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Fondo di Finanziamento Ordinario 2009: come le buone (?) intenzioni producono cattive pratiche

Cresce la protesta negli Atenei per la distribuzione del FFO 2009.

09/09/2009
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A fine luglio il Miur ha reso nota la distribuzione del Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università per il 2009, con la novità di una quota del medesimo Fondo, pari al 7%, circa 525 milioni di euro, attribuiti con criteri premiali sulla scorta di criteri relativi alla qualità della didattica e della ricerca. Occorre subito dire che il riparto non è ancora operativo, e ciò rappresenta già un fatto grave ed inedito; neppure i cronici, storici ritardi avevano raggiunto l’autunno.

La distribuzione prevede un elenco di Atenei che vedono incrementato il loro finanziamento in quanto virtuosi, ed una parte, 27 in tutto, che vede decurtato il finanziamento rispetto al 2008, in una misura che arriva fino ad un – 3%. Nello scorrere la lista, balza immediatamente agli occhi la composizione territoriale dell’elenco: tra i 27 “cattivi”, 3 sono Atenei del Nord, 5 del Centro, 19 del Sud, mentre i più virtuosi sono l’Università di Trento ed i Politecnici di Torino e Milano. La FLC sostiene da sempre, insieme con l’avvio di un sistema efficace di valutazione, la necessità di un sistema di finanziamento che riconosca la qualità; in questo caso, tuttavia, occorrono alcune precisazioni. In primo luogo, è necessario dire che riteniamo assolutamente criticabile l’impianto di fondo che presiede alla distribuzione di tale quota di FFO: in un sistema strutturalmente sottofinanziato come quello italiano, l’idea che la premialità scaturisca tutta all’interno di un Fondo predefinito, e non venga da risorse aggiuntive, significa confermare l’assunto di fondo che ha ispirato fin dal principio l’azione di questo Governo. L’idea, cioè, che vanno curate e perseguite le eccellenze, mentre il resto del sistema può essere abbandonato al suo destino; un’idea in cui non c’è più il sistema universitario nazionale. Premiare la qualità non può essere contrapposto al perseguire il miglioramento dell’intero sistema, a partire dalle parti oggettivamente e storicamente più deboli, quelle del Sud. In questo modo si avvia una spirale nella quale risorse tendenzialmente crescenti del finanziamento (fino al 30%, secondo le dichiarazioni della Ministra), sono destinate anno dopo anno a migrare verso le aree di eccellenza, desertificando la aree più deboli. E’ un processo positivo nelle dichiarazioni, che viene però smentito dai fatti, rivelando il disegno politico sottostante: lo stesso della L.133, con la riduzione del ruolo dello Stato e dell’offerta formativa di sistema, e l’attenzione volta all’eccellenza e alle privatizzazioni. E’ una convinzione diffusa che il sistema universitario del Nord sia mediamente più efficiente di quello del Sud; ed è giusto premiare i risultati. Ma in questo modo, attraverso un’istantanea della situazione, si avvia un percorso senza ritorno che non tiene conto di un processo di innalzamento nel tempo della qualità, e neppure dei delta di miglioramento percentuale che pure molti Atenei stanno realizzando a partire da valori assoluti più bassi; sarebbe quanto meno necessario, a nostro avviso, utilizzare un criterio che misuri, anno dopo anno, quanto nelle realtà più svantaggiate si è fatto per crescere e migliorare, magari sulla scorta di obiettivi specifici da raggiungere. Chi riesce a crescere a partire dalle situazioni più difficili merita almeno tanta cura di chi realizza l’eccellenza a partire da un livello alto.

A ciò si aggiunga il fatto che l’intera operazione si inscrive in un quadro nel quale i tagli veri al finanziamento partiranno dal 2010, con una riduzione di diversi punti percentuali; mentre tutti gli Atenei dovranno ingaggiare una strenua lotta per la sopravvivenza, il meccanismo proposto indica un esito tanto prevedibile quanto inevitabile: il sistema universitario è destinato a perdere pezzi, a contrarsi, a chiudere attività. Una volta di più emerge con chiarezza il fatto che la ratio esclusiva dell’azione di Governo non è lo sviluppo del sistema, ma la riduzione dei costi a scapito del servizio. Gia’ quest’anno si cominciano ad avvertire gli effetti sull’offerta formativa e sulle opportunità di studio che il bricolage dei singoli Atenei, per tener dietro alla riduzione dei fondi, e per aderire alle direttive ministeriali, sta producendo: dal taglio dei corsi di studio in itinere, a modalità organizzative che fanno sparire magicamente i fuori corso, in modo da evitare riduzioni di finanziamento (solo che chi paga sono gli studenti).

Ma, al di là delle scelte di impianto, anche il set di criteri utilizzati presenta evidenti criticità; la più evidente è quella che fa riferimento all’occupazione dei laureati dell’Ateneo. Non occorre una laurea in Economia per capire che il tasso di occupazione dei laureati a Trento, a prescindere da quella rispettabile Università, non è comparabile con quello di Napoli, e che la ragione risiede più nel mercato del lavoro che nella qualità dei rispettivi Atenei, senza nulla togliere al ruolo dell’Università. Così come i dati sulla ricerca assunti sono fortemente datati, e non consentono una lettura fine della qualità effettiva.

Ci sarebbe peraltro da dire anche sulle modalità con cui le decisioni si sono prodotte e vengono gestite: la lista è stata resa nota a fine luglio senza, per quanto ci risulta, che siano state rese note documentazioni di supporto alle scelte. E anche in questo scorcio di settembre non è dato sapere se sono in corso ripensamenti e, se sì, sulla scorta di quali elementi. Si sente dire che sarebbero possibili aggiustamenti “tecnici”: non vorremmo che, in italiano, ciò significasse che è aperta la contrattazione individuale con il Miur per aiutare almeno qualche Rettore più “amico”.
In questo quadro difficile in diverse realtà cresce l’opposizione alla scelta di Governo: va segnalata la netta presa di posizione del Comitato Regionale delle Università della Puglia, che, in un lucido ed equilibrato documento, contesta puntualmente le scelte e motiva la propria contrarietà. E’ opportuno che simili iniziative si moltiplichino, e segnalino la volontà di opporsi ad un destino di minorità dell’Università scritto nel programma di Governo. Ma non è un problema del Sud: anche chi oggi tace, soddisfatto o rassicurato, o semplicemente avvolto nella coperta di un “io speriamo che me la cavo”, deve sapere che l’erosione degli spazi di agibilità e di funzionamento istituzionale è solo questione di tempo, e che probabilmente solo gli eccellenti saranno al riparo dalla tempesta imminente. In tempi di evaporazione di principi e ideologie può parere anacronistico fare appello a principi generali, alla solidarietà, all’interesse generale. Del resto, le picconate quotidiane sul sistema universitario, oltre che convincere l’opinione pubblica, hanno anche questo scopo: cancellare quel collante identitario che caratterizza la comunità universitaria, moltiplicando i particolarismi, i distinguo, amplificando le differenze e le distanze tra persone ed istituzioni. (1)

Noi continuiamo a credere in un sistema nazionale, in una comunità nazionale, con tutti i suoi pregi e difetti, che ha i suoi eroi quotidiani e le sue bassezze. E non ci pare che il prevalere dell’egoismo, che rappresenta oggi la cifra più sgradevole di quest’Italia, sia quello che ci salverà. Per questo chiediamo a tutti, nel difficile autunno che ci aspetta, uno sforzo di condivisione, di assunzione di responsabilità generale, del punto di vista di un sistema nazionale che vogliamo resti tale. Come per la Scuola, anche per l’Università la FLC sarà in campo con iniziative che facciano vivere l’idea di un welfare della conoscenza solidale e universalistico.

(1) Per ragionare di fatti e cifre, invece che di propaganda, è utile consultare il bel libro di Marino Regini, “Malata e denigrata: l’Università italiana a confronto con l’Europa”, Ed. Donzelli, 2009, nel quale, con estrema chiarezza e con l’obiettività neutra dei dati, vengono presentati i principali indicatori che sono stati al centro delle polemiche contro il sistema universitario italiano nei mesi scorsi. L’evidenza che ne scaturisce fa giustizia delle molte sciocchezze circolate nel dibattito pubblico.

Roma, 9 settembre 2009

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