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Settembre è già domani

Andrea Gavosto-Il Ministero deve dare le linee guida per la scuola

08/06/2020
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la Repubblica

Ministra e sindacati prima, maggioranza e opposizioni poi si sono scontrati sul decreto scuola approvato sabato. Che però — va ricordato — tocca solo marginalmente la questione centrale: come riaprire le scuole a settembre. Molto più grave è che il governo stia trasmettendo alle famiglie e alla scuola la sensazione di non avere una direzione di marcia.

Per capire meglio, facciamo un passo indietro. All’inizio del lockdown, molti insegnanti (non tutti) si sono impegnati a superare la propria impreparazione nella didattica digitale, pur di continuare a fare scuola a distanza. Con l’aiuto del ministero, che aveva dato una linea. Il Paese aveva apprezzato. Col tempo, però, il clima è mutato. Ci si è resi conto dei limiti della didattica a distanza, due sopra tutti: molti ragazzi sono stati tagliati fuori; spesso le video-lezioni hanno riproposto un modo vecchio di insegnare, la lezione frontale, ormai superato almeno nella scuola dell’infanzia e primaria. Sono così iniziate le pressioni per fare tornare al più presto tutti in aula, sempre più insistenti al ridursi del contagio: se riaprono bar e ristoranti, perché non le scuole? Gli argomenti non sempre erano fondati, ma la richiesta legittima. Anche perché il rischio di non recuperare la perdita di apprendimenti di questi mesi è drammatico.

Il governo non ha saputo dare una risposta convincente. Invece, in queste settimane ha cambiato rotta più volte, generando confusione e irritazione. Dapprima ha parlato di sdoppiamento delle classi: metà classe in aula e l’altra a casa, ignorando la difficoltà di una didattica che funzioni per entrambi i gruppi.

Oppure di turni mattina e pomeriggio. E ha stanziato fondi per recuperare e rinnovare spazi dentro e fuori gli edifici scolastici: una buona idea per il futuro, ma in tre mesi non si potranno fare grandi cose. Poi, ha proposto riduzioni delle lezioni a 40 minuti. L’ultima è tutti in aula, senza turni o sdoppiamenti di classe, con divisori di plexiglass nei banchi: idea costosa e dannosa per l’ambiente, pedagogicamente discutibile e anche illogica. Se basta questo per la sicurezza, perché si sono persi mesi, affermando che la riapertura era un’operazione complessa?

Scuole e famiglie devono conoscere subito la strada che il governo vuole percorrere di qui a settembre, pur tenendo conto di tutte le incertezze legate all’andamento epidemico.

Credo si possano condividere tre principi. Il primo è prudenza e giusto distanziamento. Nonostante la retorica prevalente sulla fase 3, il virus è ancora molto attivo nel mondo e sappiamo che scuole e università, per la frequenza di contatti in ambienti chiusi, potrebbero essere focolai di una seconda ondata. Non a caso, nessun Paese europeo ha riaperto le scuole completamente. Il secondo è che non esiste un’unica soluzione per i 40.000 edifici scolastici: ognuno con aule e corridoi di dimensioni diverse, ingressi differenti. Per non dire di fattori esterni, come i trasporti pubblici. Servirà un articolato ventaglio di soluzioni, ma queste dovranno essere adattate al singolo caso. Terzo, vanno definite ora le regole del gioco: chi decide infine come riaprire una scuola? Ragionevolmente, il dirigente scolastico. Che va però aiutato, tranquillizzandolo sulle responsabilità — civili e penali — e fornendogli le competenze tecniche necessarie. Altrimenti il rischio è che pecchi per eccesso di cautela.

Linee guida univoche, flessibili e con risorse adeguate sono la condizione necessaria perché tutti — dirigenti, docenti, enti locali e anche le famiglie — remino nella stessa direzione per far ripartire la scuola. Con quel che c’è da fare, settembre è davvero domani.

L’autore è direttore della Fondazione Agnelli


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