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La Stampa-La ricerca dimenticata Il manager che non serve più Le regole e la scuola

La ricerca dimenticata Il manager che non serve più Le regole e la scuola Chiedo ai politici più rispetto per la scienza Come molti professori universitari, faccio le mie ricerche in un I...

23/11/2001
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La Stampa

La ricerca dimenticata Il manager che non serve più Le regole e la scuola

Chiedo ai politici
più rispetto per la scienza Come molti professori universitari, faccio le mie ricerche in un Istituto CNR, coadiuvato da un folto numero di ricercatori del CNR e della Scuola Normale Superiore. Questo Istituto fa parte, insieme ad altri Istituti CNR di Padova, Milano e Roma, dell'Istituto di Neuroscienze del CNR, un'istituzione che è per unanime riconoscimento di grande livello scientifico; i suoi ricercatori sono internazionalmente noti e pubblicano i risultati delle loro ricerche sulle più importanti riviste scientifiche mondiali. Sto forse parlando di un'isola CNR ideale ed unica? Certamente no, perché ci sono molti gruppi CNR che conducono ricerche di altissimo livello. La ragione di questo mio scritto è la depressione, quasi la disperazione che vedo in questi eccellenti scienziati che si sentono colpiti a livello personale dalle recenti critiche generalizzate rivolte al CNR, minacce di chiusura, e tagli di fondi, come se questa struttura, che ha avuto ed ha istituti di notevole valore, fosse l'unico purulento bubbone, estirpando il quale si darebbe nuovo lustro e slancio alla scienza italiana. Alcune delle critiche sono giuste, tuttavia andrebbero mirate a colpire i meccanismi malfunzionanti. Anche i ricercatori CNR aspirano ad una migliore organizzazione della scienza, ad una burocrazia più snella, ad una valutazione oggettiva basata sul giudizio scientifico del loro lavoro. Ma pensate signori per un attimo ad essere uno di questi valenti ricercatori e sentirsi colpito da critiche indiscriminate, minacciato nel proprio lavoro, quando questo è apprezzato dai colleghi stranieri che competono sugli stessi argomenti di ricerca con più fondi, migliori salari ed anche una migliore organizzazione della ricerca. Uccidono più la scienza queste condanne generalizzate e male indirizzate che i tagli dei fondi per la ricerca. Signori politici io vi chiedo un po' più di rispetto per chi dedica la sua vita allo studio e alla scienza. Lamberto Maffei, Pisa Scuola Normale Superiore Sono fuori mercato a soli 53 anni Sono un dirigente d'azienda di 53 anni che nel 2000 è stato estromesso dal mondo del lavoro come in questi ultimi tempi accade quotidianamente a tanti miei colleghi. Sono ormai parecchi mesi che sono alla ricerca di un nuovo impiego ma, a parte qualche breve "consulenza", non ho trovato una sistemazione nonostante un curriculum ritenuto, dai vari intervistatori nei numerosi colloqui sostenuti, di tutto rispetto. Il motivo per cui la mia candidatura viene regolarmente scartata è l'età; sì proprio così, oltre i cinquant'anni il mondo del lavoro non mi prende più in considerazione. La mia situazione è comune a quella di molti dirigenti che hanno speso anni di vita a creare le fortune di tante aziende, persone con un bagaglio di esperienza e capacità di prim'ordine che ormai sono ritenute "fuori mercato". Con l'innalzamento dell'età media le aspettative di vita aumentano oltre gli ottant'anni, ma quale vita? Dovrò passare i prossimi trent'anni (senza pensione) a lottare con un mondo che mi ha rifiutato e che non mi dà alcuna ulteriore possibilità? Quali sono gli insegnamenti, quali le speranze che potrò trasmettere alle mie figlie ed ai giovani in generale? Viviamo in un secolo di benessere materiale che dovrebbe favorire un innalzamento del livello del benessere spirituale, ma il primo ha preso nettamente il sopravvento sul secondo e penso con amarezza (unitamente a tanta rabbia e frustrazione) che la partita sia ormai persa, e i "dinosauri" come me aumenteranno di numero e non avranno più scampo. daniloforza@yahoo.it La giusta severità dei maestri elementari Leggendo su La Stampa del 21 novembre l'articolo siglato e. mar. "Si uccide maestro troppo severo", mi è tornato alla mente quando frequentavo, molti anni fa (ho 46 anni), la scuola elementare dove, varcata la soglia, mi avvolgeva l'odore del'inchiostro, dove vedevo la polvere di gesso disegnare arabeschi svolazzanti nei raggi del sole e non ultimo lo sguardo truce sul viso bonaccione del bidello che m'invitava senza tanti complimenti ad accelerare il passo se non volevo una nota per ritardo ed infine, mi ricordo perfettamente i castighi, gli scapaccioni e le tirate di orecchie subite per mia disobbedienza o maleducazione nei confronti dei compagni e del maestro. Guai se tornando a casa mi lamentavo dei supposti torti subiti, avrei ricevuto il doppio di ciò che già largamente mi era stato donato! Oggi si smuovono fior di psicologi, sociologi, educatori per giustificare l'efferatezza degli atti compiuti dai figli a danno dei genitori (vedi in ultimo i fidanzatini più famosi d'Italia), quando sarebbe stato molto più semplice e meno costoso per la comunità, un'educazione impartita già dalla tenera età in ambito famigliare, per poi essere proseguita dalle persone preposte nelle strutture adatte. Gli unici torti che si potevano attribuire al maestro Franco Revil erano di aver dedicato una vita alla scuola, l'onestà verso i suoi alunni, il tentativo dell'insegnamento di quei valori che, purtroppo, nella maggior parte dei giovani, si sono già persi lungo la strada ed infine, stando all'articolo, di non aver permesso ad una sua allieva di poter cadere liberamente dal davanzale di una finestra prendendola per un orecchio, meritandosi così una denuncia da parte dei genitori, non un ringraziamento, bensì una denuncia! Lorenzo Carbonero, Torino
Più presidenti meno crocifissi Ho letto sulla Stampa di giovedì, in questa rubrica, la lettere del sig. Gallino, che definsce inutile buonismo favorire l'integrazione degli immigrati di diversa religione perché nei loro stati noi non potremmo fare la stessa cosa. Questa teoria mi fa sinceramente rabbrividire, si dimentica fondamentalmente che l'Italia (anche se qualcuno anche tra i nostri governanti tende a dimenticarlo) è uno stato laico, e come tale garantisce a tutte le religioni la stessa dignità, quindi il problema della impossibilità di costruzione di una chiesa a Islamabad o in altro posto islamico non è un problema dello stato italiano ma al limite del Vaticano. Per quanto riguarda i crocefissi o le giornate di festa a inizio del ramadan piuttosto che in occasione del martedì grasso, mi sembra che sia una questione che serve solo a far risaltare la nostra ipocrisia, proprio perché l'Italia è laica nessun simbolo di nessuna religione dovrebbe essere ostentato nei luoghi pubblici, mentre ad esempio nelle aule scolastiche non sarebbe male una foto del Presidente della Repubblica.
Giuliano Vergnasco, Torino