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Due articoli di Nature sulla ricerca in Italia

Molto duro il giudizio di Nature sulle operazioni che si stanno compiendo contro la ricerca italiana ed i precari.

16/10/2008
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Sul numero di Nature
del 15 ottobre compaiono due articoli sulla situazione italiana della ricerca a seguito della manovra del Governo.

Riteniamo importante presentarne la traduzione italiana per l'autorevolezza della rivista e perché ne condividiamo lo spirito, anche se alcuni piccoli dettagli non sono aggiornati.

Forse il Ministro Gelmini dovrebbe ascoltare almeno le critiche che vengono da una delle più importanti riviste scientifiche a livello mondiale se non vuole farlo rispetto a quanto nelle università e negli enti di ricerca tutti stanno da tempo dicendo.

Roma, 16 ottobre 2008
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Risparmi all'ultimo sangue

Nel tentativo di dare spinta alla sua arrancante economia, il Governo italiano si sta concentrando su obiettivi facili ma poco saggi. In Italia sono tempi cupi e pieni di rabbia per gli scienziati, costretti a fronteggiare un Governo che porta avanti la propria filosofia di riduzione dei costi.

La scorsa settimana, decine di migliaia di ricercatori hanno invaso le strade per rendere visibile la loro opposizione al decreto proposto, finalizzato a mettere sotto controllo la spesa pubblica. Se passasse, come è probabile, il decreto getterebbe nella spazzatura quasi 2000 ricercatori precari, che sono la spina dorsale delle istituzioni di ricerca del Paese in grave carenza di organico (e circa la metà dei quali era già stata sottoposta a selezione per un posto a tempo indeterminato).

Nonostante la protesta degli scienziati, il Governo di centro-destra di Berlusconi, entrato in carica a maggio, ha decretato che i fondi sia dell'Università, sia della ricerca possono essere impiegati per mettere in sicurezza le banche e gli istituti di credito italiani. Non è la prima volta che Berlusconi prende di mira le Università. Ad agosto, ha emanato un decreto che riduce del 10% il finanziamento delle Università, consentendo di assumere solo un dipendente ogni cinque pensionati. Il decreto permetteva inoltre alle Università di trasformarsi in Fondazioni private, allo scopo di rastrellare entrate aggiuntive.

Stante il clima attuale, i Rettori ritengono che quest'ultimo aspetto verrà utilizzato per giustificare ulteriori tagli al budget, e che alla fine li costringerà ad abbandonare i corsi di laurea che hanno scarso valore economico, come quelli classici, o anche quelli riferiti alla scienza di base. Poiché la bomba è scoppiata all'inizio delle vacanze estive, le conseguenze sono state pienamente comprese troppo tardi, dal momento che il decreto è in via di trasformazione in legge.

Nel frattempo, il Ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, Mariastella Gelmini, ha mantenuto un silenzio completo sulle questioni relative al suo Ministero, a parte la scuola secondaria, e ha permesso che decisioni di Governo pesanti e distruttive fossero adottate senza sollevare obiezioni. Ha rifiutato di incontrare scienziati ed accademici per ascoltare le loro preoccupazioni, o per spiegare loro le scelte politiche che sembrano richiedere i sacrifici. E non ha neppure delegato un Sottosegretario per trattare la materia al suo posto.

Le organizzazioni scientifiche interessate dal decreto sono state invece ricevute dall'estensore del provvedimento, Renato Brunetta, Ministro della Funzione Pubblica e dell'Innovazione. Brunetta sostiene che si può fare poco per fermare o cambiare il decreto (anche se è ancora in discussione nelle Commissioni e deve ancora essere votato da entrambe le Camere). In un'intervista, Brunetta ha anche paragonato i ricercatori ai capitani di ventura, mercenari rinascimentali, dicendo che stabilizzarli a tempo indeterminato sarebbe "un po' come ucciderli". Questa affermazione travisa un argomento che i ricercatori hanno sostenuto (che la base scientifica di qualsiasi Paese richiede un sano rapporto tra lavoro stabile e lavoro flessibile, con quest'ultimo (come i contratti post-doc) che deve circolare in laboratori di ricerca stabili, solidi e ben equipaggiati. Gli scienziati hanno provato a spiegare a Brunetta che in Italia questo rapporto è diventato molto perverso.

Il Governo Berlusconi può anche pensare che tagli draconiani ai finanziamenti siano necessari, ma i suoi attacchi alla ricerca di base italiana sono stolti e miopi. Il Governo ha trattato la ricerca esattamente come qualsiasi spesa da tagliare, mentre in realtà deve essere considerata un investimento per la costruzione dell'economia della conoscenza del ventunesimo secolo. In effetti, l'Italia ha già sottoscritto questo approccio, firmando l'Agenda di Lisbona 2000 dell'Unione Europea, nella quale gli Stati membri si impegnavano ad innalzare i loro investimenti in Ricerca e Sviluppo al 3% del Prodotto Interno Lordo. L'Italia, membro del G8, ha una delle spese per Ricerca e Sviluppo più basse del gruppo (a stento l'1,1%, meno di metà di Paesi comparabili come Francia e Germania).

Bisogna che il Governo guardi oltre ai guadagni a breve termine permessi da un sistema di decreti consentiti da Ministri ossequiosi. Se vuole preparare un futuro credibile per l'Italia, come dovrebbe, non dovrebbe prendere pigramente a riferimento il passato lontano, ma capire come funziona la ricerca in Europa oggi.

Una nuova legge minaccia i posti di lavoro italiani nella ricerca

Quasi 2000 ricercatori italiani perderanno il posto a tempo indeterminato che era stato loro promesso a causa di una legge che dovrebbe entrare in vigore entro la fine dell'anno. Potrebbero dover abbandonare del tutto la ricerca pubblica.

La scorsa settimana, la Camera dei Deputati con il nuovo Governo di centro-destra di Silvio Berlusconi ha preso in esame il decreto che si propone di ridurre la spesa per razionalizzare l'amministrazione pubblica. Molti ricercatori si sono messi in vendita su e-Bay, nel quadro di una campagna che ha coinvolto decine di migliaia di manifestanti, che hanno partecipato a cortei per le strade di Roma e di altre città.

La legge proposta rovescia esplicitamente un'altra legge approvata dal precedente Governo di centro-sinistra, per la quale contratti di ricerca a tempo determinato di lunga durata potevano essere trasformati a tempo indeterminato se adeguatamente qualificati. Poiché la nuova legge proibisce la reiterazione di contratti a termine ripetuti di breve durata, le persone già selezionate per il tempo indeterminato che hanno più di tre anni di servizio negli ultimi cinque saranno ora licenziate.

Renato Brunetta, il Ministro della Funzione Pubblica e Innovazione estensore del progetto di legge, ha fatto infuriare ulteriormente gli scienziati qualificando molti dipendenti pubblici come fannulloni. I ricercatori in Italia sono dipendenti pubblici, e il numero di posti disponibili è determinato dal Governo centrale più che dalle singole istituzioni di ricerca. Nell'ultimo decennio non c'è quasi stato nuovo reclutamento, e il numero di ricercatori precari è conseguentemente salito alle stelle. Ci sono almeno 4500 precari di lungo corso che saltano da un contratto a termine di breve durata all'altro.

Gli scienziati affermano che la loro protesta non è diretta contro il tradizionale sistema di post-doc, ma contro il perverso rapporto tra ricercatori stabili e precari.

"Abbiamo un precariato patologico perché le nuove assunzioni a tempo indeterminato sono state bloccate" dice Luciano Maiani, Presidente del CNR, il consiglio nazionale delle ricerche italiano.

Come risultato della protesta, Brunetta afferma che ai ricercatori verrà dato tempo fino al 1° luglio 2009, mentre lui approfondirà le loro richieste. Ma molti Presidenti di vari enti di ricerca italiani credono che l'unico modo per gli enti di uscire dalla situazione sia di avere più autonomia dalla pubblica amministrazione.

"Il Governo dovrebbe riconoscere l'alta professionalità specifica del personale di ricerca; non è opportuno che a questo personale si applichino le regole della pubblica amministrazione" dice Enzo Boschi, Presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia italiano.

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Claudio Gatti è un fisico delle particelle dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare a Frascati in procinto di perdere il diritto alla stabilizzazione a causa della legge proposta. Dice che "nel sistema di ricerca italiano non c'è pianificazione, non c'è mobilità né futuro, ma noi siamo pronti a lottare per i nostri diritti con ogni mezzo legale disponibile".

Il Ministro dell'Istruzione e Ricerca Mariastella Gelmini non ha fatto dichiarazioni pubbliche sulla situazione, e non ha risposto alle richieste di commento da parte di "Nature".