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L’ultimo giorno davanti a un pc "Ora l’università ci fa un po’ paura"

Niente riti, giochi e abbracci prima della Maturità Le voci e i timori dei ragazzi per l’anno che deve arrivare

09/06/2020
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la Repubblica

Paolo Di Paolo

L’ultimo giorno di scuola, dice Michele, «guardavamo quelli di quinta e ci chiedevamo: chissà come sarà quando toccherà a noi. Adesso che tocca a noi, non c’è l’ultimo giorno di scuola». La campanella non suona in questo lunedì di giugno, è solo un altro giorno di didattica a distanza: alzi le tapparelle, ti siedi davanti al computer. Quasi un’abitudine: nelle prime settimane, dice Sara, «era stranissimo, mi svegliavo di cattivo umore, poi mi sono detta: se provo a svegliarmi contenta, la vivrò meglio». Sara è all’ultimo anno del tecnico-commerciale, il "Cesare Battisti" a Velletri, in provincia di Roma. Michele è all’ultimo anno del liceo scientifico "Edoardo Amaldi" di Alzano Lombardo, provincia di Bergamo. Sono due dei 460mila studenti italiani di scuola superiore costretti a saltare la tappa finale. O quantomeno, a viverla da lontano: su piattaforme digitali come Meet, Zoom, WeSchool. E mentre i bambini hanno improvvisato merende virtuali condivise, i più grandi hanno rinunciato ai riti, alle tradizioni ludiche, agli abbracci.

Alessandro mi racconta della sfilata coreografica dell’ultimo giorno, a bordo di mezzi di trasporto creativi, o della finale dei tornei studenteschi: «Niente di tutto questo. Pensare di chiudere cinque anni di scuola cliccando su "abbandona la chiamata" spezza il cuore». L’espressione che usa è questa, non c’è enfasi: tanto per smentire chi ha liquidato come accessoria la questione dell’ultimo giorno.

Sentite di avere perso qualcosa in questo anno così particolare? Lo domando da intruso nelle ore conclusive di didattica a distanza.

Un po’ di spontaneità, di serenità.

Elisa dice di essersi sentita «più sola di come ero», perché la scuola fatta così è un condividere diverso: «Anche qualcosa di brutto, se condiviso davvero, sembra meno brutto». E lo dice parlando dalla provincia di Bergamo, segnata dai lutti. Michele, che è di Nembro, parla delle sirene delle ambulanze: non si può dimenticare, e ora che le cose sembrano andare un po’ meglio, «è il ricordo a fare paura».

La professoressa interviene, dice: io temo il colpo di coda. I ragazzi parlano di una consapevolezza maturata lentamente: lo stop alle lezioni sembrava, sulle prime, un vantaggioso prolungamento delle vacanze di carnevale, poi tutti quei morti, i tg che parlavano proprio di Alzano e di Nembro, il dolore. «Ma ancora fino a qualche settimana fa ci pareva impossibile che l’anno potesse finire così». Un anno meno vero, dice Marco: «Abbiamo perso troppe esperienze, in classe e fuori».

A Martina è mancata la scuola «come edificio», e anche gli intervalli, la ricreazione.

Alessandro vede i suoi piani «andare in fumo»: trasferirsi a Milano, cominciare l’università («Come sarà? Saremo tutti iscritti controvoglia a facoltà telematiche? I docenti terranno conto del fatto che a immatricolarsi sono ragazzi che hanno finito le superiori in quarantena?»). Penso che sarà più difficile, dice Davide. Elisa dice che non si sente la mancanza della scuola finché non se ne viene privati. Simone ha imparato a non vedere la scuola solo come una sequenza di verifiche e di voti, a considerare di più «il valore dello stare in mezzo ad altre persone».

Ad Alzano e a Velletri pesa allo stesso modo «non poter assaporare questo traguardo», e allo stesso modo pesa l’incertezza. Chiedo dell’estate: mi parlano di viaggi programmati da tempo che forse non potranno fare. «Pensavamo di andare a Ibiza, ci accontenteremo di Terracina, basta non dover rinunciare al mare» dice Sara, del tecnico-commerciale. Ragiona sul futuro sdoppiandosi: «Un conto se mi guardo con l’occhio di chi sogna, un conto con quello della persona realista… Comunque, non vorrei accontentarmi». Il suo compagno di classe Gabriele dice di essersi sempre sentito un po’ avvolto dalla sua paura: «Mi sono nascosto dietro la paura, senza mi sentirei perso». La prof li rimprovera, bonariamente: siete un po’ rigidi, troppo severi con voi stessi. Antonio lo riconosce: vuole entrare nell’esercito, sa di non avere gestito sempre al meglio l’ambizione, e ora però gli pare che la Storia gli abbia rubato qualcosa.

Come quando sua sorella non partì per Parigi — era il giorno dopo il Bataclan. La «vecchia vita», come la chiama Paolo, la vita delle pacche sulle spalle, tornerà? «Se non avessimo avuto Internet, sarebbe stata più dura». Da dove si ricomincia? Da un picnic, dice Elisa, un telo su un prato, una partita a carte.


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