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Unità-La Costituzione nelle mani sbagliate

Riformare la carta costituzionale di una nazione non è un'operazione da prendere alla leggera. Ammesso che abbia ancora senso distinguere, come fece Aristototele, tra essenza e accidenti, dobbiam...

23/12/2004
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l'Unità

Riformare la carta costituzionale di una nazione non è un'operazione da prendere alla leggera. Ammesso che abbia ancora senso distinguere, come fece Aristototele, tra essenza e accidenti, dobbiamo sapere che modificare la costituzione significa alterare alcune proprietà essenziali della nostra Repubblica. È come se andassimo a correggere il nostro corredo genetico: ed è evidente che l'appello alla prudenza deve centuplicarsi rispetto ai casi in cui ci limitiamo a promulgare una legge. Una legge malfatta (e quante ne abbiamo viste negli ultimi anni) cambia l'Italia come una persona viene cambiata da una dieta smodata, che la fa ingrassare, o dalle sigarette, che le rovinano i polmoni; ma una Costituzione sciupata cambierebbe l'Italia molto più drasticamente. Certo, non dobbiamo essere oscurantisti: se la comunità scientifica ci spiegasse che esiste una tecnica semplice con cui si modifica un gene e si ottiene l'immunità ai tumori senza effetti collaterali dannosi, potremmo anche decidere che vale la pena tentare di migliorare la nostra Carta costituzionale. Ma oggi siamo in un caso diverso e grottesco, in cui Berlusconi e Calderoli prendono una biro ed emendano, cancellano e stralciano, riscrivono e innovano, senza alcun criterio, e senza alcuna lungimiranza. Non sta accadendo che i costituzionalisti più rispettati del Paese, compatti e al di là delle appartenenze politiche, ci suggeriscano una o due variazioni utili: piuttosto, sta accadendo che una serie di personaggi provenienti dalle professioni più disparate (dentisti, imprenditori, ingegneri, medici) e ignoranti in materia di Costituzione, decida di mettere mano alla più delicata delle riforme a colpi di concessioni reciproche ("Vuoi il premierato forte? Te lo concedo se tu mi dai il federalismo") perdipiù contro il parere di tutti i costituzionalisti italiani. Tornando all'analogia della manipolazione genetica, è come se ci trovassimo sotto anestesia sul lettino di un improbabile ospedale dove medici altrettanto improbabili, litigando su quali geni vadano modificati, intervengono dissennatamente su di noi.
Se leggiamo analiticamente lo schema di disegno di legge costituzionale, ci accorgiamo che un caposaldo della riforma è il federalismo. Questa è la parte di riforma voluta dalla Lega. È evidente che al Carroccio non interessa affatto tutto il resto, così come è evidente che al resto della maggioranza non interessa il federalismo. Ma tant'è. Il federalismo (parola che, in bocca ai leghisti, ha perso molto del suo senso) significa qui che il Senato deve diventare un "Senato Federale", ovvero un Senato eletto su base regionale e, inoltre, un Senato a cui possono essere eletti soltanto coloro che "hanno ricoperto o ricoprono cariche pubbliche elettive in enti territoriali locali o regionali, all'interno della regione, o sono stati eletti senatori o deputati nella regione". A questo punto un cittadino vorrebbe chiedere: che ragione c'è di cambiare così drasticamente i connotati del nostro Senato? La Relazione Illustrativa preparata dalla Presidenza del Consiglio spiega che, in questo modo, gli eletti avranno un maggiore "radicamento territoriale"; che "l'esperienza maturata in ambito locale dall'eletto consentirà di esprimere all'interno del Senato quelle istanze territoriali di cui l'organo medesimo è espressione". Compare cioè una caratteristica misteriosa, il "radicamento territoriale", non meglio precisata. L'espressione viene ripetuta quante più volte possibile, come se fosse taumaturgica. Ma pensiamoci: il disegno di legge sta presupponendo che gli attuali senatori, nonché gli attuali e futuri eletti alla Camera, siano pressoché privi di "radicamento territoriale". È plausibile? Il sistema maggioritario attualmente in vigore non prevede forse che ogni candidato sia eletto nel suo collegio geografico, e che agli elettori di quel collegio, in modo privilegiato, debba rispondere? Gli attuali deputati sono tutti portatori di "istanze globali", sono tutti "sradicati"? E ancora: se gli elettori avessero voglia di eleggere candidati che hanno già fatto esperienze nell'amministrazione locale, non potrebbero già, liberamente, esprimere questa preferenza, senza che una legge li costringa a farlo? E ancora: se il "radicamento territoriale" è una cosa buona, perché non riformare come il Senato anche la Camera? Perché lasciarla "sradicata"? La verità è che i leghisti che gridano da vent'anni "Roma ladrona" hanno voglia di eleggere senatori lombardi e veneti anziché senatori italiani.
In questa prospettiva, il colpo più pericoloso sembra essere quello che assegna alle regioni "la potestà legislativa esclusiva" sulla sanità, sulla scuola, sulla polizia locale. Possiamo immaginare un federalismo a regime che implichi che ogni Regione debba sopravvivere con i suoi soldi, e quindi un Veneto che offra cure di prim'ordine ai veneti, una Calabria che invece offra barelle in corridoio solo ai malati più gravi, e gli altri a casa o in Veneto se hanno i soldi per pagare il guidrigildo che la regione Veneto impone ai calabresi. Sto esagerando? E che dire dello scenario in cui le regioni della Padania governate dalla Lega stabiliscono che la lingua ufficiale diventa il lombardo, e che non si studiano più Quasimodo e Pirandello ma solo Porta e Goldoni? Non sarebbe, questa, "insindacabile autonomia scolastica"? Per di più, le regioni avrebbero "potestà legislativa esclusiva" su "ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato". Come dire che, in mancanza di norme esplicite su chi debba prendere una decisione, le regioni vincono sempre sullo Stato. Non è un po' troppo?
Se questo federalismo è progettato solo, contingentemente, per aumentare il potere della Lega, il rafforzamento dei poteri del Premier non è pensato per il bene dell'Italia, ma solo per il bene di Berlusconi. Leggendo la relazione illustrativa, si capisce che i nuovi panni del Primo Ministro, che può fare molte cose in più rispetto a quelle che gli sono permesse ora, sono disegnati e tagliati su misura per lui, il Cavaliere. Viene eletto direttamente, non deve chiedere la fiducia, può sciogliere le camere ("contro i possibili fattori di destabilizzazione interni alla maggioranza stessa": guarda un po', proprio gli attuali problemi di Silvio). Non "dirige" più la politica del governo: la "determina". Dice proprio così, la Relazione Illustrativa: usa queste espressioni fra virgolette. Non le precisa, ma strizza l'occhio: "Ci capiamo". Ci capiamo? Possibile che si debba affidare una riforma costituzionale all'ambiguità delle virgolette? Cosa vuol dire che il Primo Ministro, nel potenziamento delle sue funzioni, "dirigerà" i ministri anziché "coordinarli" come avviene ora? Che i ministri saranno suoi semplici prestanome? Ci spieghino, per favore senza virgolette.
E abbiano il coraggio di ammettere che, se i poteri del Primo Ministro fagocitano parte di quelli che attualmente spettano al Presidente della Repubblica, ne consegue che i poteri del Presidente della Repubblica diminuiscono. La Relazione dice il contrario. Pretende che vi sia un "rafforzamento della posizione" del Presidente. Questo è falso. Oltretutto, è impossibile. Se la quantità totale di potere resta la stessa e qualcuno ne riceve una quota maggiore, qualcun altro ne viene spogliato. La Relazione Illustrativa millanta che tutti i soggetti vedano invece aumentati i loro poteri. È una vecchia storia: un milione di posti di lavoro, meno tasse per tutti, più poteri per tutti. Non abbiamo ancora capito?


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