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Sì alle occupazioni, no alle bocciature. Le scorciatoie che fanno male ai ragazzi

Le ricette dei sottosegretari faraone e d'onghia alle prese con emergenze vere. Dure le reazioni dei prof

09/12/2014
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ItaliaOggi

Giorgio Candeloro

I sottosegretari all'istruzione del governo Renzi fanno a gara nella ricerca di protagonismo e consensi. Specie tra gli studenti. Per un Davide Faraone che esalta le occupazioni -illegali- di scuole come momento di «crescita democratica» (facendo imbestialire le associazioni di categoria della dirigenza e la preside di un noto liceo romano, che gli ha organizzato sotto la sede del Miur un sit in di prof e genitori inferociti), c'è un'Angela D'Onghia che fa balenare ai ragazzi delle superiori la possibilità di un'imminente abolizione delle bocciature nel primo biennio, che pare sia effettivamente allo studio dei tecnici del Miur.

Anche lei, come l'incauto collega filo-occupatore, lancia la proposta in un'intervista, sostenendo che i primi due anni delle superiori «devono essere un periodo di inclusione e non di sbarramento».

Immediato quanto ovvio il successo raccolto dall'ipotesi sui siti studenteschi e nei capannelli di corridoio a ricreazione; tutto piuttosto prevedibile, almeno quanto lo scetticismo manifestato dai docenti informati della proposta. In realtà, ancora una volta, a dettare legge sono considerazioni –peraltro molto fondate- legate ai costi dell'insuccesso scolastico, ormai poco sostenibili per il sistema.

Tutto parte da una reale emergenza i cui contorni sono stati chiariti nei giorni scorsi dalla presentazione dei risultati di un'indagine conoscitiva della commissione cultura della Camera sulla dispersione scolastica in Italia, a cui hanno fornito il loro contributo specialisti del Miur, dell'Invalsi, dell'Ispol e anche dirigenti scolastici e docenti ed effettuata nell'aprile scorso. Nel nostro paese il 17,6% della popolazione scolastica abbandona il percorso di studi superiore , con picchi di quasi il 26 in Sardegna, del 25 in Sicilia e di circa il 22 in Campania, mentre percentuali di gran lunga inferiori a quelle nazionali si hanno nella maggior parte delle regioni del nord e del centro.

Pur se in calo netto rispetto al 2006, quando il dato nazionale superava il 20%, la dispersione scolastica nella penisola continua dunque ad essere troppo alta, sia rispetto alla media europea, attestata al 12%, sia in vista dell' ambizioso obiettivo della “Strategia Europa 2020”, che fissa per la fine del decennio una drastica riduzione al 10%.

Un ritardo, quello italiano, che ha un costo elevatissimo in termini economici: secondo dati OCSE, ogni studente disperso, costa al sistema scolastico nazionale circa 6400 euro, mentre un ipotetico azzeramento della dispersione scolastica italiana avrebbe un impatto sul PIL stimato prudenzialmente attorno al 5%. Tradotto, alcuni miliardi. Quali strategie adottare allora? Il sottosegretario D'Onghia sembra avere pochi dubbi, attribuendo implicitamente agli approcci rigidi di alcuni insegnanti e all'eccesso di bocciature, la responsabilità principale della dispersione troppo alta.

Effettivamente 180mila respinti l'anno, di cui 100.000 nella fascia tra i 14 e i 17 anni –proprio quella del biennio superiore- sembrano davvero troppi, ma pare azzardato affermare che la sanatoria nel biennio possa bastare di per sé a far evaporare la dispersione. Crederlo significherebbe imboccare una scorciatoia, ignorando gli altri fattori che concorrono alla fuga dai banchi, come i contesti sociali ed educativi difficili, la vita in quartieri disagiati e, forse, anche l'eccessiva lunghezza, almeno negli indirizzi tecnico-professionali, del percorso quinquennale delle superiori, ormai quasi un unicum in Europa.


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