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Scuolaoggi: Un altro modo di "essere scuola"

«Una scuola non è inclusiva perché ci sono 5 bambini disabili e, magari, 50 bambini stranieri,...

16/12/2008
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ScuolaOggi

di Luciana Di Mauro

«Una scuola non è inclusiva perché ci sono 5 bambini disabili e, magari, 50 bambini stranieri, lo è perché accoglie tutti e offre a tutti e a ciascuno la possibilità di sviluppare le proprie potenzialità conoscitive e di maturare sotto il profilo culturale, sociale, civile». L’on. Letizia De Torre, già sottosegretario alla Pubblica Istruzione nell’ultimo governo Prodi, considera devastante il piano predisposto dal Ministero dell’Istruzione, sulla base della manovra di agosto, e ancor più il decreto legge 137 (convertito con legge n. 169) perché privo di pensiero culturale ed ispirato a mera ideologia: la meritocrazia che si prende cura esclusivamente della formazione delle classi dirigenti. La incontriamo nel suo studio di palazzo Marino, sede degli uffici dei parlamentari di Montecitorio, per fare il punto sull’integrazione scolastica dei ragazzi con disabilità, una delle grandi scelte valoriali della scuola italiana, ma, e non da oggi, a rischio di usura per mancanza di cura. Insieme a lei c’è il prof. Italo Fiorin, pedagogista, tra i maggiori esperti di didattica speciale, una delle teste pensanti che De Torre ha scelto per presiedere il comitato scientifico che, nel 2007, ha dato vita al progetto “I CARE Imparare Comunicare Agire in una rete di scuole”. Un progetto «specificamente rivolto ai problemi dell’integrazione scolastica e sociale dei ragazzi con disabilità» con il fine di promuovere “effettivamente” una dimensione inclusiva di tutta la scuola italiana.

Quando trentanni prima, il 4 agosto 1977, il Parlamento approvava la Legge 517 che introduceva nuove norme per la valutazione, eliminava l’esame di riparazione nelle medie inferiori, aboliva le classi differenziali….nella nostra scuola era stata fatta una rivoluzione e non da poco. Allora la senatrice Franca Falcucci non era ancora ministro, lo diventerà solo nel 1982, ma nel 1975 su richiesta del Ministro Malfatti presiedette la Commissione per l’integrazione scolastica degli alunni handicappati (era questa la terminologia in uso all’epoca), le cui conclusioni, note appunto come Documento Falcucci rappresentano le radici dell’integrazione scolastica. Solo dopo il ministro volle la senatrice che si occupava di scuola, quale sottosegretario alla Pubblica Istruzione, come lei stessa ricorda in una delle sue rare interviste, concessa a Vita.it nel marzo 2007. L’on. De Torre non può fare a meno di riprendere e mostrarci quel vecchio documento, oramai digitalizzato, e cita a memoria le parole con cui la Falcucci salutò l`approvazione la Legge 517: «Cambierà la scuola, perché sarà un altro modo di essere di tutta la scuola».

Nell’ intervista del marzo 2007 l’ex ministra ricorda il clima dell’epoca: «Era cominciata che gli handicappati in classe nessuno li voleva, c’erano molte resistenze. Il problema non era dentro il mondo della scuola, ma fuori: culturale, nelle famiglie. Però ci abbiamo lavorato molto, prima di fare la legge abbiamo preparato a lungo il terreno, quindi alla fine siamo riusciti a farla passare».

Il quel documento si postulano molti dei capisaldi della scuola elementare degli ultimi vent’anni: il superamento del concetto di unicità del rapporto insegnante-classe, una valutazione non più legata al voto numerico ma attenta ai punti di partenza e di arrivo, alla valorizzazione e allo sviluppo di tutte le potenzialità. «Se si distruggono tutti questi capisaldi – è ferma convinzione di De Torre - sarà molto difficile avere una scuola inclusiva. La meritocrazia che s’invoca altro non è che ideologia, non a caso si sente molto parlare di alti talenti perché si ha a cuore solo la formazione della classe dirigente». E, invece, prosegue: «La scuola italiana fino a oggi ha teso a valorizzare tutti i talenti, e mirava allo sviluppo di tutte le capacità affinché ogni persona possa essere protagonista della propria crescita». Non si nasconde, però che: «Stiamo parlando di una scuola ideale, dove tutti i soggetti sono coinvolti e concorrono al raggiungimento dei risultati, dalla scuola al gruppo docente al personale ausiliario alle istituzioni ed enti territoriali che con essa interagiscono e convergono, ciascuno per le proprie competenze e responsabilità, verso questa idea di scuola aperta a tutti, ciascuno con la propria diversabilità». Se così fosse basterebbe il rapporto 1 a 4 alunni con disabilità previsto dalla Legge 517, con possibilità di deroga in casi di particolare gravità, ma senza dimenticare che il sostegno si fa alla classe.

Nella pratica, molto di quel pensiero culturale si è smarrito, se una ricerca realizzata con Andrea Canevaro, dell’università di Bologna, e Luigi D’Alonzo della Cattolica rivela che molti bambini e ragazzi disabili passano molto tempo fuori dalle classi: uno su due alle superiori sta fuori, 35 su 100 nella scuola dell’infanzia stanno un po’ dentro e un po’ fuori, percentuale che sale al 60% nella primaria e al 69 nelle medie inferiori (cfr. Corriere della Sera del 20-10- 2008). Al j’accuse nei confronti del ministro Fioroni e del governo Prodi, rei di aver introdotto, con la Finanziaria 2008, un rapporto medio nazionale di un posto di sostegno ogni 2 disabili, De Torre risponde: «Volere un rapporto uno a uno e cioè un posto di sostegno per ogni alunno con disabilità, significa non inserire e non socializzare». Se le cose non vanno bene anche su questo fronte non è perché diminuiscono gli insegnanti di sostegno. Le ragioni sono altre .

Sono 164mila gli alunni disabili nelle nostre aule, un numero uguale a quello di dieci anni fa. «Noi conosciamo statisticamente – spiega, quindi, il prof. Fiorin – l’organico di cui mediamente abbiamo bisogno. Il problema semmai è nella sua distribuzione e nel fatto che abbiamo la più alta mobilità (53 docenti di ruolo e 40mila precari) proprio lì dove c’è bisogno di maggiore di continuità, di uno staff fisso e un organico funzionale in una scuola in rete». Il governo Prodi aveva, dunque, stabilito con la Finanziaria 2008 il rapporto che si era consolidato nel tempo, tra docenti e alunni diversamente abili, e su questa analisi aveva elaborato un piano di stabilizzazione degli organici in tre anni.

«Il lavoro avviato dalla De Torre infatti – osserva Fiorin - è stato di vedere i difetti, non nasconderli, ma di affrontarli alla luce di un progetto». Il quanto si spende va valutato rispetto a cosa, se si spende male si corregge, ma se il costo è legato a una scelta valoriale, va ricostruito il pensiero che ha accompagnato la legge 517. «Per fare oggi la scuola della Falcucci – afferma in sintesi il professore – bisogna fare altre cose». In primis correggere il difetto nel meccanismo. Oggi la rilevazione della disabilità avviene con strumenti scientifici, sulla base della classificazione ICD (International Classification of Desaeses) dell’OMS. «Una valutazione più attenta - ci spiega ancora Fiorin – che offre elementi qualitativi e, pertanto, indica anche le necessità educative speciali ed avvicinare la competenza al bisogno, come sostiene da tempo Canevaro».

In questa direzione si muove l`intesa dei Ministeri dell`Istruzione e della Salute con La Conferenza Unificata, Stato Regioni e Autonomie Locali, “in merito a modalità e criteri per l`accoglienza scolastica e la presa in carico dell`alunno con disabilità”, del marzo 2008. Da un lato, dunque, si perviene a una semplificazione della certificazione e all`impegno, ciascuno in base alla proprie competenze, a costituire una sola equipe multiprofessionale, per la presa in carico del bambino nel suo percorso di vita e scolastico; dall`altro viene definito e fatto partire il progetto ICARE e il suo Piano nazionale di formazione e ricerca. «La sua particolarità – spiega Fiorin che ha presieduto il Comitato scientifico – è di rivolgersi non ai singoli insegnanti ma alla scuola che si iscrive, facendolo ogni istituzione scolastica s`impegna ad auto-migliorarsi». Quattro le piste individuate: il campo della didattica, quello dell`organizzazione, la relazione scuola – famiglia, quello infine del rapporto con il territorio. Dentro tale quadro ogni scuola è stata chiamata a collocarsi nei punti di forza e in quelli deboli. L`obiettivo del Piano a livello di singola istituzione scolastica è di migliorarsi e fare da tutor ad altre scuole; mentre la finalità nazionale è quella di individuare i LEP (Livelli essenziali delle prestazioni), in relazione ai quattro pilastri indicati. «Se in anno – sottolinea in conclusione l`on. De Torre – il Piano ha toccato 1700 scuole (non 1700 docenti), in cinque anni avremmo raggiunto tutte le istituzioni scolastiche e qualificato l`insegnamento di sostegno nella didattica speciale: specialisti per tutta la scuola». Un progetto che portato avanti potrebbe disegnare, rispetto alla Legge 517, un`altra “rivoluzione” evolutiva e non regressiva.

di Luciana Di Mauro


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