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Unità: Mettiamo nelle aule i mappamondi...

Un professore: troppa teoria, i ragazzi imparano quel che a loro «serve»

24/12/2007
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l'Unità

di Luigi Galella *

LEGGO SPESSO dei mali della scuola e dei giovani. E vivo allora lo stesso sentimento dell’emigrato, che lascia il suo paese pieno di rancore, con disperazione rassegnata, ma quando si imbatte nelle critiche e nel dileggio degli stranieri verso l’Italia, solleva la bandiera dell’orgoglio e si sente pronto a difendere in qualsiasi modo l’onore della patria ferita. In realtà lui stesso di argomenti contro ne avrebbe. Ma la superficialità e il disprezzo di chi sputa veleno sugli italiani, senza averne una reale conoscenza, lo feriscono più della consapevolezza che parte di quelle critiche ha un fondamento di verità.La mia patria è la scuola. E gli stranieri sono tutti coloro che, non facendone parte, si sentono autorizzati a spararle contro. In questo caso tuttavia chi spara sono i dati (Ocse-Pisa), i numeri, e bisogna inchinarsi. O quasi. Molto si potrebbe dire circa i sistemi coi quali vengono interpretati, e mi ricordo di aver letto tempo fa con vero piacere un testo di Gianfranco Giovannone, "Perché non sarò mai un insegnante" (Longanesi ed.), che smantellava tanti luoghi comuni circa la retorica dello "sfascio" scolastico, alla quale sovente ci piace indulgere. Certo fa effetto scoprire, oggi, che i ragazzi non sanno "perché fa notte". È una notizia, ed è clamorosa. Anche se, pensando ai miei ricordi di studente, mi ricordo di pochi mappamondi nelle mani dei miei insegnanti. E tuttora nelle scuole ne vedo circolare pochi. Pochi mappamondi, pochi strumenti, pochi laboratori, e ancora molte enunciazioni teoriche, molta, troppa cultura libresca (che peraltro dopo la lezione ripetuta a memoria presto svanisce). E io stesso mi trovo giornalmente di fronte a situazioni sconcertanti, a svarioni ortografici di ragazzi dotati e preparati, a improvvisi vuoti di pensiero circa problemi che a me appaiono banali. E mi chiedo perché. Potrei provare a superare il senso di frustrazione che mi coglie quando mi imbatto nelle defaillance dei miei studenti con una boutade "giustificazionista": i ragazzi imparano ciò che a loro "serve". Semplicemente, cambiano i criteri di "utilità" tra noi e loro. E anzi, in questo dimostrano di essere più "intelligenti", perché più critici e selettivi, nei confronti della realtà. Ma mi rendo conto che non posso cavarmela con una battuta, e che quel senso di frustrazione verso quei buchi della memoria e della comprensione che vedo aprirsi ha qualcosa a che fare con un malessere più ampio che mi riguarda, che ci riguarda. Il malessere di chi ha pazientemente, amorevolmente costruito un castello, che alla prima ondata si rivela essere di sabbia. Come se la cultura oggi, o almeno quella che io ritengo di aver "trasmesso", si rivelasse proprio questo. Posso offrire piccole, frammentarie testimonianze. E tutte di segno controverso. Una recente, in particolare. Discutevo in una mia classe di alcuni concetti base di cultura civica, che dovrebbero appartenere a ognuno e che si danno spesso per scontati, e man mano che la discussione procedeva mi andavo sempre più deprimendo perché scoprivo le loro lacune, alcune veramente impensabili. A domanda i ragazzi, imbarazzati, tacevano. Qualcuno si vergognava, qualcuno sorrideva. Mi deprimevo, sgranavo gli occhi, mi disperavo, mi mettevo le mani nei capelli: ma come, nemmeno questo sapete? Ma andando avanti la discussione, anche perché stavamo leggendo il giornale in classe, si era giunti al capitolo "coppie di fatto", e tutto d’improvviso si è ribaltato. Quasi tutti avevano una propria idea, fondata e nient’affatto arbitraria, quasi tutti desideravano esprimerla, quasi tutti erano favorevoli alla legalizzazione, anche nella forma più radicale. Una fotografia, quindi, che sovrappone almeno due immagini: la prima, sterile e inerte, non sa dire, non sa rispondere. La seconda, dinamica, non si misura con la formulazione di una conoscenza appresa, ma paradossalmente è in grado di argomentare, soprattutto su questioni inerenti alla libertà e alla giustizia. Lo stesso quadro. Che trasforma la desolazione in sorpresa, in attenzione.
* professore
luigalel@tin.it