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Il sindacato è un giallo

Il segretario di una Camera del Lavoro, in lotta per difendere i precari, scopre mandanti ed esecutori di un delitto. E, insieme, come si può cambiare la Cgil. L’esperimento letterario (e politico) di tre giovani dirigenti sindacali.

14/05/2014
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di Manuele Bonaccorsi

C’è la vittima, il padre di una giovane precaria. Il mandante: politici e imprenditori corrotti. C’è l’assassino (ma non vi diciamo chi è). E come in ogni noir, non può mancare ovviamente l’investigatore. Che – sorpresa – non è un poliziotto come Fabio Montale, Cavaho o Bellodi. Di mestiere fa il sindacalista. Si chiama Marco Degli Esposti, è il segretario di una piccola Camera del lavoro nell’Agro pontino. E mentre contratta per strappare con fatica i diritti negati di tanti giovani lavoratori – precari e senza rappresentanza – svolge le sue indagini su un misterioso omicidio. La soluzione dell’enigma coinciderà con una piccola ma preziosa vittoria, un diritto conquistato nell’epoca della crisi del lavoro. Pagina dopo pagina si apre uno spaccato di mondo reale e si definisce un’idea precisa del sindacato. Quasi un programma politico. Rivolto, a partire dal titolo – Rosso quadrato – ai dirigenti della Cgil, la grande organizzazione guidata da Susanna Camusso che ha appena concluso il suo XVII congresso: una struttura in crisi, incapace di cambiare al ritmo necessario. Eppure ancora fondamentale. Così la pensa il protagonista. E anche gli autori di questo strano noir, appena nascosti dietro lo steinbekiano pseudonimo collettivo di Tom Jod: tre giovani dirigenti della Cgil. Sono Francesco Sinopoli, della segreteria nazionale dell’Flc Cgil; Augusto Palombini, dirigente dell’Agenquadri Cgil e Claudio Franchi, funzionario dell’Flc Cgil. Critici costruttivi e intelligenti del sindacato di oggi. Potenziali rinnovatori di un’istituzione che sente il peso della crisi economica e di rappresentanza. Una debolezza, ci dice il libro, che ha mille cause. Ma non ha una giustificazione, se non si mette davvero in campo la volontà di cambiare.

Perché sulla critica al sindacato di oggi i tre autori sono assai netti. «Nel libro si parla di un modo buono di fare il sindacato e uno cattivo», spiega Augusto Palombini. Come si fa il “cattivo sindacalista” lo spiega senza mezze parole il protagonista del noir, osservando l’azione spregiudicata di un suo collega: «Aspetti i lavoratori in un angolo, li prendi da parte, gli dici che se si iscrivono il capoufficio è dei nostri e così loro si possono mettere a posto fottendo tutti gli altri…». È il sindacato corporativo, quello che difende solo i propri iscritti, che fa tessere tra i pochi protetti e lascia nel purgatorio i tanti rimasti senza contratto e diritti. I giovani, in particolare, la generazione perduta, che vive una infinita giovinezza senza autonomia, che subisce condizioni di lavoro ottocentesche eppure non riesce a costruire un’azione collettiva.

Il protagonista del romanzo vive nel mondo del lavoro di oggi, come i suoi autori. Subisce le angherie di padroni violenti e sfottenti, difesi da leggi che hanno cancellato l’architettura del diritto del lavoro; subisce lo strapotere della finanza senza regole e di una politica corrotta; subisce, infine, la diffidenza dei lavoratori, che non si fidano dei sindacati, che li vedono distanti e inutili. Degli Esposti è riflessivo, e dunque un po’ triste, cupo come dev’essere il protagonista di un buon noir. Ma non si arrende, e proprio come il commissario Bellodi di Sciascia («Mi ci romperò la testa», dice ne Il giorno della civetta), cerca costantemente una ricetta per risolvere la crisi che vive: apre la sua Camera del lavoro a tutti i lavoratori, da quelli manuali fino ai manager (il «lavoro senza aggettivi», avrebbe detto Massimo D’Antona). Trasforma quei locali in un luogo dove sperimentare una diversa pratica sociale, dove tessere una rete fitta di mutualismo e solidarietà. E quando 15 precari provano a reagire, e con un lenzuolo scarabocchiato scendono in strada per denunciare il loro sfruttamento, lui mobilita la Camera del lavoro, per chiedere la solidarietà delle categorie più forti (pensionati, dipendenti pubblici). Se il lavoro, nelle sue mille forme, è uno solo, allora la priorità va data ai più deboli, ci dicono gli autori: il sindacato confederale è questo, uno strumento di cambiamento per mezzo di solidarietà. E al giornalista che segue sghignazzando la buffa protesta, Marco Degli Esposti risponde da entusiasta e visionario: «Hai il privilegio di riprendere un momento unico, storico. La rinascita della coscienza di classe. Succede più o meno ogni cent’anni, come le comete».

È tutta fiction, ovviamente. Ma è una fiction vera. «La Cgil è piena di persone maturate nel contesto del lavoro senza diritti, che partono dal loro vissuto», ci racconta uno degli autori, Francesco Sinopoli, classe 1975, nato e cresciuto “sindacalmente” dentro il mondo del lavoro precario. «Ci sono tante buone pratiche dentro la Cgil, molte si occupano del lavoro frammentato e disperso, in tanti territori si sperimentano piccole esperienze di ricostruzione di cittadinanza, creando un intreccio tra le singole categorie e l’intera confederazione sindacale», spiega Sinopoli. «Eppure non basta. L’investimento che il sindacato fa per cambiare se stesso è ancora insufficiente, abbiamo bisogno di un salto di qualità. E per farlo serve tanta democrazia», spiega il sindacalista.

Per seguire, dentro questa crisi durissima, una nuova strada è inutile guardare al passato. «Secondo me avete perso. Non avete ottenuto niente di quelle utopie che dicevate di volere e per colpa vostra noi paghiamo tutte le conseguenze», dice il protagonista del libro a un collega più anziano, Netor. La traduzione è facile: «Degli Esposti oggi sarebbe assai critico con la dirigenza della Cgil», spiega l’autore Palombini. Eppure, del glorioso passato del sindacato gli autori del libro salvano molto. A partire da una figura storica della Cgil: nel romanzo si chiama Tiziano Bruni, e ci vuol poco a capire che lo pseudonimo nasconde Bruno Trentin, negli anni 70 segretario della Fiom, e poi leader della confederazione. È lui a spiegare il senso politico del libro, la ricetta per ridare un senso al mestiere di sindacalista e ricostruire una pratica nel mondo frammentato di oggi. «Tutti lavorano. Attraverso il lavoro provano a realizzarsi come persone, cercano la loro autonomia e la loro libertà. Se la politica volesse ripartire dalla gente potrebbe farlo da qui. Dal lavoro. Che tutti vivono sulla propria pelle e nella propria anima. Tutti i giorni». E questo non è un romanzo. È la vita reale, la speranza di cambiare.


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