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Il capo dei rettori "Quel miliardo va trovato o il Paese non ha futuro"

Manfredi, presidente della Crui

27/12/2019
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la Repubblica

Conchita Sannino

NAPOLI — «Lo abbiamo spiegato per tempo. Non ci siamo limitati a chiedere. Come Conferenza dei rettori delle università abbiamo evidenziato che queste misure sono il primo, più importante investimento».

Invece, presidente Gaetano Manfredi, come vertice della Crui ha dovuto registrare che il miliardo non c’è e ora manca il ministro.

«Un risultato che preoccupa. Ma confido fortemente nella sensibilità del presidente Conte su un tema così centrale per la tenuta di tutto il sistema. Ora le tensioni della politica non si aggiungano all’emergenza che vive l’università. Noi continuiamo a sperare che la rotta tracciata dalla manovra venga corretta al più presto: nelle prossime settimane».

Il ministro Fioramonti avrebbe dovuto lottare ancora o ha fatto bene a dimettersi?

«Bisogna dar merito al ministro che ha posto con forza il tema. Da quando sono rettore e presidente Crui, ho interloquito con 5 ministri e gli investimenti su scuola, università e ricerca sono sempre stati fanalino di coda. Chiaro che le condizioni di bilancio siano complesse, ma ci aspettavamo di più e ancora aspettiamo: e non vorremmo che queste dimissioni aggravassero con ritardi e incomprensioni le scelte che vanno assunte per il bene del Paese.

Ecco perché rivolgo l’ appello al premier: questo nodo va sciolto con la massima e più autorevole assunzione di responsabilità».

Da dove cominciare, dunque?

«Una priorità che ritengo indispensabile è il Piano straordinario per i ricercatori: che sia pluriennale e garantisca sia nuovi ingressi, sia i rientri dall’estero.

Bisogna assolutamente dare continuità all’accesso dei giovani negli atenei, fornire certezze: sono 60 mila in Italia, un terzo di quelli della Germania e la metà del volume di ricercatori in Francia. Se vogliamo costruire qualcosa per il futuro, e vogliamo farlo senza retorica, è ora e da questo tema che bisogna partire».

Sta dicendo che quel miliardo è ossigeno cui non si può rinunciare?

«È così. Quel miliardo è il gradino minimo da cui riguadagnare prospettiva: non per oggi o domani, dobbiamo necessariamente pensare a dopodomani, avere quel respiro di cui la formazione e la cultura devono necessariamente disporre. Dalla crisi del 2008 il taglio storico è stato di parecchio superiore al miliardo, e il comparto italiano degli atenei è sottofinanziato da anni in ambito europeo. È anche un problema di competitività. Siamo indietro: rispetto alla Germania, che ha fatto grandi investimenti industriali e ha innescato quel meccanismo virtuoso con la ricerca, dietro alla Svezia, alla Danimarca. Per non dire della Francia, tra i maggiori terreni di approdo: giovani ricercatori e professori italiani hanno raggiunto lì posizioni di prestigio».

Di questo passo non sarà "fuga dei migliori", ma migrazione costante e quasi indifferenziata?

« L’Italia rischia in questo senso di marginalizzarsi sempre di più e di "esportare" i più preparati e motivati, che cercano all’estero quelle opportunità non disponibili nel loro Paese. Con un impoverimento non solo economico, ma soprattutto culturale e sociale, i cui esiti danneggiano l’intera società».

Lei è rettore della Federico II di Napoli, università pubblica più antica d’Europa. Il Sud rischia di pagare il prezzo più alto?

«Sul Mezzogiorno occorre, problema nel problema, un Piano integrato: al Sud la fragilità della scuola diventa poi debolezza dell’università. In tutto questo vanno colti i segnali positivi: per la prima volta gli immatricolati del 2019 hanno superato il tetto degli iscritti pre-crisi. Significa che le famiglie tornano a puntare sull’università, e questo va premiato ed alimentato. Va fatto ora, prima che il Mezzogiorno continui a svuotarsi».

Il fattore tempo è fondamentale.

«Abbiamo in tutto il Paese un fiorire di talenti, ma ci stiamo rassegnando a vederli partire: attenzione, non per scelta ma per necessità. Parliamo di un vero e proprio paradosso, per me doloroso. Se non interveniamo ora, non potremo più dare ai ragazzi le possibilità che noi abbiamo avuto. E resteremo da soli in questo Paese: i più anziani e i meno fortunati».