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Dal MIUR filtra una bozza di decreto che stravolgerebbe l’università italiana, sancendo definitivamente la fine dell’unitarietà del sistema

Svelare il tentativo in atto e fermare qualsiasi ipotesi di colpo di mano sull’università!

11/05/2019
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A pochi giorni dall’Intesa firmata dal Presidente del Consiglio con le Organizzazioni sindacali del comparto “Istruzione e Ricerca” che al punto 4 dell’intesa afferma che “il Governo si impegna a salvaguardare l’unità e l’identità culturale del sistema nazionale di istruzione e ricerca” apprendiamo di una bozza di decreto ministeriale, distruttivo per il sistema universitario.

Con un vero e proprio colpo di mano, il decreto su cui la CRUI dovrebbe esprimere un parere già nei prossimi giorni, applicativo dell’articolo 1, comma 2 della legge 240/2010, prefigura la definitiva scomparsa dell’unitarietà del sistema universitario, già fortemente messa in discussione da un decennio di tagli e politiche sbagliate.
In estrema sintesi si prevede che le università che hanno alcune condizioni di “eccellenza” su bilanci, didattica e ricerca possano agire in deroga alla normativa nazionale in diverse materie, tra cui:

governance di ateneo; requisiti per l’attivazione dei dipartimenti; modalità proprie di valutazione della qualità della ricerca e della didattica; offerta didattica (entro e oltre ordinamenti e classi di laurea); chiamata diretta dei docenti; negoziazione individuale dei compiti di lavoro didattico e di ricerca dei docenti anche col concorso di specifici incentivi e forme premiali individuali.

Queste alcune delle possibilità riservate agli “atenei eletti”, che oltretutto possono incentivare economicamente anche il trasferimento di docenti e ricercatori da altri atenei, una sorta di calciomercato dell’istruzione.

Nel documento non si parla mai del personale tecnico e amministrativo, come non se ne parlava mai direttamente nella legge 240/2010, ma l’impatto è facile prevedere sarà altrettanto devastante.

Insomma, una sorta di turbo autonomia differenziata per il sistema universitario. In maniera definitiva si sancirebbe la divisione tra università di serie A e università di serie B o C., tra le aree scientifiche e tra gli stessi docenti.

Una deregulation che strizza l’occhio alle novità dell’autonomia differenziata, che persegue la logica delle eccellenze nel tentativo di nascondere il vero problema delle università italiane: il forte definanziamento del sistema, come impietosamente dimostrato da tutti i raffronti a livello internazionale.

Pertanto, smentendo clamorosamente quanto scritto nel contratto di Governo e quanto affermato ultimamente anche dal Vice-Ministro con il suo decalogo di interventi per l’università, nessun nuovo finanziamento all’orizzonte (anzi), nessun intervento di sistema, ma di nuovo, se questa bozza di decreto fosse confermata, i singoli atenei sempre di più in ordine sparso, a caccia di ulteriori risorse, per sopravvivere e magari per essere in grado di pagare di più qualche docente (a quanto pare quelli capaci di attrarre risorse economiche). In questo quadro, in tutta evidenza, assisteremo sempre di più allo sfruttamento del personale precario.

È nostro compito contrastare questa logica della diversificazione, delle autonomie rafforzate e delle eccellenze, per garantire invece qualità della didattica, sviluppo della ricerca e diritto allo studio in tutte le sedi e le aree del Paese.

Il nostro Paese sta compromettendo irrimediabilmente il suo futuro, come dimostra chiaramente il dato della percentuale di giovani sotto i 35 anni che conseguono la laurea, che in un decennio ha visto l’Italia passare dal 20 posto (nel 2007) al penultimo posto (nel 2017) rispetto ai 28 paesi dell’Unione Europa.
Anche il fatto che nel 2017 uno studente su quattro delle regioni del sud scelgono (quelli che in qualche modo se lo possono permettere) di studiare nelle università del nord è un dato che in quest’ottica dovrebbe far molto riflettere.

Ciò, inequivocabilmente, certifica il fallimento delle politiche sin qui adottate sull’università e anche il fatto che da soli in ogni caso non ci si salva e che a questo punto è assolutamente necessaria una inversione di marcia, con una politica di investimenti in una ottica unitaria del sistema universitario pubblico: altro che immobilismo e difesa del vecchio centralismo burocratico-ministeriale, si tratta invece di avere il coraggio di prendere atto del fallimento delle politiche sull’università iniziate con l’avvento della  legge 240 del 2010 e di porre al centro del dibattito il vero problema dell’università italiana, che non è certo la mancanza di autonomia, bensì quella del finanziamento! Rispetto a questo tema riteniamo sia maggiormente necessario chiamare a discutere e a fare squadra tutte le rappresentanze istituzionali e le diverse componenti del mondo universitario per avviare un processo di riforma democratico e di reale cambiamento del sistema.

Tante e più approfondite valutazioni e considerazioni si potrebbero fare sulla bozza di decreto e certamente, nei prossimi giorni, ci impegneremo a farle, soprattutto se non arriverà nel frattempo una secca smentita sui contenuti del testo e sul metodo di intervento, che non prevede alcun momento di confronto.

Ma adesso un imperativo abbiamo davanti: svelare il tentativo in atto e fermare qualsiasi ipotesi di colpo di mano sull’università!