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Poletti: «Laurearsi con 110 e lode a 28 anni non serve a un fico»

Il ministro: «Meglio prendere 97 a 21 anni. In Italia il problema è il tempo». L'ironia su Twitter: lui ha risolto il problema non laureandosi

27/11/2015
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

Il ministro del Lavoro torna a strigliare i giovani: «Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21», ha detto Giuliano Poletti, dialogando con gli studenti durante la convention di apertura a Veronafiere di «Job&Orienta», la 25esima mostra convegno nazionale dell’orientamento, scuola, formazione, lavoro. Poletti attacca, e i giovani, chiamati di nuovo in causa da un ministro del Lavoro, rispondono rabbiosamente su Twitter. L'ultima volta era stata Elsa Fornero a bollarli come «choosy», schizzinosi. Un'accusa che ancora brucia. Stavolta a fargli la ramanzina è stato l'ex presidente della LegaCoop, che è stato immediatamente sommerso da uno tsunami di post polemici, molto polemici. Il ministro svaluta la lode presa a quasi trent'anni? «Lui aveva risolto così il problema: non s'è laureato». Poletti crede che studiare non serva? «Basta sentirlo parlare per capire». E ancora: «Ecco la summa del pensiero di #Renzi e #Poletti: l'elogio dell'ignoranza».

In ritardo

Dopo averli spronati ad attivarsi per entrare presto nel mondo del lavoro, accorciando magari i tempi di vacanza scolastica per dedicare parte del tempo ad esperienze formative, Poletti è tornato alla carica: «I nostri giovani - ha detto - arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo».

Il voto

C’è che i nostri licei durano cinque anni e nel mondo anglosassone, per dire, un anno di meno. E c’è che i nostri universitari stanno in aula cinque anni (3+2) per ottenere un titolo che ha lo stesso valore della laurea inglese (che si ottiene con tre anni di studio) o di quella americana (quattro anni). Ma c’è anche il fatto che le nostre università consentono di dilatare i tempi, a chi non si fa condizionare dalle rette e dall’inattività prolungata. Mentre in altri Paesi, chi non tiene il passo è costretto a lasciare gli studi. «Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più - ha continuato il ministro - si butta via del tempo che vale molto, molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, ma non serve a niente».

Il tempo, un problema

Nei concorsi pubblici, però, il voto di laurea conta, eccome. E molti datori di lavoro, dovendo soppesare in tempi brevi un candidato, basano il loro giudizio anche sull’ateneo di provenienza e le medie scolastiche. Ma il ministro è convinto: «In Italia - ha spiegato Poletti - abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo; bisogna che rovesciamo radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura».

Alternanza

Alternanza scuola-lavoro, competenze e ruolo del lavoro nella propria vita: tanti i temi che Poletti ha affrontato, rispondendo alle domande degli studenti. «Sono convintissimo che sia molto importante», ha detto sull’alternanza scuola-lavoro. «Abbiamo cercato di introdurla per produrre esperienza, per mettere le competenze formative e didattiche che la nostra scuola produce con competenze specifiche e con modi di essere e saper essere», ha continuato Poletti. «Oggi, un’azienda che si mette in relazione con un giovane, la prima cosa che vuol capire non è cosa sappia ma chi sia e questo non si impara solo dentro un’aula. Per questo l’alternanza è decisiva, consente di fare esperienza, conoscere, mettersi in relazione e valutare meglio le nostre attitudini. Perché il lavoro è una parte essenziale nostra esistenza».


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