La “comunità educante” un punto importante di qualificazione per il lavoro
Per la prima volta, in un contratto di lavoro si sancisce che la “comunità scolastica” è composta da una pluralità di soggetti, non più circoscritta, per quanto riguarda il personale, a dirigenti e docenti, ma comprensiva anche di educatori e personale ATA.
Il Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del comparto “Istruzione e Ricerca”, sottoscritto il 9 febbraio 2018 e in attesa della firma definitiva, contiene una novità significativa, da valorizzare per le importanti ricadute che potrà avere. Parliamo dell’introduzione del concetto di “comunità educante”.
Come ogni novità che “non costa”, cioè che non necessita di convertirsi in denaro, essa rischia di passare sotto silenzio.
Per la prima volta, in un contratto collettivo nazionale di lavoro si sancisce che la “comunità scolastica” è composta da una pluralità di soggetti, non più circoscritta, per quanto riguarda il personale, a dirigenti e docenti, ma comprensiva anche di educatori, Dsga, assistenti e collaboratori scolastici.
Non a caso, l’articolo 24 dell’Ipotesi di CCNL, richiama l’articolo 3 del DLgs 297/94 (il Testo Unico delle disposizioni in materia di istruzione) che definisce la comunità scolastica. Ma - e questa è la novità - lo richiama per arricchirlo e, allargando l’orizzonte, comprende anche le famiglie, gli alunni e gli studenti. E per andare di più sul concreto e sulla pratica quotidiana, la norma contrattuale (articolo 24) precisa che “nella predisposizione del PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) … viene assicurato l’utilizzo integrale delle professionalità in servizio presso l’istituzione scolastica”.
A integrazione e completamento dell’articolo 24, l’articolo 40, considerando che il Contratto deve limitare i suoi interventi solo al personale (non può, per intendersi, intervenire sulle soggettività genitoriali e studentesche), offre un campo di azione nuovo alle scuole nel coinvolgimento strutturato del personale ATA alle attività scolastiche, sempre nel rispetto delle competenze e dei ruoli professionali.
In effetti, si prevede che all’inizio dell’anno scolastico il Dsga tenga un incontro specifico con il personale ATA, durante il quale formula una proposta di piano delle attività e si prevede che, anche sulla base delle proposte emerse da quell’incontro, il dirigente scolastico disponga la partecipazione dei collaboratori scolastici, degli assistenti amministrativi e tecnici alle riunioni di comitato o commissioni che riguardino la sicurezza, le visite guidate o viaggi di istruzioni, la formulazione dei Piani Educativi Individualizzati, l’assistenza agli alunni con disabilità.
Tali nuove opportunità di coinvolgimento integrale di ogni figura professionale che opera nella scuola colma un vuoto culturale che ha fatto sentire i suoi effetti negativi sulla recente legislazione scolastica. Basti pensare alla legge 107/15 che ha ignorato totalmente l’esistenza del personale ATA cancellandolo perfino nella nomenclatura.
Il concetto di “comunità educante” ha dunque due livelli di lettura che vanno evidenziati e compresi fino in fondo.
Il primo livello, lo abbiamo già accennato, ha una dimensione valoriale di prima grandezza: nella scuola al centro dell’attenzione è l’alunno, ogni azione di ogni soggetto che opera nell’istituzione ha come principio e fine il minore in formazione; da ciò consegue che le professionalità che vengono esercitate assumano un valore di per sé “educazionale”. Da questo punto di vista anche un assistente amministrativo e un assistente tecnico, pur svolgendo un’attività specifica, sono necessariamente portati a rendere le loro prestazioni funzionali a finalità educative, in quanto perseguono, appunto, un fine educativo (anche quando acquistano materiali didattici o organizzano una gita). Allo stesso modo un collaboratore scolastico non è, ormai da tempo, un semplice addetto ai servizi, ma è un lavoratore “implicato” in azioni educative: non a caso l’articolo 40 dell’Ipotesi del CCNL ricorda l’assistenza alla disabilità, la sicurezza (in ambiente educativo), l’elaborazione del PEI.
Insomma, nella scuola si respira “aria educativa” e tutti si debbono sintonizzare sui tempi e sui ritmi dell’apprendimento degli alunni. È questo che fa la specificità del sistema scolastico rispetto ad altre istituzioni pubbliche.
Il secondo livello è, come conseguenza del primo, quello organizzativo. “Comunità educante” non vuol dire “riformulare” diversamente concetti già esistenti (comunità scolastica): vuol dire dare giusto e adeguato contenuto a quanto è maturato nella società e nella scuola di questi ultimi decenni. Una maturazione che, ad esempio, rende specifiche e non fungibili le professionalità scolastiche, non solo quelle tipicamente scolastiche (dirigenza, docenza), ma anche quelle che sembrerebbero assimilabili ad altre professioni (si direbbe con terminologia antica, di “concetto” o di “servizio”). È la dimensione educativa, l’“aria educante” che si respira nella scuola a dovere essere sottolineata, curata, valorizzata.
È quanto il Contratto fa, visto che vere riforme (ad esempio degli Organi collegiali valorizzanti l’autonomia scolastica) la politica non riesce a farle. Ci prova il Contratto con le sue sia pur delimitate potenzialità.
Sarebbe un errore interpretare, come qualcuno vorrebbe fare, la comunità educante come inutili parole che non scalfiranno la realtà. La realtà delle cose che il CCNL metterà in moto rapidamente dimostrerà il contrario.
Noi vediamo nella configurazione delle nostre istituzioni scolastiche come “comunità educanti” una profonda sintonia con le collettività professionali che operano nella scuola, le quali percepiscono se stesse non come agenti di una società inevitabilmente aziendalizzata a cui occorre conformarsi (la scuola azienda cara a una visione stravolta dell’istituzione), ma come soggetti professionali a cui la Costituzione ha affidato il compito di perseguire finalità educative, senza condizionamenti e in assoluta autonomia.
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