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Università in rivolta

Su scatti, valutazione e riforma

12/12/2015
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la Repubblica

Corrado Zunino

L'università italiana è in rivolta, assicurano pezzi della stessa università. La profondità della rivolta non è ancora chiara, ma in maniera consistente si sta verificando - ed è la prima volta dai tempi del ministro Gelmini, parliamo della primavera 2010 quindi - che un malumore diffuso prende la strada della protesta strutturale.

A dare conto del perimetro della ribellione sono due docenti del Politecnico di Torino e di Roma Tre, coadiuvati dal sito Roars e dalla Rete 29 aprile, che a loro volta offrono aggiornamenti continui sul profilo della contestazione. L'ultimo report parla di ventimila docenti, appunto, "in rivolta" e 82 università italiane coinvolte (praticamente tutte), seppure a diversi livelli. 

Le richieste sono semplici e poco discutibili: visto che per il 2016 il governo Renzi ha tolto il blocco delle classi e degli scatti di stipendio avviati nel 2011 (governo Berlusconi quater), allora adesso deve restituire un'aliquota di quegli "scatti bloccati" a partire dal primo gennaio 2015, così come è accaduto per le altre categorie del pubblico impiego. "Non chiediamo nessuna restituzione né arretrati del quadriennio, solo pari trattamento a partire dal 2015", scrive il professor Vincenzo Ferraro, ordinario del Politecnico di Torino. 

Sulla questione scatti di anzianità, il primo atto era stato una lettera spedita lo scorso 30 settembre al presidente della Repubblica corredata di 14.044 firme (di 82 atenei). Il professor Ferraro ricordava a Mattarella come il blocco degli scatti avesse tolto 200 euro a un ricercatore di 35-40 anni con uno stipendio di poco più di 1.700 euro il mese. Gli uffici del presidente della Repubblica girarono la lettera al ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini. Subito dopo è iniziata - e ormai sono due mesi - una pressione collettiva per far slittare la Valutazione della qualità della ricerca: la Vqr 2011-2014 che valuta gli atenei e consentirà al ministero dell'Istruzione di distribuire nel 2016 fondi alle singole università. I termini della "pressione" dicono di 129 tra delibere di Consigli di dipartimento e di Senati accademici (ventuno, tra cui Federico II di Napoli e Genova) e lettere indirizzate ai rettori in 46 sedi universitarie diverse. Nelle mozioni si chiede esplicitamente la sospensione della Vqr, "che non deve essere più un meccanismo di selezione di presunte eccellenze". Infine, la "mozione Semplici" ha allargato le richieste generali proponendo nel documento "Noi disobbediamo" un rifinanziamento globale del diritto allo studio e del sistema universitario: "Almeno il 50% dei tagli dal 2008 ad oggi, 500 milioni di euro"; l'assegnazione dei fondi premiali "in maniera distinta e aggiuntiva" rispetto ai fondi necessari all'ordinaria amministrazione; l'erogazione di premi di pari consistenza "anche a quegli atenei in difficoltà che però dimostrano di riuscire a risollevarsi". C'è chi è andato oltre - Cgil, studenti e ricercatori organizzati - e ha chiesto indietro alle università l'intero miliardo (non solo mezzo) sottratto nelle ultime sette stagioni.

La battaglia della Vqr ha già innescato risposte dure. Il Senato accademico di Verona ha decretato che vengano esclusi dalla ripartizione dei Fondi unici per la ricerca distribuiti ai dipartimenti "gli addetti che non aderiscono alla Vqr". Quattro anni di sanzione, è stata la risposta ai ribelli da parte dell'Università di Perugia. Ritorsioni anche a Pisa. La Conferenza dei rettori da una parte ha sostenuto le ragioni della protesta, dall'altra ha assicurato al ministro Giannini che la grande valutazione della ricerca comunque si farà.

I valutatori dell'Anvur, l'arbiter della Vqr, hanno diffuso cifre che attesterebbero il fallimento sostanziale del boicottaggio. In una nota dello scorso 23 novembre hanno scritto che il 94 per cento degli "aventi diritto" ha richiesto l'identificativo Orcid. Ovvero? L'identificativo serve a dotare docenti e ricercatori universitari dell'accreditamento necessario per l'avvio della Vqr: 61.136 persone su 65.124 ne hanno fatto richiesta e, sostengono all'Anvur, questo dimostrerebbe come non ci sia stata una partecipazione diffusa alla protesta sulla Valutazione nazionale. E' probabile, tuttavia, che i singoli docenti-ricercatori abbiano preso il loro codice alfanumerico per non restare fuori dal progetto Iride mentre i dipartimenti - contemporaneamente - abbiano rallentato il processo di valutazione con mozioni votate a maggioranza.  

Questa nuova onda di malumore organizzato s'inserisce in due contesti. Il primo è il sottofinanziamento della moderna università italiana, reso plastico nei suoi effetti dall'ultimo rapporto della Fondazione Res. Quel dossier ha certificato come in dieci anni il mondo accademico italiano si sia ridotto di un quinto - da 326 mila immatricolati a 260 mila - e come il Sud viva un'emergenza non più rimandabile: quattro regioni dell'Italia meridionale sono fra le ultime dieci in Europa per numero di laureati. Risorse e investimenti si stanno concentrando in pochi atenei contenuti in un triangolo di 200 chilometri di lato con vertici Milano, Bologna e Venezia e qualche estensione territoriale a Torino, Trento e Udine.

Il secondo contesto che fa da alveo alla protesta è la riforma universitaria affidata alla Legge di stabilità, poi diventata una riformina che offre 50 milioni per il diritto allo studio,  sblocca la possibilità di assumere giovani ricercatori a tempo determinato e assume in via straordinaria e a tempo indeterminato altri mille ricercatori. La Stabilità è a poche ore dalla sua approvazione definitiva e il 18 dicembre un pezzo di università sarà a Montecitorio per protestare e chiedere - ultimo ma non ultimo - la "Dis-Coll" (l'indennità di disoccupazione per i collaboratori) anche per assegnisti, dottorandi e borsisti delle università e degli enti di ricerca. Oggi il Jobs Act li esclude.


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