Stipendi scuola: ancora enormi i divari stipendiali tra i docenti italiani e i colleghi dei principali paesi europei. Perché dobbiamo essere sempre gli ultimi?
Bene l’aumento a tre cifre, ma 100 euro non bastano per raggiungere la media delle retribuzioni europee: è quanto emerge dall’ultimo rapporto Ocse.


Si è riaccesa negli ultimi giorni la discussione sugli stipendi degli insegnanti, una discussione che però spesso si svolge con una certa approssimazione e senza una effettiva conoscenza dei dati e della situazione reale.
Il confronto con gli stipendi europei
Apprezziamo la proposta avanzata dal Ministro dell’Istruzione di aumentare gli stipendi degli insegnanti ma purtroppo sappiamo già che non bastano 100 euro per recuperare quanto perso nell’ultimo decennio in termini di potere d’acquisto e restiamo lontani dalla retribuzione dei docenti italiani rispetto alla media retributiva dei colleghi europei.
Proprio alcuni giorni fa è stato pubblicato l’ultima indagine dell’Ocse “Education at a glance” (edizione 2019) da cui emergono e trovano conferma alcun dati impietosi riguardo la condizione retributiva dei docenti del nostro paese.
Lo stipendio annuale lordo di un docente italiano di scuola secondaria di primo grado con 15 anni di servizio (che convenzionalmente rappresenta la condizione media della categoria) è di 39.840 dollari rispetto ad una media europea che è di 47.772 dollari (a parità di potere d’acquisto). La differenza è di ben 7.932 dollari, ovvero del 20%. La distanza rispetto ai docenti della Finlandia, uno dei paesi portati ad esempio per quanto riguarda la qualità del sistema scolastico, è di 5.715 dollari, ovvero del 14,3%.
Ancora più evidenti risultano i divari tra i docenti dei diversi paesi confrontando gli stipendi annuali in euro anziché in dollari. La differenza tra lo stipendio lordo di un docente italiano rispetto ad uno francese è del 7,1%, rispetto ad uno spagnolo è del 20,8%, ed è del 109,6% rispetto allo stipendio di un tedesco.
Per colmare il differenziale del 20% rispetto alla media europea, occorrerebbe che gli attuali stipendi dei docenti italiani, secondo gli ultimi dati della Ragioneria dello Stato pari a 28.440 euro annui lordi, venissero incrementati di almeno 5.700 euro annui, circa 450 euro su base mensile.
La questione del bonus docenti
Alla luce di questi dati la proposta di utilizzare le risorse del “bonus” docenti (200 milioni di euro stanziati dalla legge 107/2015) per incrementare gli stipendi dei docenti risulta ingannevole oltre che inadeguata.
È ingannevole perché le risorse del “bonus” sono di fatto già nella disponibilità dei docenti. Infatti circa un quarto dei 200 milioni sono stati ripartiti a tutti i docenti della scuola con il rinnovo del Ccnl nel 2018, scelta necessaria che fu assunta al tavolo delle trattative con l’Aran per far fronte alla limitatezza dei finanziamenti stanziati in legge di bilancio dal governo dell’epoca per il rinnovo contrattuale.
La restante parte delle risorse del “bonus”, come convenuto sempre con il Ccnl 2018, viene assegnata annualmente al personale mediante contrattazione tra dirigente scolastico ed RSU a livello di singola scuola per valorizzare il lavoro docente. La proposta di distribuire direttamente sullo stipendio di tutti i docenti questa parte restante di “bonus” sarebbe condivisibile oltre che auspicabile (anche al fine di ridare al comitato di valutazione di scuola la sua funzione originaria sanandolo dai compiti impropri attribuitigli dalla legge 107/2015). Ciò che invece non è condivisibile è che si possa pensare di utilizzare una risorsa economica, quella del “bonus”, che è già nella disponibilità del personale, per concorrere a determinare quell’aumento a tre cifre di cui parla il ministro. Sarebbe come nel gioco delle tre carte, per cui una risorsa economica già disponibile scompare per ricomparire sotto altra forma o sotto altro nome ma senza di fatto comportare un incremento complessivo delle risorse utilizzabili.
Questa proposta, oltre che ingannevole, rischia di essere soprattutto inadeguata. Infatti qualora si volesse distribuire le risorse residue del “bonus” direttamente a tutti i docenti (anziché mediante contrattazione di scuola) gli incrementi sarebbero minimi (neanche 10 euro al mese per docente) e non certo sufficienti a colmare quel differenziale sopra indicato rispetto alla media degli stipendi europei.
Un differenziale che non è solo economico, ma che misura anche la frustrazione e il disagio di una categoria sempre più vessata ma il cui lavoro e prestigio sociale è sempre meno considerato.
Allora ciò di cui c’è bisogno sono risorse aggiuntive significative, perché per valorizzare il lavoro docente, far funzionare le scuole e assicurare il diritto allo studio di tutti gli alunni di questo paese non basta premiare qualche docente a scapito degli altri, occorre al contrario investire e innalzare i livelli stipendiali di una intera categoria composta da oltre 1 milione di addetti tra docenti e ATA.
I 2 miliardi di euro indicati nelle dichiarazioni del ministro sono una buona base di partenza, ma ora occorre essere conseguenti e passare dalle dichiarazioni ai fatti.
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