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La Tribuna di Treviso-Università, non mercato

LA LAUREA UNIVERSITÀ NON MERCATO GIORGIO TINAZZI Ha fatto bene Vincenzo Milanesi ad avanzare, in un recente articolo su questo giornale, forti perplessità nei confronti dei fautori, n...

28/12/2005
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La Tribuna di Treviso

LA LAUREA
UNIVERSITÀ NON MERCATO
GIORGIO TINAZZI

Ha fatto bene Vincenzo Milanesi ad avanzare, in un recente articolo su questo giornale, forti perplessità nei confronti dei fautori, non pochi né limitati a precise aree politiche, dell'abolizione del valore legale della laurea. Si tratta, come è noto, di una proposta che toglie
l'equiparazione tra i titoli di studio rilasciati dalle varie Università pubbliche o riconosciute; le quali attualmente sono perciò tenute ad attenersi a modelli di percorsi fissati centralmente, anche se rimangono possibili correttivi e adattamenti. La conseguenza dell'abolizione sarebbe che il "valore" del titolo sarebbe lasciato alla libera valutazione dei soggetti (pubblici o privati) che intendono richiederlo. E' la logica del mercato; e adattarla per settori cruciali come l'istruzione è almeno discutibile. Poiché non è vero, come molti vogliono, che il mercato premia i migliori, è facile prevedere che molte Università punteranno alla quantità dei laureati più che alla qualità della loro formazione. In altre parole, non è arduo supporre che la laurea "facile" diventerà merce di scambio con lo studente che paga le tasse, e fornisce quindi uno dei cespiti maggiori.
Sono già abbastanza i sintomi dello scivolamento al peggio dei principi del libero mercato e di ciò che comportano. E prima di indicarne alcuni, alquanto preoccupanti, è forse opportuno fare una precisazione: nessuno vuole esorcizzare il rapporto dell'istruzione superiore con il mondo produttivo e le sue esigenze, nessuno rimpiange un'Università chiusa in una sdegnosa torre d'avorio. Solo che questa apertura non può essere incondizionata, va diretta e controllata, e fatta convivere con principi di qualità "disinteressata": non tutto, in campo culturale, deve servire a qualcuno o a qualcosa.
Prendiamo ad esempio l'aspetto pubblicitario che le Università si stanno dando, per farsi conoscere e quindi attirare studenti (clienti, ad essere precisi). Uscendo da vecchie ritrosie si può anche ammettere che non c'è niente di male, che non sono cadute di stile. Le lauree devono però restare fuori da questa ottica; e se si conferiscono ad honorem devono avere una motivazione culturale, non quella di far comparire chi le conferisce in televisione o sui giornali. Quelle recenti date ai due Rossi (Valentino e Vasco) hanno abbassato il livello in modo decisamente imbarazzante. Ed è lecito temere che innestino meccanismi imitativi pericolosi. Pare che oggi in Italia si conferisca una laurea onorifica ogni due giorni. E sono titoli di studio validi a tutti gli effetti. Serve questa operazione solamente mediatica, tipica di chi vende prodotti?
In questa logica di attenzione e di reclutamento rientrano anche le varie convenzioni per il riconoscimento, nella carriera di uno studente, di attività svolte altrove, presso enti associazioni o club. Bene, il principio di per sé può essere accettato; ma quando, come in alcune sedi, si arriva a far buono un terzo degli esami (120 "crediti" su 180) qualcosa non funziona. Una rapida incursione sui libri e si arriva presto ad essere proclamati dottori. A chi serve? Chi controlla?
Già, i controlli. Ultimo esempio. Con la nuova (deleteria) disciplina dello stato giuridico dei docenti è prevista la possibilità per le Università di "realizzare specifici programmi di ricerca sulla base di convenzioni con imprese o fondazioni, o con altri soggetti pubblici o privati". Anche in questo caso si può essere d'accordo. La contropartita è però costituita dal fatto che questi soggetti possono istituire posti di professore straordinario per tre anni (rinnovabili anche senza termine), che potranno essere ricoperti da "soggetti in possesso di elevata qualificazione scientifica e professionale". Insomma, senza nessun concorso pubblico. La formula generica sulla qualificazione non garantisce nulla; e chi accerterà i requisiti? Le imprese, è facile intuire.
Non credo possiamo stare proprio tranquilli. Il libero mercato va almeno controllato, soprattutto in questi settori.
Giorgio Tinazzi


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