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Unità: Luigi Berlinguer: vedrete, faremo cantare la scuola

MUSICA L’ex ministro redige ora per il governo un documento per il reinserimento dello studio della musica nelle nostre aule. «Ogni scuola - dice - avrà un laboratorio»

27/12/2006
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l'Unità

di Luca Del Fra

«Organizzare un laboratorio musicale e un coro in ogni scuola italiana, avviare un processo che porti la musica a diventare materia curriculare come la matematica e l'italiano, far entrare i musicisti nelle aule sono obiettivi ragionevoli e raggiungibili». Così spiega con trasporto il professor Luigi Berlinguer, tra i pochi politici italiani a conoscere la musica al punto che la pagina di una partitura non è per lui un foglio muto, e sicuramente l'unico Ministro dell'istruzione nella storia della repubblica ad averla anche insegnata - da giovane è stato docente di solfeggio. Da anni porta avanti una battaglia perché l'arte dei suoni entri nelle scuole italiane e diventi materia di studio come accade in molti paesi europei. A lui nel luglio scorso il Ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni ha affidato la presidenza di un Comitato Nazionale per l'Apprendimento Pratico della Musica che, riunitosi per la prima volta a settembre, in quattro mesi ha messo a punto un documento operativo.

Allora professore, musica nelle scuole: si riparte?

«È fondamentale per superare le radici autoritarie della nostra istruzione che ha negato l'emozione, la curiosità e la creatività culturale. Il danno risale all'idealismo che ha degradato la musica e, seppure in altro modo, le scienze sperimentali a materie non culturali e perciò non scolastiche. Così se le scienze sono insegnate in modo mnemonico e non nei laboratori, la musica non ha mai varcato con dignità la porta dei nostri istituti scolastici. Nel paese che ha dato i natali a Leonardo, a Galileo e al belcanto equivale a un'offesa alla propria storia».

Nei confronti della musica il pregiudizio in Italia è fortissimo.

«Certo, perché la visione più retriva la degrada a un'attività di puro intrattenimento, quando invece imparare a suonare uno strumento significa esercizio quotidiano. Disciplina, rigore e divertimento: ecco perché nella scuola la musica può essere utilissima, anzi fondamentale».

Sul piano pratico, nel documento che avete inviato al ministro cosa proponete?

«Bisogna partire subito con un piano pluriennale diviso in due fasi: nella prima abbiamo proposto di riprendere, con qualche aggiornamento, il Progetto Speciale Scuola varato quando ero Ministro della Pubblica Istruzione. In primo luogo occorre incentivare i laboratori musicali: riattivare quelli già esistenti e crearne di nuovi. Devono essere una centrale sonora all'interno di ogni scuola, un serbatoio di competenze e strumenti musicali che permetta a qualsiasi ragazzo di avvicinarsi alla musica. Altra iniziativa sono i cori nelle scuole: fare musica assieme, d'assieme, scioglie la disciplina individuale in un'esperienza collettiva come accade per una squadra di calcio. Con il ministro Fioroni abbiamo concordato di sollecitare le scuole ad organizzarsi in rete sul territorio, e a cercare l'appoggio e la collaborazione dei docenti e dei discenti dei nostri Conservatori».

In concreto, quali i tempi?

«Già dal prossimo anno scolastico deve esserci un'impennata nel numero dei laboratori: oggi sono circa 250, ma le scuole italiane sono 11.000. Occorre dare dignità professionale ed economica allo status di coordinatore del laboratorio, una figura fino a oggi volontaria. Tra quattro mesi poi organizzeremo un convegno internazionale in cui fra l'altro si preciseranno i tempi di questa fase….».

Scusi se insisto: lei si sente di fare una previsione sui tempi e gli obiettivi?

«La mia previsione personale è che nell'arco della legislatura ogni scuola italiana possa essere dotata di un laboratorio, e sia messa in grado di costituire un proprio coro. Ma il convegno internazionale servirà anche ad avviare il processo giuridico per promuovere la musica da materia facoltativa a curriculare, come l'italiano e la matematica: per questa seconda fase certo occorrerà più tempo».

Dunque nella prima fase resterà materia facoltativa?

«Imporre la musica sarebbe sbagliato e autoritario: la nostra proposta è di incentivare l'insegnamento e le attività musicali, di modo che giunga morbidamente alla sua curricularizzazione senza perdere l'aspetto di divertimento che le è implicito. Oggi le scuole hanno il 20% dell'orario a disposizione per attività di loro scelta e resteranno aperte anche il pomeriggio. Il dirigente scolastico che riempirà questi spazi con la musica avrà un giudizio maggiormente positivo: anche in questo siamo in totale accordo con il ministro Fioroni».

Veniamo alle dolenti note: la finanziaria non è stata generosa con scuola, ricerca e attività culturali: dove trovare le risorse per queste attività?

«Una parte delle risorse arriveranno dalla legge 440 del '97 che doveva servire per finanziare l'autonomia scolastica e che invece l'ex ministro Moratti ha indirizzato altrove (anche alla comunità di San Patrignano NdR). Sono risorse destinate ad aprire un clima di fiducia: alla parte che darà lo Stato si dovranno aggiungere i finanziamenti delle Regioni e degli Enti locali, delle Camere di commercio, delle Fondazioni bancarie».

Non trova eccessiva la fiducia nell'apporto esterno?

«Ho potuto constatare che nei confronti della musica esiste grande scetticismo e insensibilità da parte del mondo politico e culturale italiano: per superarle occorre non piangersi addosso. Il convegno che faremo deve servire anche a questo, ad aprire un cantiere per sensibilizzare il paese. La loro parte dovranno farla i media, ma anche i dirigenti e gli insegnanti appassionati di musica, i genitori e i ragazzi: soprattutto loro, che con le loro insistenze non hanno permesso la chiusura dei laboratori musicali già esistenti nelle scuole, dovranno essere i protagonisti di questa riforma».

A cosa serve la musica nella scuola?

«Sono convinto che serva sopratutto a rendere migliore la scuola e il paese, a rendere i ragazzi più sicuri di se stessi e più capaci di relazionarsi con l'altro. Certo avrà molto da guadagnare anche la musica: perché nessuno vuole imbigottire i giovani, ma metterli in condizione di scegliere tra i concerti negli stadi o negli auditoria, oppure di frequentare entrambi. E soprattutto vuole insegnargli a fare musica e a viverla come esperienza in prima persona».


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