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Unità: «Il rischio? Finanziare solo progetti che hanno “mercato”»

GIUSEPPE NOVELLIGenetista di «Tor Vergata», finanziato da Telethon

20/12/2006
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l'Unità

Troppi Telethon fanno male alla ricerca? La domanda è certo provocatoria, però è anche una domanda necessaria, perchè il settore pubblico finanzia ben poco l'attività dei nostri scienziati.

«Il problema - spiega Giuseppe Novelli, genetista dell'Università Tor Vergata di Roma, il primo scienziato italiano a essere finanziato attraverso Telethon - non è chiedersi se le fondazioni (o charities per usare un termine anglosassone) facciano bene il loro lavoro, ma come reagiscono a questo fenomeno gli enti pubblici che dovrebbero sostenere la ricerca».

Quale è la sua preoccupazione?

«Il mio timore è che di fronte al grande attivismo delle fondazioni, Stato, regioni, province e comuni si tirino indietro e non finanzino più adeguatamente molta ricerca, limitandosi magari a aiutare le fondazioni. Il problema è particolarmente grave nel settore della ricerca di base, quella che ha il solo scopo di allargare le conoscenze scientifiche. Oggi in Italia molti miei colleghi che si dedicano a questa attività sono disperati. Le risorse sono al lumicino e allora si riconvertono, tentando di passare alla ricerca applicata, quella finanziata dalle charities. Il problema è che senza la ricerca di base, quella applicata manca di fondamenti essenziali. Faccio un esempio: le lucertole sono animali noti per la capacità di usare le cellule staminali al punto tale da farsi ricostruire un arto. Nessuna charity però finanzierà mai uno studio di questo tipo, per quanto essenziale nel comprendere il funzionamento di queste cellule».

Questo comporta anche un orientamento «dall'alto» degli obiettivi della ricerca…

«È vero. La ricerca dovrebbe essere del tutto libera, ma se manca lo Stato alla fine uno va a cercarsi i fondi dove sa di poterli trovare. E giustamente le fondazioni finanziano solo quelle ricerche che sono coerenti con il loro statuto. Basti pensare all'Associazione americana dei malati di diabete: ormai è così influente da poter dettare le linee guida sulla malattia e le priorità della ricerca. Insomma si sta creando un meccanismo di finanziamento che secondo me tende a sfociare in una vera e propria guerra tra malati».

Cosa intende?

«Se mi guardo in giro vedo che la tendenza è quella di costituire associazioni per la ricerca contro qualunque malattia sufficientemente diffusa. Queste associazioni finiscono per competere fra loro nel cercare di raccogliere fondi dai privati e attirano ricercatori con le loro risorse. Ma a quelle malattie (e a quei malati) che non hanno una fondazione di sostegno non ci pensa nessuno. E invece dovrebbe pensarci il settore pubblico. La soluzione esiste, basta seguire il comportamento degli altri paesi europei. Spagna e Francia sostengono la ricerca di base con fondi pubblici. E soprattutto non li distribuiscono a pioggia, ma li concentrano in pochi centri di eccellenza».


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