L’asilo nido diventa scuola “Ci sarà posto per tutti e diminuiranno le rette”
Sì in Consiglio dei ministri al piano 0-6 anni: per insegnare servirà la laurea Il servizio resta ai Comuni. Ma i fondi per ora sono un terzo di quelli promessi
Corrado Zunino
Il pezzo più moderno della “ Buona scuola” ora è legge definitiva, con i finanziamenti annessi. Ieri sera il Consiglio dei ministri ha dato l’ultimo “sì” al Piano nazionale 0-6 anni che cancella i nidi, accorpa il periodo 0-3 anni a quello superiore (3-6) e trasforma i due segmenti educativi in un unico sistema integrato: l’inizio vero e proprio della scuola italiana.
Per il “ Piano nazionale pluriennale” ci sono 206 milioni di euro in questo scorcio di fine anno, 224 per la prossima stagione e 239 milioni dal 2019. Questi finanziamenti serviranno per qualificare le insegnanti ( sono quasi tutte donne, oggi): dovranno essere laureate per legge e formate ogni anno. I soldi serviranno, poi, alla gestione della nuova scuola d’infanzia: le risorse, con la pubblicazione a breve in Gazzetta ufficiale, andranno direttamente nelle casse dei singoli Comuni, che restano i principali amministratori del settore.
Nel testo finale approvato ieri si parla esplicitamente di “riduzione delle rette di accesso”, anche se è stato cancellato il passaggio che dettagliava come ogni famiglia non avrebbe dovuto accollarsi oltre un quinto delle spese. I costi per l’iscrizione avranno come parametro l’Isee. I contenuti della Legge 0- 6 eranostati già approvati all’interno delle deleghe di governo passate, con la ministra Valeria Fedeli, attraverso un ulteriore passaggio parlamentare a inizio 2017. A fronte di un testo ispirato dalle migliore pratiche nazionali e messo in ordine da Francesca Puglisi, allora responsabile scuola del Pd, il provvedimento ha faticato non poco a trovare i finanziamenti necessari.
Lo scorso 3 agosto la ministra è riuscita a firmare il decreto che distribuiva tra le venti Regioni 150 milioni ( fondi Inail) per la costruzione dei Poli dell’infanzia nell’arco di tre anni: 24,3 milioni alla Lombardia, 14,5 alla Campania e al Lazio, 13,4 milioni al Veneto. Ogni Regione, adesso, può scegliere tre plessi unici, o da edificare in aree vicine, sulle proposte avanzate dai vari comuni. Nel 2015, quando la legge fu inizialmente scritta, nella prima stagione d’avvio prevedeva risorse per 700 milioni. Oggi, arrivata l’ultima approvazione, ci sono 256 milioni (206 per le spese di personale più 50 l’anno per le edificazioni). Un terzo rispetto alle prime intenzioni.
Dal prossimo settembre il vecchio nido non sarà più un servizio a domanda individuale, di carattere sociale. Sarà un servizio generale, educativo. Tutto viene incardinato sotto la responsabilità unica del ministero dell’Istruzione quando oggi leggi e regolamenti sono regionali, provinciali, comunali. Come detto, la gestione, che nella storia italiana ha prodotto eccellenze mondiali, resterà dei Comuni laddove le finanze lo potranno consentire. In queste stagioni l’affanno finanziario di alcune amministrazioni ha portato alla statalizzazione coatta di diversi asili comunali.
Come richiesto dall’Europa, il Piano nazionale prevede il 33 per cento della copertura per i bambini sotto i tre anni di età: oggi siamo al 25 per cento ( in verità la Ue ci chiedeva di raggiungere l’obiettivo nel 2010, l’abbiamo spostato al 2020). Ancora, la nuova legge prevede la presenza dei vecchi “nidi” ( 0- 3 anni) nel 75 per cento dei comuni ( la Ue vorrebbe il 90 per cento).
« Il sistema integrato 0- 6 anni rappresenta un cambiamento culturale importante » , dice la ministra Valeria Fedeli, « una vera svolta che mette al centro i diritti dei più piccoli. Le istituzioni, d’ora in poi, lavoreranno insieme con risorse certe, regole condivise e standard uniformi su tutto il territorio nazionale».
Governo e maggioranza, stretti dalla Ragioneria di Stato, non sono riusciti ad accompagnare la riforma 0- 6 con l’assunzione di duemila maestre d’infanzia. «Ci riproveremo alla Camera», dice Francesca Puglisi.