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I compiti non finiscono mai

L’ultima rivolta della scuola? Quella contro lo studio a casa. La guidano i genitori che, con petizioni su Internet, chiedono a maestri e insegnanti di lasciare ai ragazzi più tempo libero per giocare o dedicarsi allo sport . Ma non tutti sono d’accordo: applicarsi nel pomeriggio, sostiene il fronte opposto, è indispensabile

26/02/2016
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la Repubblica

Laura Montanari

CARMEN, sulla pagina Facebook del gruppo Basta compiti!, seimila iscritti, si sfoga così: «Mio figlio ha 11 anni, è in prima media, odia la scuola e non ce la fa più: troppi compiti». Simonetta protesta: «Vi sembra normale che un bambino di prima media per “sopperire” ai compiti della settimana debba sacrificare il sabato e la domenica? ». Francesca, all’ennesimo weekend in slalom tra esercizi di matematica e gare sportive dei figli, chiede in un post: «È una colpa per la scuola praticare sport? Perché si ostacola un’attività sana?».

Compiti sì o compiti no: il tema è di quelli che da anni fa discutere all’interno delle scuole, nei consigli di classe. La maggior parte degli insegnanti continua ad assegnarli, convinta della necessità di consolidare con lo studio individuale il lavoro svolto la mattina in aula, ma piano cresce un fronte di opposizione. Maurizio Parodi, genovese, ex dirigente scolastico, ha scritto due giorni fa una lettera a Repubblica per raccontare com’è difficile conciliare i pomeriggi di sport o di musica o di altre attività dei figli coi compiti a casa. «Diciamo ai ragazzi che devono condurre una vita sana, sportiva, facciamo la guerra alle merendine, ma poi, se andiamo a vedere nel concreto, i ragazzi sono costretti a passare ore e ore del pomeriggio su libri e quaderni, e questo dopo mattinate intere seduti in classe». Parodi ha promosso una petizione da consegnare al ministero dell’Istruzione dal titolo Basta compiti! nella scuola dell’obbligo (su change. org). Ha raccolto in rete oltre diecimila firme: circa 200 sono di insegnanti, il resto mamme e papà, qualche pedagogista e diverse associazioni, dalla Fondazione Montessori al Coordinamento genitori democratici (di ispirazione rodariana). «Non c’è più equilibrio, nella scuola italiana si caricano i bambini fin dalle elementari di troppi compiti, ma, per un alunno, un compito a casa è anche stare con se stesso o dedicarsi ai giochi» spiega la presidente del Coordinamento Angela Nava Mambretti.
La petizione chiede che siano aboliti i compiti in quanto inutili: «Le nozioni ingurgitate attraverso lo studio domestico per essere rigettate a comando (interrogazioni, verifiche...) hanno durata brevissima: non lasciano il segno», sono dannosi perché «procurano disagi, sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà» e sono discriminanti perché «avvantaggiano gli studenti che hanno genitori premurosi e istruiti».
Il partito del Basta compiti! è però ancora una nicchia. «Finiamola di demonizzare lo studio a casa — sbotta Giorgio Ragazzini, blogger, ex insegnante — sono funzionali al radicamento delle conoscenze». Emanuele Rossi insegna Lettere in una scuola media alla periferia di Firenze e li difende: «Sono importanti perché consentono all’insegnante di avere un feedback con quello che gli allievi hanno assimilato dopo la lezione in classe, mi dicono anche cosa devo rispiegare, cosa non è stato capito». Il pensiero è condiviso da molte cattedre, dal momento che nella scuola italiana i compiti sono un perno intorno a cui ruota la didattica. Il dibattito è aperto. In rete si trovano decine di forum (Orizzontescuola, Tuttoscuola, Studenti. it) in cui si discute proprio sulla questione compiti sì, compiti no. Chi sostiene la prima tesi sottolinea come assegnare esercizi a casa serva anche ad «abituare il bambino a rispettare regole, a darsi dei tempi, ad accrescere l’autodisciplina». Lidia Cangemi è preside del liceo Kennedy e reggente in un istituto comprensivo di Roma: «Contano i dosaggi. È vero che nella scuola dell’obbligo bisogna lasciare ai bambini il tempo per fare altre attività, tuttavia penso che i compiti aiutino a interiorizzare le cose da imparare, certo serve un dialogo empatico con le famiglie, il bambino che sente il genitore dire “oddio, vediamo che compiti devi fare...” offre un approccio negativo. Diverso è nelle superiori, dove per materie come matematica, chimica e latino gli esercizi sono un allenamento indispensabile». Chi si op- pone a questa linea, come Paolo Ferri, docente alla Bocconi di Teoria e tecnica dei media, autore del libro I nuovi bambini (Bur) spiega: «Mio figlio è in seconda media, fa basket e spesso finisce a sera di fare i compiti. Questa è una pessima abitudine della scuola italiana, un’abitudine che non dà risultati perché se andiamo a vedere le classifiche Ocse scopriamo che siamo fra i Paesi in cui gli allievi sono più caricati di compiti, ma i risultati dei test sugli apprendimenti ci vedono in fondo alla classifica». Proprio secondo l’Ocse i quindicenni italiani passano 8,7 ore la settimana a svolgere i compiti, quasi il doppio rispetto alla media, ferma al 4,9, dei Paesi monitorati dall’organizzazione. «Faccio un esempio — riprende Ferri che è tra i firmatari della petizione — i nostri ragazzi, in matematica studiano a casa il doppio di finlandesi e coreani, eppure non hanno gli stessi risultati. Anche inglesi, francesi e tedeschi hanno performance migliori in matematica e studiano a casa molto meno dei nostri. Qualcuno può chiedersi perché?».
Certo non può essere soltanto per colpa dei compiti. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento degli esercizi dati a casa nelle elementari, forse perché in una stessa classe operano più maestre e c’è poco coordinamento — riprende Parodi, che è stato dirigente di un istituto comprensivo di Genova — È come se nelle aule dominasse il paradigma che a scuola si insegna e a casa si apprendono i contenuti. Va detto che molti genitori sono rassicurati dal vedere i figli sommersi dai compiti, sono convinti che si preparino meglio. Ma così cresce nei ragazzi la noia e la stanchezza per lo studio». Quello che la pagina Facebook raccoglie sono storie di diverse famiglie che hanno figli alle elementari e alle secondarie inferiori. Stefano per esempio scrive: «Mio figlio è dislessico e i compiti a casa sono una tragedia ».
Giacomo Stella, ordinario di Psicologia clinica all’università di Modena e Reggio ha pubblicato con Giunti Tutta un’altra scuola, testo in cui sostiene lo stop ai compiti: «Spesso li fanno i genitori o i loro delegati (insegnanti di ripetizione). Bisogna avere il coraggio di cambiare metodo: si impara a scuola, a casa si fanno altre cose come sviluppare ricerche in internet o arricchire dal punto di vista grafico i lavori già avviati».