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Istruzione senza nuovi fondi Cresce il divario con l'Europa

Per il segretario generale della Flc Cgil, Francesco Sinopoli, se Conte non cambierà le scelte del governo, si rischia che «chiunque sia il successore non potrà fare a meno di seguire le orme di Fioramonti».

27/12/2019
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La Stampa

roberto giovannini
roma
I numeri sono impietosi: per l'istruzione, dalla scuola primaria fino all'università, l'Italia spende secondo il rapporto Ocse del settembre scorso (che cita dati del 2016-2017) ogni anno soltanto il 3,6% del suo prodotto interno lordo. Un valore decisamente inferiore alla media Ocse, che è del 5%, e uno dei livelli più bassi di spesa tra i paesi esaminati. Peggio di noi fanno soltanto Lituania, Irlanda, Repubblica Ceca, Lussemburgo e Russia. Tra il 2010 e il 2016 la spesa è diminuita del 9% sia per la scuola che per l'università; ma a ben vedere è dal lontano 1995 che il nostro paese ha sostanzialmente congelato la spesa per studente di scuola primaria e secondaria (inferiore e superiore), con un aumento in termini reali dello 0,5%.
Una sorta di «spending review prolungata», che è stata amplificata dal progressivo invecchiamento del corpo docente: gli insegnanti italiani sono in media i più anziani dell'area Ocse, con addirittura il 59% di ultracinquantenni, anche se, grazie alle recenti assunzioni, questo rapporto è diminuito (era il 64% nel 2015). Nel prossimo decennio sta per esplodere una doppia bomba demografica: avremo oltre un milione di studenti in meno, e bisognerà sostituire quasi la metà degli attuali docenti, che andranno in pensione. Continuiamo, comunque, a contare la quota più bassa di insegnanti tra i 25 e i 34 anni.
Altro problema, la qualità e l'efficacia del nostro sistema di istruzione. L'Italia registra nell'area Ocse la terza quota più elevata di giovani che non lavora, non studia e non frequenta un corso di formazione (i cosiddetti neet): il 26% dei giovani di età compresa tra 18 e 24 anni, rispetto alla media del 14%. Le rette universitarie restano tra le più elevate dell'area Ocse, e il numero dei laureati nella fascia d'età 19-64 anni non supera il 19%, mentre la media Ocse si attesta su un lontano 37%. L'università non riesce sempre a garantire un'occupazione, tantomeno uno stipendio significativamente più elevato rispetto a chi si è fermato alle superiori.
Uniche note positive la scolarizzazione e gli asili. Il 94% dei bambini dai 3 ai 5 anni frequenta la scuola materna, e ogni insegnante deve badare a una media di 12 bambini, contro una media Ocse di 15. Per quanto riguarda la scolarizzazione, invece, abbiamo raggiunto un buon livello: quasi tutti i ragazzi dai 6 ai 14 anni – cioè quelli che per legge sono obbligati ad andare a scuola – la frequentano davvero.
Le dimissioni di Lorenzo Fioramonti confermano le difficoltà dell'Italia a trovare nuovi investimenti per il comparto scuola, università e ricerca, che neanche il governo Conte bis è riuscito a trovare: la richiesta del professore dimissionario era di almeno 3 miliardi da inserire in manovra ma, al netto dei tagli bloccati, dei fondi stanziati per gli asili nido (2,5 miliardi per i comuni per aumentare i posti ma all'interno delle misure per le famiglie), dell'aumento di qualche decina di milioni dei fondi di finanziamento e delle borse di studio e delle risorse preventivate nel decreto Fisco (più risorse per la sicurezza degli edifici anche dall'8xmille dal 2020), di soldi per l'istruzione nella manovra approvata ce ne sono pochi. È in vista una tornata di concorsi per 50mila docenti nella scuola secondaria. Un po' meglio è andata per i fondi dedicati all'edilizia scolastica, che anche nell'ultimo periodo hanno avuto un incremento costante per fare fronte alle tante emergenze: gli ultimi 510 milioni sono stati sbloccati il 20 dicembre e andranno in erogazione diretta gli enti locali. Tirando le somme, alla voce scuola nella manovra 2020 sono previste risorse per meno di 2 miliardi, e quasi nulla per l'università che il ministro avrebbe voluto potenziare.
Male è andata anche sul versante delle risorse per gli stipendi degli insegnanti, che all'inizio del suo incarico Fioramonti aveva promesso di aumentare. Con le risorse disponibili si arriva a un aumento contrattuale medio di circa 80 euro al mese, che per giunta per i sindacati di categoria diventano 70 se si considera la quota necessaria a finanziare il cosiddetto «perequativo».
Il mondo della scuola reagisce con sconcerto e preoccupazione per il futuro alle dimissioni di Fioramonti. Per Rino Di Meglio, coordinatore nazionale Gilda degli Insegnanti, «le dimissioni del ministro confermano che in Italia i governi non ritengono strategiche istruzione e ricerca». Secondo Maddalena Gissi, segretaria generale di Cisl Scuola, Università e Ricerca, «le dimissioni possono aprire una fase estremamente rischiosa». Per il segretario generale della Flc Cgil, Francesco Sinopoli, se Conte non cambierà le scelte del governo, si rischia che «chiunque sia il successore non potrà fare a meno di seguire le orme di Fioramonti».