Il governo vuole l’università dei precari
Sono già 35 mila, ma con il progetto Resta-Bernini saranno ancora di più. Fracassi, FLC CGIL: si tratta di un’operazione che allontanerà i nostri giovani migliori.
Stefano Iucci
Nelle università italiane – a fronte di 54 mila docenti di ruolo – lavorano 35 mila precari. Ma evidentemente non basta. Almeno a leggere le anticipazioni fornite dalla stampa della bozza di riforma del preruolo universitario a firma Resta-Bernini che per Gianna Fracassi, segretaria generale della FLC CGIL, rappresentano “una precarizzazione tombale, che allontanerà i nostri migliori giovani dalla carriera universitaria e l’università italiana dal resto d’Europa”.
Tutto ciò, nonostante lo stesso governo, nella relazione di accompagnamento alla Finanziaria del 2022, aveva indicato la necessità di assumere in ruolo 40 mila docenti per arrivare almeno a livello degli altri paesi europei. Lo stesso sindacato della conoscenza della Confederazione di corso d’Italia ha nelle scorse settimane presentato delle proposte per porre fine alla piaga del precariato negli atenei.
TORNANO GLI ASSEGNI DI RICERCA
Direzione opposta a quella seguita dalla commissione guidata da Ferruccio Resta, ex rettore del Politecnico di Milano ed ex presidente della Crui (la Conferenza dei rettori delle università italiane) che già nel 2021 aveva licenziato un documento che si muoveva nella stessa direzione: precarizzare ulteriormente i nostri atenei.
Se le anticipazioni verranno confermate, grazie a questa riforma non solo verranno reintrodotti e resi più flessibili gli assegni di ricerca (aboliti nel 2022), ma aumenterà la possibilità di ricorrere alle borse di ricerca e verrà istituzionalizzata per la prima volta la figura del docente precario. Durissimo il commento di Fracassi: “Oggi si ripesca dalla storia quel documento per preparare in realtà l'università a un nuovo grande freddo delle risorse, ai tagli su Ffo (il Fondo di finanziamento ordinario, ndr) e ai fondi di ricerca dopo il Pnrr”.
NELLA JUNGLA DEL PRE-RUOLO
Ma andiamo con ordine e cerchiamo di capire cosa è successo negli atenei italiani negli ultimi anni. Una situazione complessa che però è utile conoscere per vedere in concreto quale percorso a ostacoli debba affrontare chiunque decida di intraprendere una carriera universitaria. Dalla riforma Gelmini e fino al 2022, oltre alle figure classiche di ruolo (associato, ordinario e ricercatore a tempo indeterminato a esaurimento) e alla nuova figura del RtdB (con contratto a tempo determinato triennale ma con passaggio di fatto automatico in ruolo grazie all’abilitazione nazionale), erano presenti tre tipologie di precari. L’RtdA (ricercatore a tempo determinato assunto per 3 anni più due ma senza meccanismo automatico di conferma), gli assegnisti di ricerca (praticamente co.co.co, senza alcun diritto e tutela, non essendo né personale docente regolato per legge né personale contrattualizzato) e i borsisti di ricerca, legati a progetti con fondi esterni alle università, cioè privati. “Una situazione intollerabile – spiega Luca Scacchi, responsabile del Forum docenti della FLC CGIL – che ha generato molte proteste e mobilitazioni che hanno portato qualche risultato, ad esempio la Discoll, cioè il sostegno alla disoccupazione per gli assegnisti”. Insomma: tanti precari, con stipendi inadeguati e nessuna tutela.
IL CONTRATTO DI RICERCA
Nel 2022 durante il governo Draghi con la legge79/2022 qualche risultato è stato ottenuto. Nonostante i limiti di una legge che non avrebbe portato a scalfire in maniera massiccia il precariato e la lunghezza dei tempi per l’accesso al ruolo, commenta Scacchi, “scompariva il Rtda, il Rtdb veniva portato a 6 anni, ma con la possibilità già al terzo di passare in ruolo e, soprattutto, veniva cancellato l’assegno di ricerca e introdotto un vero e proprio contratto di ricerca a tempo determinato, con regolazione del salario e rapporto di lavoro in un vero e proprio Ccnl”. Tuttavia, in mancanza di indicazioni dal ministero, l’Aran dal 2022 a oggi non è arrivata a chiudere l’accordo e, contemporaneamente, lo stesso ministero non a caso ha più volte prorogato gli assegni di ricerca, da ultimo fino al dicembre 2024 “nelle more della revisione delle disposizioni in materia di pre-ruolo universitario e della ricerca", come si legge nel Dl 71 del 31 maggio 2024. Tutto si tiene, insomma.
ARRIVA IL DOCENTE PRECARIO
Ma ora con questo progetto si rischia non solo di cancellare questi piccoli passi avanti, ma di andare persino più indietro rispetto alla situazione precedente targata Gelmini. Verrebbero infatti confermati e ulteriormente flessibilizzati gli assegni di ricerca, ampliato l’utilizzo delle borse di ricerca e il contratto di ricerca in pratica sostituirà gli Rtda, ma con ancora meno garanzie. C’è però un’ulteriore novazione che preoccupa particolarmente: l’introduzione del docente precario. “Una figura – riprende Scacchi – totalmente sganciata dalla ricerca, sul modello inglese, che in Italia non esiste.
È prevista un’assunzione per 6 anni rinnovabili per altri 6. È vero che già oggi esistono i docenti a contratto e che le università, avendo difficoltà ad assumere, spesso ne abusano, ma con questa novità questa figura verrebbe sostanzialmente istituzionalizzata, arrivando di fatto a precarizzare anche la docenza”.
Oggi la figura del docente a contratto dovrebbe, almeno in teoria, essere "marginale”, aggiuntiva, portare cioè un qualcosa in più che viene da fuori, dal mondo delle professioni, da quello della ricerca esterna agli atenei, e anche per questo spesso le retribuzioni sono ridotte. Anche se poi in realtà, ci sono qualche migliaio di contrattisti – su un totale di 30 mila circa – che vivono solo di questo. Con il progetto Bernini-Resta si arriverebbe a una istituzionalizzazione di questa figura.
In sostanza, con il progetto Resta-Bernini, conclude Fracassi, “si affosseranno non solo i diritti e il riconoscimento sociale dei ricercatori, ma tutta l'università italiana. La FLC CGIL metterà in campo ogni iniziativa possibile per contrastare questa deriva”.
Una deriva che dal 2008 al 2021 ha generato una riduzione del Fondo di finanziamento ordinario di oltre 5 miliardi che si è tradotto nella perdita di circa un terzo del personale di ruolo: 15 mila docenti e 20 mila tecnici amministrativi in meno. Un incremento del finanziamento nel 2022 ha portato 740 milioni di euro in più che coprono solo 10 mila assunzioni. Troppo poco, davvero troppo poco.