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Sud, scuola e università: i grandi assenti della legge di Stabilità

di Domenico Pantaleo

22/12/2015
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L'Huffington Post

Le Regioni del Mezzogiorno sono governate dal Partito democratico. Basilicata, Puglia e Sicilia da più tempo, mentre Calabria e Campania dalle scorse elezioni amministrative. I governatori non dovrebbero avere grandi difficoltà ad agire su Palazzo Chigi, dove siede il segretario nazionale del loro partito, titolare ad interim del Ministero degli Affari regionali. Lo scorso 30 gennaio 2015, infatti, l'allora ministra Maria Carmela Lanzetta, si dimise perché invitata a far parte della Giunta regionale calabrese, incarico che poi non accettò. Dunque, il premier è direttamente responsabile delle politiche relative agli affari regionali, e in particolare alle questioni che riguardano il Mezzogiorno. Anche per questa ragione, occorre una maggiore cooperazione e convergenza di obiettivi tra presidente del Consiglio e Regioni e il coinvolgimento di tutti gli attori sociali sulle scelte strategiche per il Sud.

Dopo la pubblicazione del Rapporto Svimez, presentato a Roma lo scorso 30 luglio, è emersa la realtà di un pericoloso arretramento del Mezzogiorno, non solo rispetto all'Italia, ma all'intera Europa. Il premier scrive che la legge di Stabilità in corso di approvazione al Senato è amica del Sud, ma francamente mai come questa volta le parole di Renzi prestano il fianco ad un giudizio durissimo. Il punto è che il premier non solo ha abbandonato il Sud, al punto che della promessa agostana di un seminario ad hoc e del masterplan sul Mezzogiorno che anticipassero la legge di Stabilità non se n'è fatto nulla, ma non vi è neppure traccia di un disegno organico con al centro le regioni meridionali.

Il movimento sindacale nel suo insieme, e la Cgil in particolare, hanno denunciato da mesi la sottovalutazione e l'abbandono del Mezzogiorno. La Cgil ha costruito una griglia di iniziative importanti e decisive per il rilancio e lo sviluppo del Sud, a partire da un'analisi realistica della situazione di alcuni segmenti sociali decisivi. E tra questi, non a caso, vi sono la scuola e l'università. Lo diciamo da mesi, come Cgil e come movimento sindacale generale della conoscenza: la legge 107 della ministra Giannini ha svuotato le regioni del Sud di parte delle sue risorse intellettuali, favorendo l'esodo di massa verso il Centronord di migliaia di docenti; e la riduzione degli investimenti sulle università pubbliche del Sud ha avuto come effetto l'altro esodo, quello di migliaia di studenti verso gli Atenei di Bologna, Milano, Torino (per citarne solo alcuni tra i più scelti). Lo conferma inoltre il recente Rapporto della Fondazione RES sui nuovi divari tra Nord e Sud a proposito di Università. Il Rapporto scrive: "L' Italia ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università. Si tratta di una trasformazione opposta a quelle in corso in tutti paesi avanzati (e ancor più negli emergenti) che continuano invece ad accrescere la propria formazione superiore: basti ricordare che mentre il finanziamento pubblico dell'università in Italia si contraeva del 22%, in Germania cresceva del 23%; anche i paesi mediterranei più colpiti dalla crisi hanno ridotto molto meno il proprio investimento sull'istruzione superiore. Non è certo solo effetto della crisi: in Italia, la riduzione della spesa e del personale universitario è stata molto maggiore che negli altri comparti dell'intervento pubblico: fra il 2008 e il 2013 i docenti universitari si riducono del 15% circa, il totale del pubblico impiego di meno del 4%".

L'abbandono del Mezzogiorno, confermato anche dalle scelte, pessime, di questa legge di Stabilità, è dunque una realtà che ha precise responsabilità politiche, del premier e della sua maggioranza. Questi ultimi hanno scelto di dare centralità al sistema delle imprese, piuttosto che favorire politiche pubbliche di sviluppo, a partire proprio dal sistema educativo e di alta formazione universitaria. Si tratta di scelte che purtroppo gli studenti e le loro famiglie stanno pagando dentro le proprie esistenze, perché a molti di essi viene negato il diritto allo studio, e dunque di iscriversi all'università. È a tutti evidente che questa strategia danneggerà ancora più fortemente il Mezzogiorno. Per questa ragione bisogna aprire un dibattito pubblico e sedi di confronto sulle strategie necessarie a rilanciare politiche di sviluppo che abbiano al centro maggiori investimenti in conoscenza.

Su questo tema è intervenuto molto autorevolmente il professor Galli Della Loggia in un fondo sul Corriere della Sera. Anch'egli lancia l'allarme Mezzogiorno e richiama Renzi alle sue responsabilità, perché come acutamente scrive: "Senza il Sud è difficile che possa esserci una narrazione dell'Italia, tanto più un progetto per il suo futuro". E anche il professor Della Loggia sottolinea come l'abbandono influisca penosamente e pericolosamente sull'istruzione: in grandi regioni come la Sardegna, la Campania, la Sicilia, scrive, "la percentuale degli studenti che non terminano il quinquennio dell'istruzione superiore si aggira intorno al 40%". E poi, la stoccata sull'università: "In tutto il Mezzogiorno non c'è una sola sede universitaria definita di qualità: il che spiega anche perché nell'ultimo decennio le immatricolazioni negli atenei meridionali siano diminuite di oltre il 27% (nel Nord dell'11)". Aggiungiamo che nel 2014, l'insieme delle immatricolazioni è stato di circa 248mila studenti, meno della metà degli studenti che si sono diplomati. Siamo al punto già più volte sollevato da Antonio Gramsci, per il quale la Questione meridionale è una enorme questione nazionale.

Se si svuotano le regioni del Sud delle loro migliori risorse intellettuali, se si uccidono gli Atenei, se non si interviene con politiche organiche e investimenti per metter fine alla massiccia evasione scolastica, si è complici del disagio e del disastro. La legge di Stabilità avrebbe potuto fornire delle risposte importanti da questo punto di vista. Non l'ha fatto.