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Repubblica-Preghiera laica nel giorno di Natale

Preghiera laica nel giorno di Natale EUGENIO SCALFARI Il presente, il futuro, il passato. La libertà, la necessità. Nell'imminenza d'una ricorrenza dedicata alla vita che nasce, allo stup...

24/12/2005
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la Repubblica

Preghiera laica nel giorno di Natale
EUGENIO SCALFARI
Il presente, il futuro, il passato. La libertà, la necessità. Nell'imminenza d'una ricorrenza dedicata alla vita che nasce, allo stupore felice del mistero d'una vita che nasce, meritano qualche riflessione quei cinque concetti che ho appena indicato. I primi tre delimitano il fluire del tempo, gli altri due le modalità del nostro vivere, antinomiche l'una rispetto all'altra, eppure così compresenti e coesistenti l'una con l'altra e tali da configurare completamente la condizione umana e il tempo entro il quale essa è chiamata ad operare.
Il giorno della Natività induce a riflettere sul mistero della vita che è senza alcun dubbio la conseguenza di un atto di libertà. Ma è altrettanto vero che questo atto di libertà compiuto da due persone pone il nuovo nato fin dall'inizio di fronte a elementi di necessità: il colore della sua pelle, il luogo in cui nasce, la condizione sociale, l'ereditarietà dei geni che presiedono alla sua struttura psico-fisica. Il nuovo nato è libero e condizionato al tempo stesso e questa dicotomia si rifletterà in ogni suo atto e in ogni suo pensiero dal momento in cui è nato a quello in cui morirà, che è incognito ma inevitabile.

Il nuovo nato al quale è dedicata la ricorrenza cristiana del Natale vide la luce così racconta la tradizione in un villaggio della Giudea. La tradizione racconta che l'evento ebbe luogo in una stalla riscaldata dal fiato degli animali. Ne furono casualmente testimoni alcuni pastori. E questo è tutto; pochissimo, eppure sufficiente a stabilire fin dall'inizio di quella vita mortale alcune condizioni entro le quali il nuovo nato avrebbe vissuto e agito. Era maschio, era ebreo, era povero, correva il primo anno d'un calendario che dalla sua nascita ebbe inizio e che ora conta duemila e cinque anni. Questo è il flusso temporale decorso fin qui ma la sua nascita affonda in un passato che aveva alle spalle centinaia di migliaia di anni di evoluzione della nostra specie.

Spesso accade che si discuta quale dei tre periodi che scandiscono la nostra vita sia più importante: se il presente o il futuro oppure il passato, fermo restando che futuro e passato vengono comunque immaginati e vissuti, o rivissuti, dal punto di vista del presente nel quale si trova il soggetto pensante.

Il passato ha dalla sua il privilegio di fondarsi su fatti accaduti. Il passato è dunque un dato di fatto rivissuto per mezzo della memoria. Ma qui dobbiamo avvertire che la memoria è originariamente individuale, quindi soggettiva; per di più essa è mutevole nella mente d'uno stesso individuo.
Esiste anche una memoria collettiva, formatasi attraverso le "gesta" della "polis", della comunità cui apparteniamo.
Vi apparteniamo non per nostra libera scelta ma perché così ha voluto il caso, quindi la necessità e non la libertà. Io sono nato in Italia e da genitori italiani, qualsiasi cosa ciò possa significare. Ma debbo sapere che una moltitudine di miei simili è venuta alla luce in quello stesso giorno in una quantità di altri luoghi in tutte le latitudini e le longitudini del pianeta, clima diverso, stelle diverse, diverse culture.

Il bambino nato a Betlemme duemila e cinque anni fa fu fatto nascere dalla libera decisione di suo padre e sua madre in quel luogo e in quel tempo.
Chiunque fosse suo padre (lo Spirito Santo secondo la dottrina della Chiesa) quella decisione fu libera. Nello stesso giorno nacquero altri bambini in Africa in Europa in Asia in America in Oceania e Australia. Il caso (o suo padre dall'alto dei cieli) decise le condizioni della sua vita. Ma egli, Gesù il Nazareno, diventato precocemente adulto decise di lanciare un messaggio che superava le condizioni delle genti in mezzo alle quali viveva; superava la legge che regolava la sua comunità. Un messaggio indirizzato a tutti, uomini e donne, liberi e servi, poveri e ricchi. Un messaggio profetico proveniente dalla terra profetica dove era nato, la terra di Ezechiele, di Daniele, di Geremia, di Isaia, del Battista. La terra che Mosè aveva promesso agli schiavi in cattività egiziana.
Era possibile che un figlio di Dio nascesse in quel tempo e in un luogo che non fosse la terra profetica di Israele? Era possibile che nascesse ad Atene o ad Alessandria o a Roma o in qualunque altro luogo del pianeta? E che il suo messaggio trovasse consenso e convocasse discepoli? E poteva riecheggiare nel mondo per mezzo di loro e attraverso i secoli?
No, non era possibile. Perché in quel piccolo villaggio della Giudea, e soltanto lì, esistevano le condizioni accumulatesi nel passato affinché il seme gettato fruttificasse e si spandesse nel mondo.
L'atto della nascita fu libero, effettuato in quel presente, ma le possibilità del futuro si verificarono grazie a quel passato. Senza quel passato, senza quella storia non ci sarebbe stato quel futuro.
Altri individui si sono certamente immaginati e pensati figli di Dio. Una moltitudine di individui l'ha immaginato e lo immagina, ognuno a suo modo in qualche sprazzo della propria natura lo immagina senza necessariamente esser pazzo. Ma lì soltanto e in quel momento ne esistevano le condizioni di realizzabilità.
L'evento ha avuto i suoi riflessi in larga parte del mondo e li ha tuttora su di noi. Su ciascuno di noi, che sia credente cristiano o credente di altra religione o non credente. Dunque l'atto libero cui si deve quella nascita ha posto ciascuno di noi a duemila anni di distanza di fronte a elementi dati, elementi di necessità dai quali nessuno di noi può prescindere perché fanno parte della nostra condizione storica nel nostro presente.si diceva del presente, del futuro e del passato. Si diceva che il passato è affidato alla (mutevole) memoria soggettiva e a quella (altrettanto mutevole) della comunità a cui ciascuno di noi appartiene. Aggiungo che il passato è un'epoca determinata perché determinato e non infinito è il tempo della memoria.
Anche il futuro è determinato poiché è il frutto possibile della nostra immaginazione. La quale spazia in un tempo anch'esso finito. Quella individuale è solitamente più breve di quella collettiva, affidata alla classe dirigente di quella specifica comunità. Il tempo breve dell'immaginazione individuale e quello solitamente più lungo della classe dirigente della comunità, che si assume la responsabilità di operare per il bene comune.
Accade però talvolta che l'immaginazione della classe dirigente sia ancora più breve dell'immaginazione individuale, quando la responsabilità del futuro sia stata assunta da un tiranno o da una classe dirigente scellerata che anteponga la propria felicità alla felicità collettiva e si appropri delle risorse comuni per soddisfare i propri appetiti. La storia ci offre infiniti esempi di siffatta appropriazione e d'una immaginazione che si riduce al motto "dopo di me il diluvio".
Passato e futuro vivono comunque nella nostra mente entro uno spazio temporale determinato. Non così il presente.
Il presente ci sembra ristretto ad un solo attimo che immediatamente si trasforma in passato, incalzato dall'attimo seguente che proviene dal futuro.
Ma, a rifletterci più a fondo, il presente è in realtà eterno nel corso di tempo assegnato alla nostra esistenza. Il flusso scorre continuamente ma la sua percezione è affidata all'attimo del presente e a quello soltanto, che nella sua istantaneità è dunque eterno.
Si tratta tuttavia d'una eternità fragilissima perché dipende sia dall'immaginazione del futuro sia dal ricordo del passato. Se per ipotesi la mente d'un individuo fosse del tutto priva d'immaginazione e anche di memoria, il suo presente cesserebbe di esistere come stato di coscienza.
L'individuo umano regredirebbe allo stato dell'animale che vive anch'esso in un eterno presente ma non ne ha coscienza, animato soltanto da istinti e pulsioni.
Ciò che accade agli individui accade anche alle comunità. Se esse recidono il passato dalla loro storia collettiva e cessano d'immaginare il futuro limitandosi a soddisfare gli appetiti attuali, regrediscono ad uno stato di ferinità che in breve dissolve ogni regola e inaugura la condizione dell'uomo-lupo hobbesiana.
Questa considerazione sul tempo è pertinente alla ricorrenza della Natività; essa infatti ci stimola a riflettere sul futuro e sul passato della vita che nasce qui e oggi e dell'infinita moltitudine di vite nate nel loro qui e oggi e di quelle che nasceranno nel loro oggi e nel loro qui. Memoria del passato, immaginazione del futuro danno senso al nostro presente e lo riscattano alla sua umanità. Le società che trascurano memoria e immaginazione si disumanizzano. Occorre dunque impedire questa trascuratezza, occorre ravvivare la memoria del passato e la sollecitudine verso il futuro. Occorre scacciare il diabolico che dissipa il futuro per alimentare i godimenti del presente e cancella il passato rifiutandone il lascito e azzerando la memoria.

talvolta accade che il presente sia così poco soddisfacente, così moralmente povero, così eticamente scadente da indurci a disertarlo, raccogliendoci in un presente solitario, in una solitaria preghiera, religiosa o laica che sia. (I religiosi forse ignorano che anche i laici pregano invocando la propria coscienza).
Per concludere userò qualche verso di una lirica molto pagana ma inopinatamente molto religiosa nel suo struggente evocare l'eternità d'un attimo consapevole.

Il giorno, disse, non potrà morire.
Mai la sua faccia parve tanto pura.
Non ebbe mai tanta soavità.

A me basta per dare senso alla vita.


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