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Test INVALSI, perchè non vanno

Tra le pecche, tempi stretti e soluzioni standardizzate

06/05/2014
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ItaliaOggi

Giovanni Bardi

Prove Invalsi nuovamente ai blocchi. Crescono, però, anche gli scettici. Uno dei motivi di critica è che i test standardizzati di apprendimento non funzionano con gli alunni divergenti e le intelligenze multiple. Lo dimostrano i dati sui risultati all'Ocse Pisa degli studenti italiani che, sebbene meno performanti ai test di matematica, volano in quelli del problem solving (vedi Italia Oggi dell'8 aprile 2014).

Per i critici, la didattica finirebbe per convergere sempre di più sull'obiettivo di superare i test di apprendimento a spese di creatività ed elaborazione personale. Ma a quattro anni dall'entrata a regime, sottolinea il Miur, le prove hanno superato gran parte delle iniziali diffidenze registrate nella comunità scolastica. Vediamo allora a che punto è il dibattito.

Semaforo verde per due milioni. In questi giorni saranno oltre due milioni gli studenti che si cimenteranno nei test di italiano e matematica predisposti dai docimologi di villa Falconieri: il 6 e 7 maggio tocca alle seconde e alle quinte della scuola primaria. Il 13 maggio alle seconde della secondaria di secondo grado. Quest'anno non si farà invece quello di prima media. Si sta pensando di anticiparlo, in futuro, all'inizio dell'anno scolastico, mentre resta in programma quello da somministrare il 19 giugno, all'interno dell'esame di Stato. Per gli studenti dell'ultimo anno delle superiori, anche quest'anno niente; si pensa in futuro a forme di somministrazione elettronica, mentre in stand by resta la prova prevista per la maturità. Per il resto, puntuale arriva anche lo sciopero indetto dai Cobas negli stessi giorni di svolgimento delle prove. Obiettivo, boicottare le prove. Così facendo, sostengono i Cobas, si finirà per valutare surrettiziamente gli insegnanti. Al momento però, va detto, è previsto che le prove Invalsi concorrano alla valutazione dei dirigenti scolastici, non dei docenti.

A ritenerlo controproducente per valutare i prof, è stata anche la Fondazione Giovanni Agnelli (vedi Italia Oggi del 25 febbraio 2014). Con una comunicazione ai docenti, il ministero dell'istruzione ha sottolineato come le prove invalsi invece offrano alle scuole «dati che possono essere utilizzati come strumento di riflessione e miglioramento, poiché forniscono il paragone con un campione rappresentativo a livello regionale e nazionale». Ma le preoccupazioni dei no-test sono soprattutto altre e riguardano la formazione degli studenti.

Sul modello però è ancora bagarre. Recentemente, in Inghilterra, Tricia Kelleher, preside della scuola privata ritenuta la migliore del Regno Unito, e Tony Little, rettore di Eton, hanno aspramente criticato l'annuncio del ministro dell'educazione Michael Gove di spingere sull'acceleratore della valutazione esterna delle scuole tramite i test standardizzati. Il timore è che, con la valutazione esterna, le scuole siano motivate ad insegnare in vista dei test, in inglese teaching to the test. Esposto a stimoli ripetitivi o in grado di fissare le strutture grammaticali nella memoria, il soggetto richiamerebbe automaticamente alla mente l'informazione senza averne alcuna reale conoscenza o comprensione. Si chiama effetto drill and kill, eredità del comportamentismo. Significativo che sempre in Inghilterra, patria dei test, ci sia anche stato chi è partito dalla filosofia del linguaggio di Wittgenstein per lanciare l'incursione al modello della valutazione esterna delle scuole tramite test standardizzati di apprendimento.

Off limits se serve a misurare performance e maturità. Gli studenti più divergenti sono quelli che prediligono le soluzioni meno ovvie ai problemi, le quali sono però più difficili da circoscrivere all'interno di un test standardizzato. Ma se anche fosse, essi hanno bisogno di tempo nel ragionamento. Siamo sicuri, quindi, dicono gli scettici, che, cronometro alla mano (la prova di lettura in seconda elementare è cronometrata in due minuti), si favorisca una mente creativa e divergente, e non si finisca invece per selezionarne una più conformistica e convergente? Ma oltre a ritenere per questo controproducente l'aggancio della valutazione esterna alla misurazione della performance dei docenti, altrettanto difficile risulta sostenerne il peso all'interno di un esame di Stato. Come spiegato sempre dalla Fondazione Giovanni Agnelli, il test Invalsi inserito all'interno dell'esame di Stato non basta a renderlo un central exam, cioè una prova che abbia una sua standardizzazione generale, visto che la correzione delle prove d'esame è lasciata agli insegnanti e non è centralizzata come per i test Invalsi.


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