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GdM-Quando in Italia la scuola media fu uguale per tutti

Quando in Italia la scuola media fu uguale per tutti VITO ANTONIO LEUZZI La felice combinazione di ottimismo e di volontà di cambiamento dei primi anni Sessanta permise all'Italia un v...

21/12/2002
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La Gazzetta del Mezzogiorno

Quando in Italia la scuola media fu uguale per tutti

VITO ANTONIO LEUZZI

La felice combinazione di ottimismo e di volontà di cambiamento dei primi anni Sessanta permise all'Italia un vero giro di boa. Fu allora consentito al sistema economico e ad alcune istituzioni come la scuola di avviare importanti processi di riforma.
Nel novembre del 1962 il governo di centro-sinistra fece approvare alla Camera la nazionalizzazione delle industrie elettriche, in sintonia con l'importante provvedimento varato alcuni mesi prima con il quale si istituiva la commissione nazionale per la programmazione economica. Raggiunse, in questa fase, la sua punta più alta la crescita dell'Eni (Ente nazionale idrocarburi), guidato da Enrico Mattei che aveva incrinato il monopolio delle fonti energetiche delle multinazionali americane, introducendo un sistema di compartecipazione tra paesi produttori e consumatori e favorendo così l'interscambio energetico tecnologico dell'Italia con i paesi arabi.
Tuttavia la tragica scomparsa di Mattei, nel novembre del '62 che aveva sfidato i giganti della produzione petrolifera la Exxon e la Gulf Oil, avvenuta in circostanze mai definitivamente chiarite (si ipotizzò il sabotaggio del suo aereo, precipitato presso Pavia) evidenziò i forti condizionamenti internazionali in relazione alle politiche economiche con i paesi della sponda sud del Mediterraneo.
Negli ultimi giorni di dicembre di quarant'anni fa giunse anche in dirittura d'arrivo il disegno di legge sulla "Istituzione e ordinamento della scuola media statale" che consentiva dopo quindici anni di denunce e battaglie - soprattutto degli esponenti del fronte laico, tra i quali Aldo Capitini, il maggior teorico della pace - di dare concreta attuazione agli articoli 33 e 34 della Costituzione.
L'istituzione di una scuola comune di base per tutti gli italiani dai 6 ai 14 anni, che avrebbe consentito un moderno e civile sviluppo del paese superando antichi divari sociali e culturali, venne tuttavia osteggiata dagli esponenti di partiti e movimenti clerico-conservatori, ai quali soprattutto non garbava il ridimensionamento del latino. Ma obiezioni alla legge vennero rivolti anche da alcuni intellettuali comunisti, perché vedevano disattesa una scelta culturale fondamentale che era quella della formazione storica e scientifica.
Una abile funzione di mediazione politico-culturale venne svolta da Aldo Moro alla guida della Democrazia cristiana che sin dal '58 era riuscito ad introdurre nella scuola l'insegnamento della Costituzione. Al centro dell'azione del grande statista pugliese, originario di Maglie, era lo sviluppo della ricerca scientifica. Nella relazione all'VIII Congresso della Dc, egli esplicitò il disegno di una rapida modernizzazione del sistema scolastico per adeguarlo alle esigenze del "miracolo economico" in atto.
Nella scuola in quegli anni si assistette ad un dibattito culturale che non ha precedenti, legato in particolare alle proposte formulate da esponenti socialisti come Codignola, che ebbe un ruolo fondamentale nella politica scolastica dei futuri governi di centro-sinistra guidati dallo stesso Moro.
Per la prima volta si pensò allora di varare una legge per la scuola materna statale in un settore dove la presenza dei privati ed in particolare degli enti religiosi era esclusiva. Forte fu la resistenza verso quest'ultima proposta da parte di alcuni settori dello stesso partito di maggioranza, perché non pochi vi intravvidero un pericolo di "scristianizzare l'infanzia", come eplicitamente sostenne l'on. Antonio Segni.
Inoltre si cercò in particolare di riordinare l'istruzione professionale ponendola sotto il controllo del ministero della Pubblica Istruzione. Ma uno dei risultati più immediatamente tangibili nell'avvio di processi di cambiamento della scuola fu l'istituzione di una Commissione d'indagine che con estrema sollecitudine nel giro di alcuni mesi nel luglio del 1963 formulò le linee di sviluppo della Istruzione pubblica rispetto ai nuovi bisogni della società italiana.
La questione scolastica che aveva accumulato ritardi non più sopportabili per una società in trasformazione fu al centro di dibattiti e convegni. Ma anche di un rilevante atteggiamento di freno della burocrazia ministeriale alle proposte riformatrici, nonché di una palese ostilità dei settori clerico-conservatori alla diffusa esigenza di democrazia e ammodernamento della scuola. Il movimento degli studenti alla fine degli anni Sessanta fece esplodere - come si disse allora - tutte queste contraddizioni.
Oggi di fronte alle numerose carenze del sistema scolastico si dovrebbero evitare da parte dell'attuale classe dirigente penosi tentativi di distogliere l'attenzione dai reali e gravi problemi esistenti sul campo. La questione ad esempio dell'insegnamento della storia, ancora recentemente sollevata dalla Commissione cultura della Camera, evidenzia non tanto la parzialità delle interpretazioni dei manuali, bensì la loro inadeguatezza, sotto il profilo dei metodi e degli strumenti d'analisi, a rapportarsi alla gran massa di dati storici quotidianamente diffusi dai media. La televisione, internet, il cinema, la stampa, forniscono oggi una mole ed un flusso di informazioni tutte intrecciate con il sapere storico tale da sconvolgere il tradizionale senso comune della conoscenza del passato che avveniva attraverso la mediazione della famiglia e dell'ambiente in cui viveva.
Occorre più che mai una serena capacità nel riconsiderare la memoria storica nazionale, che rivaluti i risultati faticosamente raggiunti nel tempo da una democrazia che nonostante tutto mostra di saper sopportare l'urto di scelte confuse e prive di progettualità.


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