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Napolitano: «Trasferirsi all’estero non deve essere un obbligo»

Il capo dello Stato risponde ad un ricercatore che è stato costretto ad andare in Gran Bretagna per lavorare: «Risorse insufficienti, va programmato piano di assunzioni»

06/12/2014
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Corriere della sera

Sono indispensabili più risorse per la ricerca, trasferirsi all’estero «non può essere un obbligo». Così Giorgio Napolitano risponde a Cosimo Lacava, il ricercatore italiano in Inghilterra, che nei giorni scorsi aveva scritto una lettera indirizzata al capo dello Stato, criticando un comma della legge di stabilità che a suo giudizio avrebbe ampliato la platea dei precari dell’università. «Ho ricevuto la sua lettera e volentieri -scrive il presidente- le rispondo per esprimerle innanzitutto il mio apprezzamento per l’impegno con cui sin dagli anni dell’università ha scelto e seguito con tenacia e sacrifici un difficile percorso per realizzare i suoi obbiettivi di studio e professionali. Purtroppo, come tanti altri ricercatori meritevoli e di talento anche lei non ha trovato in Italia le condizioni necessarie per continuare le sue ricerche e si è trasferito all’estero dove ha trovato adeguate e soddisfacenti opportunità di lavoro. Lei giustamente sostiene che questa non deve essere una scelta obbligata e che l’investimento fatto per la sua formazione dovrebbe poter essere utilizzato per il bene e lo sviluppo del nostro Paese», sottolinea il capo dello Stato. Che avanza anche una soluzione: «Non vi è dubbio che il vero problema da affrontare sia quello delle risorse tuttora insufficienti destinate all’Università e che sarebbe necessario programmare un piano di assunzioni che renda l’organico degli Atenei e quindi l’Università italiana in linea con i più avanzati standard europei».

Il rischio nella Stabilità

Negli ultimi 10 anni, secondo una ricerca della Cgil presentata proprio giovedì, «negli atenei italiani c’è stato un vero e proprio esodo: su 100 ricercatori precari, l’università ne ha espulsi più di 93». A causa del blocco del turn over, nel 2014 l’università italiana ha perso tra docenti e ricercatori 2183 unità: a fronte di 2324 pensionamenti infatti sono stati attivati solo 141 ricercatori di tipo b, cioè quelli che poi, dopo 3 anni possono essere stabilizzati. E la situazione rischia di aggravarsi con il comma 29 dell’articolo 28 della legge di Stabilità, che elimina l’obbligo di attivare contratti di tipo b per i ricercatori quando un docente va in pensione, contratti che almeno in futuro garantivano un’assunzione a tempo indeterminato.

Paleari: «Siamo ai livelli del secolo scorso»

Guardando un arco di periodo più ampio, lo scenario è quello di una discesa costante nel tempo: come sottolinea il presidente della conferenza dei rettori, Stefano Paleari, «il numero di persone impegnate nella ricerca e nella didattica, in calo ininterrottamente dal 2008, ha raggiunto i livelli del 1999. Siamo cioè ritornati con le lancette della ricerca nel secolo passato. Solo negli ultimi 5 anni il numero di docenti e ricercatori è sceso da oltre 62.000 a poco più di 50.000 e i finanziamenti si sono ridotti di oltre il 20% in termini reali». E le previsioni sono tutte al ribasso: «Il governo ha inserito nella finanziaria per il 2015 150 milioni di euro per arrestare (parzialmente) gli ulteriori tagli previsti e pagare gli stipendi dei docenti e dei ricercatori in servizio. Tuttavia, il turnover anche per l’anno prossimo è fermo al 50% e il punto di minimo deve ancora arrivare», sottolinea Paleari, concludendo: «A regime, è corretto fare in modo che alla chiamata di un professore ordinario corrisponda quella di un ricercatore con tenure track. Oggi, però, la situazione è molto squilibrata e, ad esempio, per un biennio (così come è stato per il piano straordinario degli associati) occorrerebbe che la chiamata di un ricercatore con tenure track permettesse quella di tre ordinari. Il tutto per ripristinare l’equilibrio perduto in questi anni».


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