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CNR: la ricerca dell’Ente continua ad essere eccellente nonostante la scarsità di risorse pubbliche

La riforma principale di cui il CNR e la ricerca pubblica hanno bisogno è la rimozione degli ostacoli e della burocrazia, che impediscono al personale di lavorare al meglio nonché di una dotazione di risorse adeguate sulla quale capitalizzare, per attrarre finanziamenti maggiori.

15/07/2022
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La pubblicazione, da parte della rivista Nature, dell’indice che misura la produzione scientifica delle Istituzioni di Ricerca nel mondo, conferma quello che la FLC CGIL non si stanca di ripetere, ovvero che la ricerca prodotta dal CNR è di qualità eccellente, nonostante la scarsità di risorse pubbliche, che sono a malapena sufficienti a coprire il costo degli stipendi.

Secondo l’indice di Nature, il CNR è la seconda Istituzione in Italia, dopo l’INFN, ed è seguita dall’Università di Padova, dall’insieme degli IRCCS e dall’Università Sapienza; tutte istituzioni pubbliche, e tutte con posizioni migliori rispetto all’anno precedente, a dimostrazione del grande valore della tanto bistrattata ricerca pubblica italiana. Sesto, ed in discesa rispetto all’anno precedente, è l’IIT, istituzione di ricerca privata finanziata con soldi pubblici, definito “eccellente” prima ancora che venisse creato e, per questo, dotato di risorse molto maggiori degli Enti pubblici.

Che la quantità delle risorse investite sia essenziale per la produzione di una ricerca di qualità elevata, al di là di potenzialmente utili riorganizzazioni interne, è noto da tempo. Il CNR riceve risorse per ricercatore nettamente inferiori a quelle non solo degli Enti di ricerca internazionali comparabili, ma anche di molte altre Istituzioni di ricerca italiane, tra cui l’INFN e lo stesso IIT: l’INFN riceve finanziamenti pari a più del doppio per ciascun ricercatore CNR (160.000 € per INFN contro i circa 78.000€ del CNR), il finanziamento IIT è pari a 3,5 volte quello del CNR (384.000 € per ricercatore).

Questo vuol dire che, se la produzione scientifica venisse normalizzata in base alle risorse investite per ciascun ricercatore, come sarebbe corretto fare, anziché misurata solo in termini di output, la posizione del CNR in questa ed altre classifiche sarebbe ancora più elevata. A questo proposito, lo stesso sito di Nature sottolinea come la crescita senza precedenti come rapidità ed ampiezza delle Istituzioni di ricerca cinesi, che hanno effettuato un balzo in avanti rispetto a quelle statunitensi ed europee, correli in modo praticamente lineare con le risorse investite: dallo 0,6% del 1998 al 2,4% del 2021. L’Italia, invece, investe circa l’1,3%, una percentuale inferiore a quella media europea, che è circa il 2%, e lontanissima dall’obiettivo del 3% dei paesi dell’UE.

In questo contesto, non possiamo fare a meno di chiederci: quanto in alto potrebbe arrivare il CNR, e l’intero sistema della ricerca pubblica italiana, se fossero finanziati in misura analoga alle istituzioni di ricerca internazionali che guidano questa ed altre classifiche?

Come è possibile allora ottenere questi risultati in condizioni di sotto finanziamento ormai croniche?

La risposta è nel valore, e nella dedizione del personale del CNR, non solo del personale strutturato ma anche dei numerosi precari, che hanno fatto e continuano a fare miracoli, attirando risorse per coprire non solo i costi della ricerca ma anche parte delle spese di gestione, muovendosi all’interno di un’organizzazione penalizzante, verticistica e fortemente burocratica, imposta, nel corso di successive riorganizzazioni, e che ora sta raggiungendo l’apice.

La riforma principale di cui il CNR e la ricerca pubblica hanno bisogno è la rimozione degli ostacoli e della burocrazia ottusa e accentratrice, che impediscono al personale di lavorare al meglio nonché di una dotazione di risorse adeguate sulla quale capitalizzare, per attrarre finanziamenti maggiori.

Questo è quello che risulta dall’analisi oggettiva dei dati disponibili. Il resto sono chiacchiere.

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