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Manifesto-La ricerca precaria

La ricerca precaria Protesta dei ricercatori sul palco di Telethon FRANCESCO PICCIONI C'è voluta una civilissima irruzione sul palcoscenico di RaiUno per far intravedere agli italiani in quale con...

20/12/2004
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il manifesto

La ricerca precaria
Protesta dei ricercatori sul palco di Telethon
FRANCESCO PICCIONI
C'è voluta una civilissima irruzione sul palcoscenico di RaiUno per far intravedere agli italiani in quale considerazione sia tenuta, in questo paese, la ricerca scientifica. Un gruppo di ricercatori precari e studenti ha infatti interrotto per qualche minuto la normale programmazione della maratona televisiva Telethon, riuscendo a leggere un breve comunicato. Durante questa trasmissione, com'è noto, vengono invitati gli spettatori a fare offerte per la ricerca scientifica, calcando molto l'enfasi su quella che ha sbocchi nella medicina (i soldi raccolti da Telethon finiscono tutti ad alcuni laboratori, anche di altissimo livello, in rapporto comunque con le società farmaceutiche). Come ha detto la ragazza delegata a leggere il breve comunicato dei precari, "Mentre qui si chiedono i vostri soldi, il governo, una volta ancora, taglia i fondi per la ricerca, blocca le assunzioni di nuovi ricercatori e rifiuta addirittura di versare il proprio contributo al fondo mondiale per la lotta all'AIDS, nonostante l'impegno assunto di fronte alla comunità internazionale. Il mancato sostegno alla ricerca si manifesta nella dilagante precarietà del personale scientifico, nell'assenza di servizi per gli studenti e nell'impossibilità di sviluppare progetti scientifici di lungo periodo". Tra gli impegni disattesi figura anche quello preso nel 2001 a livello di comunità europea: arrivare in tempi rapidi a destinare il 3% del prodotto interno lordo alla ricerca scientifica pubblica. L'Italia viaggia da allora intorno all'1,1%; e i progetti di "riforma" del settore prospettati dalla Moratti fanno presagire un impegno ancora minore.

Secondo alcune stime per difetto, i ricercatori precari sono almeno 55.000, comprendendo in questa definizione forme contrattuali come gli assegni di ricerca, i contratti a progetto, i dottorandi, i professori a contratto e i ricercatori a tempo determinato. Una massa di gente che fa funzionare le università e i lavoratori, ma che riceve dal governo segnali negativi sempre più chiari. Di fronte alla persistente penuria di fondi, infatti, si sceglie di conentrare la spesa nella "ricerca applicata", ossia quella che promette di recuperare in breve tempo l'investimento fatto. Ma il progresso scientifico avanza veramente solo se si tiene in piedi la "ricerca di base" (cui l'Italia destina appena il 21% del totale degli investimenti in ricerca), quella che richiede tempi magari lunghi, spesso senza garanzie di immediata ricaduta "produttiva".

Un paese senza più ricerca di base si costringe a comprare i brevetti altrove, mente spinge i migliori tra i propri ricercatori a prendere la via dell'estero oppure a cercare di "vendersi meglio" per ottenere finanziamenti. Un processo di svalorizzazione che rischia di bruciare un patrimonio di competenze inestimabile. Bastano infatti pochi anni di finanziamenti scarsi, o in riduzione, per veder svanire interi blocchi di "riproduzione della conoscenza" consolidati nel tempo. Ci sono voluti centinaia di anni per far consolidare in alcune storiche università italiane dei nuclei di ricercatori e docenti di primo livello. Ne basteranno forse una decina per recidere la continuità nella trasmissione della consocenza. Basterà che certi "talent scout" vadano in pensione o all'estero, che certi istituti vengano ridimensionati o "diversamente ripartiti", che l'incertezza sul futuro si impadronisca del settore.. gli studenti saranno a quel punto disincentivati nei confronti della carriera di ricercatore. Con conseguenze facili da immaginare.


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