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Ragazze e studenti del Nord. Ecco chi lascia la scuola

I darti sul tasso di abbandono: fra i maschi, in Lombardia, è salito di due punti dal 2016 al 2017, mentre quello nazionale fra le femmine è cresciuto in tutta Italia. Il tasso di dispersione scolastica in questo secolo era sempre sceso

09/02/2020
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Corriere della sera

Federico Fubini

Eppure era già stato detto tutto nella Costituzione e nient’altro dovrebbe essere necessario aggiungere. All’articolo 34 si legge: «La scuola è aperta a tutti. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». E ancora: «La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso».

Il trend

Non potrebbe essere più chiaro. E se solo i costituenti potessero tornare fra noi, concluderebbero forse che le loro parole non sono cadute del tutto nel vuoto. Tre quarti di secolo dopo, l’analfabetismo in Italia è arretrato e l’istruzione superiore si è diffusa. Anche nelle distanze più brevi qualcosa si muove dato che l’Istat, l’istituto statistico, misura progressi su vari fronti: nell’ultimo anno registrato (2018) aumenta la quota delle persone fra 25 e 64 anni di età che hanno raggiunto un diploma delle superiori; la malattia sociale dei giovani che non studiano né lavorano resta endemica — quasi un quarto del totale — ma arretra un po’; quanto alla percentuale di giovani laureati, non era mai stata così alta. Su tutti questi fronti restiamo indietro rispetto alle medie europee e ancora di più rispetto a Francia o Germania, certo. Ma tutti stanno evolvendo — benché in ritardo — nella direzione indicata dai costituenti per portare l’Italia fuori dall’arretratezza e dall’umiliazione della dittatura.
A maggior ragione, resta da capire perché qualcosa non sta funzionando. In una Repubblica appassionata dei propri misteri questo oggi è probabilmente il più inosservato e inspiegato: gli italiani tornano a distaccarsi dagli studi; sempre meno spesso li concludono. Abbandonano più di prima, anche quando proseguire sarebbe stato gratuito o quasi. Ragazze e ragazzi lasciano la scuola prima del diploma e, se ci arrivano, scelgono più raramente di proseguire visto che meno di uno su due — flussi in netto calo — si iscrive all’università dopo le superiori. È un’involuzione degli ultimi tempi, concentrata nei ceti più deboli secondo l’Anagrafe nazionale degli studenti del ministero dell’Istruzione. Eppure, in teoria, non ha molto a che fare con le profonde recessioni dell’economia di un decennio fa.

I numeri

I dati non lasciano molti dubbi. Nel 2017 e 2018 il tasso di abbandono delle scuole è tornato a peggiorare, in controtendenza con l’andamento dell’occupazione (che migliora) e dell’economia (che migliorava e ora almeno non peggiora). Il fenomeno della cosiddetta «uscita precoce dal sistema di istruzione» si muove in contraddizione, anche, con le tendenze della società italiana: la quota di studenti che gettano la spugna prima del diploma aumenta di più nelle regioni maggiormente sviluppate e, a livello nazionale, in particolare fra le ragazze che pure erano sempre rimaste più dei maschi fra i banchi di scuola. In effetti non si notava dall’inizio delle serie statistiche nel 2004 un simile rovesciamento: il tasso generale di abbandono scolastico in questo secolo era sempre sceso, ma ora risale dal 13,8% al 14,5% negli ultimi due anni fino al 2018 (la media europea è al 10,6%).
Le recessioni, in precedenza, avevano spiegato i passi indietro in alcune regioni molto produttive. In Veneto si era avuta un’impennata degli abbandoni scolastici fra i ragazzi in coincidenza con la recessione del 2008-2009 e con quella del 2011. Nel 2017 e 2018 invece l’economia veneta è cresciuta del 3,4%, il doppio della media italiana, eppure gli abbandoni precoci della scuola risalgono anch’essi a un ritmo doppio sulle medie nazionali con un balzo del 4%. In Lombardia il tasso di abbandono maschile, che aveva tenuto durante le crisi di un decennio fa, è ripreso a salire nel 2017-2018 proprio quando la regione è cresciuta economicamente di oltre il 4%. Gli studenti maschi che lasciano le scuole prima del diploma risalgono di due punti al 16,4%, un livello superiore a Lazio, Abruzzo e Molise. Quanto alle ragazze, fra loro i nuovi aumenti in media nazionale dell’ultimo biennio (dell’uno per cento, al 12,3%) sono più forti che per i maschi e si concentrano molto in Piemonte e in Veneto. In Campania la quota delle ragazze che lasciano la scuola — da sempre inferiore, ovunque — supera quella dei ragazzi.

Il forum

Se n’è parlato molto nei giorni scorsi nel «Forum Education», un incontro organizzato dal direttore del Festival della Comunicazione di Camogli Danco Singer con – fra gli altri — il sindaco di Milano Giuseppe Sala, il presidente di Generali Gabriele Galateri, l’ex ministro dell’Istruzione e oggi direttore all’Unesco Stefania Giannini, l’economista Fabrizio Barca, l’ex magistrato Gherardo Colombo e il direttore nazionale delle prove Invalsi Roberto Ricci.
Proprio Ricci sottolinea come il ritorno degli abbandoni scolastici in Italia in questi anni resti da decifrare, anche per gli specialisti. Di certo rimane un termometro della società, della capacità dei genitori di seguire i figli, delle scuole di stare in contatto con le famiglie (e viceversa), dei ragazzi di vedere un futuro attraverso la propria stessa educazione. A loro la scuola sembra sempre di meno un ascensore sociale, anche se il Paese non è in recessione. Ma dato che in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna gli studenti che gettano la spugna sono fra un quinto circa e un quarto del totale ogni anno — livelli record in Europa — Ricci di Invalsi conclude: «Non esiste nei fatti un sistema scolastico nazionale». Anche perché, aggiunge il direttore delle prove Invalsi, «il condizionamento sociale è così forte che dopo otto anni fra i banchi i figli di genitori laureati hanno un vantaggio medio sui figli di genitori con licenza elementare che equivale a un anno intero di scuola».


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