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Scuola, le classi perdenti: il rendimento cala se gli immigrati sono oltre il 30%

È quanto emerge dallo studio realizzato dal Laboratorio di Politica Sociale del Politecnico: i risultati emersi a partire dai test Invalsi delle elementari

09/12/2017
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Corriere della sera

Federica Cavadini

Imparare è più difficile in certe scuole multietniche dove gli alunni stranieri sono la maggioranza. Lo dicono i risultati, a partire dai test Invalsi delle elementari: i valori sono più bassi, c’è un calo del rendimento. Dove invece le classi sono miste ma bilanciate la preparazione degli studenti è in linea con la media cittadina e anche superiore. Così risulta dallo studio realizzato per il Corriere della Sera dal Laboratorio di Politica Sociale del Politecnico. Alle medie la differenza fra scuole diventa più sfumata, lo scarto fra italiani e stranieri però rimane, basta leggere i dati raccolti dal ministero dell’Istruzione su promossi e bocciati. Alle superiori gli stranieri restano indietro, la stangata del primo anno c’è per tutti ma con percentuali diverse, fra gli italiani i respinti sono il 12 per cento, fra quelli con altra cittadinanza sono più del doppio (28 per cento) e alla fine del ciclo ci sono ancora due velocità, 4 per cento contro il 14 per cento. Ecco che cosa mostra l’analisi del Politecnico sui dati Invalsi di quinta elementare e terza media. «La performance scolastica cala quando nelle classi si supera la quota del 30 per cento di stranieri, è una soglia cruciale che dovrebbe essere evitata o comunque monitorata», è la sintesi di Costanzo Ranci, docente di Sociologia economica, autore della ricerca e del volume White Flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo. «I dati sulle prove di terza media però evidenziano che è meno significativa la differenza tra scuole omogenee e miste, in italiano l’Invalsi delle miste è persino superiore. La scuola dunque allinea le differenze di partenza», osservano i ricercatori.

Coincide il resoconto dei presidi di tante scuole delle periferie dal Corvetto a Maciachini a San Siro dove gli italiani non superano il 20 per cento. Alle elementari di via Dolci (a San Siro), in più classi sono soltanto in due fra compagni egiziani, marocchini e filippini. «Qui sono più del 65 per cento gli alunni stranieri. E tanti genitori italiani preferiscono la scuola privata in fondo alla via perché temono problemi nell’apprendimento», racconta il preside Massimo Barrella. «Il tetto del 30 per cento sarebbe opportuno per avere risultati migliori ma è utopistico in questo quartiere — dice —. Per garantire una buona preparazione la scuola impegna tutte le risorse». In via Dolci quattro maestre insegnano italiano per stranieri e il preside spiega che «con i fondi per le aree a forte processo immigratorio, settemila euro, abbiamo aggiunto cento ore extra». Poi laboratori e attività, anche in orario extra scolastico, dal coro multietnico al corso di percussioni africane al corso di arabo: «Così si fa integrazione. Anche rafforzando i bambini nella lingua madre, li aiuta nell’apprendimento», spiega Barrella.

Buone pratiche e insegnanti esperti non bastano ad azzerare la distanza, che si legge anche nei voti di terza media: i 6 sono più numerosi fra gli alunni stranieri, gli 8 e 9 fra gli italiani. E poi c’è lo studio del Politecnico che mostra quanto incide la composizione delle classi. Ai test Invalsi di Italiano delle elementari la media cittadina è 75,3, è più alta nelle scuole omogenee e miste e scende, fino a 66, in quelle con più stranieri. In Matematica la distanza è ancora più netta, la media è 54,9, sale negli istituti misti e scende fino a 45 dove gli alunni con altra cittadinanza sono più di sei su dieci. «Imparare l’italiano richiede più di un anno quindi occorre impegnare diversi insegnanti “facilitatori” — spiega Francesca Delvecchio, docente alle scuole del Trotter —. Abbiamo laboratori di lingua per principianti e per il livello elementare ma non basta imparare a parlare, servirebbero corsi di italiano per lo studio ma non ci sono abbastanza risorse». E restano le differenze. «L’unica strada è l’integrazione — è il parere della professoressa, che da 15 anni insegna agli alunni stranieri anche come volontaria —. Qui lo vediamo da anni. I bambini imparano in fretta, più sono inseriti e più rapporti hanno con i compagni italiani».


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