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«Usare l’alternanza scuola-lavoro per prepararsi all’Università. E in classe si può stare un anno in meno»

Il presidente della Crui Gaetano Manfredi sulle misure per aumentare i laureati in Italia: più borse, bisogna arrivare al 20 per cento. I privati investano nelle lauree professionalizzanti»

24/12/2017
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

Usare una parte delle ore dell’alternanza scuola-lavoro come «ponte» per prepararsi alla scelta dell’Università, perché «nel nostro Paese gli abbandoni di chi sbaglia percorso sono molto al di sopra della media europea». Aumentare drasticamente i posti per le nuove lauree professionalizzanti perché «servono ai ragazzi ma anche allo sviluppo tecnologico dell’Italia». Arrivare a triplicare gli investimenti per borse di studio e aiuti al diritto allo studio più in generale perché solo così «l’Università può davvero aprirsi a tutti e diventare un volano sociale».

INCHIESTA
POCHI LAUREATI? MENO SCUOLA-LAVORO, PIÙ ORIENTAMENTO UNIVERSITARIO

Gaetano Manfredi, rettore alla Federico II di Napoli e presidente della Conferenza dei rettori italiani, la Crui, accetta la sfida e scende nei dettagli delle tre proposte lanciate su Corriere.it per provare a ridurre quella che è una delle piaghe dell’istruzione italiana. un numero di laureati che non supera il 25 per cento, relegandoci penultimi in Europa davanti alla Romania e molto distanziati dai Paesi con i quali vorremmo confrontarci come Francia e Germania.

Dopo un anno di trattativa e con una decina di ritardo rispetto agli altri Paesi europei sono state istituite le lauree professionalizzanti, percorsi triennali molto pratici e tecnici che servono per avviare a professioni specifiche. Ma l’anno prossimo ci saranno 600 posti, una goccia nel mare.

«Ma gli Atenei si stanno tutti muovendo per questi nuovi percorsi, spero che riusciremo ad allentare i vincoli sul numero di studenti. So bene che in Paesi come la Germania, dove le lauree professionalizzanti hanno aiutato a formare i tecnici e gli esperti che hanno contribuito maggiormente dagli anni duemila allo sviluppo tecnologico del Paese, costituiscono il 40 per cento del totale delle lauree. Spero che già nel 2020 anche da noi si possa parlare di decine di migliaia di studenti. La riforma è stata fatta a costo zero, certo ci vorranno investimenti e risorse che potranno essere pensate anche in forma di compartecipazione con i privati».

Queste lauree non aumenteranno il divario Nord-Sud?

«No, perché ogni università dovrà seguire la vocazione del territorio: si tratta di percorsi che sono fatti con laboratori e stage in collaborazione con le aziende. Quindi ci sarà un Nord con percorsi più orientati all’industria mentre in altre aree , quelle in cui il tessuto industriale è meno forte, si privilegeranno settori come il turismo, l’agricoltura».

Quali altre politiche possono aiutare a far crescere il numero di studenti?

«I primi segnali di ripresa economica e le misure per la no tax area hanno contribuito quest’anno a far salire per la seconda volta di fila il numero degli immatricolati. Avremo più del cinque per cento di aumento delle immatricolazioni. Ma il numero di borse di studio è estremamente basso: bisognerebbe arrivare ad aiutare almeno uno studente su cinque, come avviene negli altri Paesi europei, altrimenti creiamo barriere occulte al diritto allo studio».

Poche borse ma tanti abbandoni nelle Università italiane, perché?

«Questo è un vero problema. Capita quando la scelta dell’università non è consapevole. C’è spesso una distanza tra le competenze acquisite negli studi della scuola secondaria e le abilità richieste per frequentare l’università».

Cioè i ragazzi non sono preparati dopo la maturità?

«I programmi andrebbero un po’ rivisti, soprattutto nell’ultimo biennio delle superiori, per sviluppare di più quelle aree che poi saranno oggetto degli studi universitari. Ci sono già alcuni esperimenti pilota con attività integrative di matematica, per esempio anche qui a Napoli, fatti da team di docenti universitari e professori della scuola: questi progetti servono ai ragazzi ma anche al sistema scolastico in generale. Per queste attività si potrebbe usare anche una parte del tempo dell’alternanza scuola-lavoro - stiamo discutendo di questo con il ministero - perché diventi qualcosa che la scuola fa per i ragazzi, altrimenti quello che succede è che chi può o ha i genitori laureati si organizza privatamente e gli altri arrancano e si disperdono. E’ anche una questione di equità. Sono soprattutto i ragazzi che vengono dagli istituti tecnici e del Sud che fanno le scelte sbagliate: se non corriamo ai ripari queste sono barriere di fatto all’istruzione».

L’anno prossimo riprende la sperimentazione dei licei di quattro anni. Visti dall’Università sono una buona scelta?

«Credo che un accorciamento complessivo degli anni di studio sia giusto ma penso che sarebbe meglio farlo rivisitando i cicli, non tagliando l’ultimo anno delle superiori. Il tempo è importante per la vita ma un anno in più di scuola non è determinante per la formazione».


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