, lasciando così definitivamente fuori dalle norme di modifica del preruolo universitario gli interventi sugli Enti pubblici di ricerca, che per complessità e importanza necessitano di una specifica discussione.

Il terzo elemento positivo è l’introduzione di norme transitorie che aprono uno spazio per il riassorbimento dell’attuale precariato. Per la maggior parte, si riprendono le previsioni degli emendamenti del Relatore al DL 2285. Ci sono così alcune proposte positive, come ad esempio la possibilità di poter bandire posizioni da RTDb per i prossimi 12 mesi al fine di non ostacolare l’attuale programmazione; la conferma del limite dei 12 anni per gli attuali precari, con l’esclusione però degli anni impegnati nelle nuove figure; la previsione che gli RTDa e gli assegnisti con almeno tre anni, vincitori di un concorso da RTD tenure, possano esser inquadrati al secondo ed al terzo anno (riconoscendo quindi l’attività pregressa e accorciando i tempi della loro tenure, anche se ci pare incongrua questa differenza tra le due condizioni). Ci sono anche alcune proposte negative: la possibilità di poter bandire posizioni da RTDa per i prossimi tre anni, una figura precaria non più esistente, senza sbocco tra gli RTDb (come oggi), con cui si gonfia una nuova bolla di precariato legata al PNRR su un binario morto e ingabbiato dalle norme PON (l’art. 14 dello stesso DL 36/2022 prevede finanziamenti per oltre 4mila posizioni); vi è anche o la possibilità per altri sei mesi di poter bandire assegni di ricerca, però solo se già programmati.

In questo terzo elemento, spicca l’introduzione di una riserva di posti per il precariato. L’emendamento prevede infatti che per i prossimi tre anni una quota non inferiore al 25 per cento delle risorse dedicate alle nuove posizioni RTD tenure debba esser destinata a chi è stato RTDa o abbia avuto assegni di ricerca per almeno tre anni. Da tempo abbiamo chiesto percorsi di stabilizzazione per il precariato delle università, come avvenuto nel resto del pubblico impiego. Per la prima volta ci sembra che questo principio venga assunto, recependo anche le nostre osservazioni sugli emendamenti al DL 2285, superando una formulazione della riserva che non garantiva nulla (fino a). Certo, la quota di una posizione su quattro è limitata (in particolare rispetto altri percorsi, al 50%), però da una parte viene affermato un principio, a lungo negato, che implica il riconoscimento del precariato storico nel settore; dall’altra la stessa percentuale, rispetto gli emendamenti al DL 2285, viene ora non solo aumentata ma anche resa esigibile. Un passo avanti, di principio e di fatto, che si tratterà ora di consolidare e allargare nei prossimi anni.

Infine, viene inserita la figura del tecnologo a tempo indeterminato. Viene cioè giustamente estesa una posizione che l’art.24 bis della legge 240/2010 prevedeva solo a tempo determinato (di conseguenza pochissimo usata in questi anni) e soprattutto viene ricondotta nel quadro del contratto nazionale, con una positiva operazione complessiva di inclusione nel CCNL delle figure atipiche. Inoltre, si prevede una corretta riserva di posti nelle procedure di assunzione, al 50% per i prossimi tre anni, rivolta al personale tecnico amministrativo in ruolo che ha svolto funzioni di supporto tecnico-scientifico alla ricerca, attività di progettazione e di gestione delle infrastrutture, attività di trasferimento tecnologico.

In questo quadro, al centro dei percorsi preruolo viene inserita la figura del RTD in tenure. Si conferma quindi l’impianto previsto negli emendamenti al DDL 2285: sei anni di durata complessiva (un periodo che valutiamo molto lungo, sebbene ridotto di un anno rispetto al DDL), ma con una valutazione dal terzo anno e per ogni anno successivo nel caso che il titolare abbia conseguito l’ASN. Come abbiamo più volte segnalato tale formulazione presenta delle ambiguità, che si rafforzano con l’inserimento dell’istanza dell’interessato, in un contesto accademico in cui l’elemento cardine è la programmazione e questa domanda può diventare occasione di indebite pressioni. In ogni caso, nel quadro di una programmazione degli enti pubblici che è triennale, riteniamo che questa procedura possa e debba esser vincolante per gli atenei, obbligandoli a prevedere comunque nella programmazione il possibile passaggio a PA al terzo anno. Rimane, in questo quadro, un elemento ambiguo e negativo: la previsione di una prova didattica, quasi offensiva rispetto ad un personale che insegna regolarmente da almeno un triennio e rientra, tra l’altro, nei requisiti ANVUR per l’accreditamento dei corsi. Così, infatti, si rischia di aprire spazi a discrezionalità, in una procedura di valutazione che è già subordinata a regolamenti di ateneo più che a parametri nazionali oggettivi e omogenei.

Nel complesso, questi elementi positivi rimangono inquadrati in un periodo lungo di entrata in ruolo (11 anni). Non viene cioè intaccata l’esistenza strutturale di un precariato nelle università, con un significativo e protratto periodo di impiego: una condizione che da una parte rende i giovani soggetti ad incertezze e (quindi) a pressioni ambientali (limitando la loro autonomia e libertà di ricerca). Rispetto a questo impianto si produce solo un miglioramento nelle condizioni del precariato, assegnando piene tutele a chi era assegnista ed inserendo tutti gli RTD in percorsi tenure, dando infine la possibilità di anticipare l’entrata in ruolo dopo otto anni (cioè dopo il terzo anno da RTD). Spicca, comunque, l’assenza delle positive norme sul dottorato previste dall’art. 3 del DDL 2285: speriamo ci sia occasione di recuperarle in altri e prossimi provvedimenti.

In ultimo, l’emendamento è anche occasione per intervenire sull’inquadramento scientifico-disciplinare della docenza. Come abbiamo segnalato, nei mesi scorsi il Ministero dell’Università e della Ricerca era intervenuto con una proposta di profonda revisione del DM 270/04, che introduceva radicali flessibilizzazioni delle classi di laurea e un sostanziale passaggio dagli SSD ai Settori Concorsuali (da 383 a 190 settori). Una proposta che nel suo combinato disposto, come abbiamo visto in una partecipata assemblea, rischiava di stravolgere il sistema nazionale universitario, divaricando le offerte formative dei diversi atenei. Il CUN ha sostanzialmente fatto propria questa valutazione negativa, esprimendo un parere contrario alla proposta. In questo quadro, nelle ultime settimane il Ministero aveva riavviato un percorso di confronto. L’emendamento si propone allora di sollecitare e indirizzare il CUN sulla questione, nel quadro comunque di alcuni principi che ci paiono importanti. La sostituzione dell’art. 15 della legge 240 del 2010 (quello che istituisce SSD, settori e macrosettori concorsuali) definisce infatti nuovi gruppi scientifico disciplinari, in relazione sia all’abilitazione e alle chiamate, sia all’attività didattica dei docenti (si sostituisce cioè sia gli attuali settori concorsuali sia gli attuali SSD, mentre sembrano sparire i macrosettori). Questi gruppi, in ogni caso, potranno prevedere un’articolazione in Settori Scientifici Disciplinari ai fini degli ordinamenti didattici e delle afferenze: precisazione importante proprio in relazione alle osservazioni avanzate come FLC e come CUN. Inoltre, il loro numero potrà arrivare ai 3/5 degli attuali SSD (cioè intorno ai 230 settori), permettendo quindi una flessibilità rispetto all’ipotesi di schiacciare gli attuali SSD sui Settori Concorsuali. Infine, questa proposta di nuova organizzazione viene affidata al CUN, che avrà un tempo ristretto ma congruo per svolgere i propri lavori (quattro mesi). Quest’accelerazione ci sembra cioè offra alcuni elementi di garanzia. Infine, si interviene sull’articolazione de compiti didattici prevista dal comma 16 dell’art. 1 della legge 230/05 (le ore di didattica frontale  possono  variare  sulla  base dell'organizzazione didattica e della specificità e della diversità dei settori scientifico-disciplinari e del rapporto docenti-studenti), prevedendo che sia regolata non più con un decreto ministeriale, ma ateneo per ateneo (introducendo quindi, molto negativamente, un’ulteriore divergenza tra le sedi nei rapporti di lavoro effettivi dei docenti universitari).

In conclusione, se il testo che sarà approvato rimarrà questo, definito nella convergenza tra richiesta della Ministra e azione del Relatore, cioè in particolare se non ci sarà l’introduzione in qualsiasi forma di una strutturazione delle borse di ricerca, se rimarrà il processo inclusivo delle figure atipiche nel quadro di rapporti di lavoro contrattualizzati, se rimarranno le riserve di posti e l’accorciamento delle tenure per l’attuale precariato, nonostante la presenza di altri evidenti elementi negativi (sopra indicati) possiamo valutare questo passaggio come un effettivo miglioramento rispetto al testo approvato dalla Camera, un avanzamento rispetto il confronto al Senato, un superamento delle condizioni atipiche delineate dalla Legge 240 del 2010 (pur non riuscendo a rompere quello schema di fondo), l’apertura di un primo spazio per percorsi di stabilizzazione del precariato universitario.