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Basta slogan, ora servono le idee di tutti. E il ritorno in classe

Tanti nodi, un traguardo: gli studenti in classe

09/06/2020
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Corriere della sera

Gianna Fregonara

La scuola è finita, l’anno scolastico più strano del Dopoguerra è chiuso. Dovremo approfondire che cosa è stata realmente la didattica a distanza, capire cosa non ha funzionato e di cosa potremo fare tesoro. Ora però che i contagi non si contano più a migliaia, la sfida è un’altra: a settembre gli studenti devono poter tornare in classe. Tutti. Tre mesi sono pochi per riformare la scuola, sono sufficienti per trovare una soluzione che renda il prossimo un anno scolastico vero. Un quadrimestre si recupera, un altro intero anno no.

Se resterà la regola di precauzione della distanza interpersonale e della mascherina o della visiera, servono spazi, insegnanti, tempi nuovi. Certamente fondi ma soprattutto idee. A settembre, se il virus non ci darà la tregua che ci aspettiamo, la scuola non potrà essere quella di prima, ma non dovrà per forza essere peggiore. Il danno sarebbe incalcolabile. Si andrà tutti a scuola, ma si andrà a scuola per meno tempo: che gli orari vadano ridotti, è una soluzione che trova tutti d’accordo. Risolve una buona parte dei problemi di spazio e di trasporto, evita di stravolgere troppo le giornate di studenti e professori. Ma fare tutto e bene in meno tempo è già una sfida. Hanno ragione gli esperti e le forze politiche anche di opposizione e i sindacati a indicare al governo di assumere più insegnanti: serviranno. E del resto anche i ministri dell’Istruzione e dell’Economia hanno cominciato a fare qualche conto per aumentare il personale nelle scuole materne ed elementari. Ma serve investire di più. Non è solo una questione di numeri: ci sono graduatorie di materie come la matematica che sono vuote in diverse province. Già lo scorso anno metà dei posti di ruolo non sono stati assegnati perché non c’erano i professori che servivano. La situazione non è cambiata, in una scuola che avrà comunque oltre duecentomila supplenti. Il rischio che alla ripresa molte classi siano senza insegnanti è concreto.

E servono spazi, per poter mantenere la distanza di sicurezza. È irrealistico pensare che si costruiscano scuole in tre mesi, ma nulla vieta, visto che si stanno monitorando le aule di tutta Italia, di far partire cantieri che ci consegnino nuove scuole anche tra un anno: non sarà utile per l’emergenza, ma c’è anche un dopo che va pensato. Per trovare spazi intanto si ingegneranno i presidi, che però già — con qualche ragione — temono di diventare il parafulmine di ogni problema, dalle mascherine alle pulizie, alle supplenze, al plexiglas. Lo slogan usato dalla ministra Lucia Azzolina è che bisogna fare «scuola fuori dalla scuola». Efficace, ma che cosa si farà nei cinema, nei musei, negli oratori e in altri spazi esterni per un intero anno scolastico? C’è qualcuno che pensa di formare gli insegnanti , o dovranno ricorrere di nuovo al fai da te? Qualche risposta è contenuta nella bozza della commissione guidata da Patrizio Bianchi, che propone di rivedere addirittura i programmi, puntando sulla didattica informale e su formule di cui pedagogisti ed esperti parlano da anni ma che sono rimaste confinate nei convegni.

C’è comunque tanta strada da fare per essere all’altezza della sfida di settembre. E del resto non si sa ancora se la scuola è pronta all’esame di Maturità che comincia la settimana prossima: il fatto che non si siano ancora trovati i presidenti per completare le commissioni la dice lunga. Perché alla ripresa la scuola non si inceppi c’è bisogno del contributo di tutti: studenti, famiglie, insegnanti, presidi, sindacati, esperti, governo e opposizione. A ognuno la responsabilità di fare proposte concrete e sensate, non propaganda. Finora il dibattito si è concentrato su mascherine, plexiglas e termometri: si dovrà valutare la soluzione meno invasiva e più accettabile e ci dovremo abituare come ci siamo abituati alla distanza. Ma ci sarà un giorno in cui ci toglieremo la mascherina, smonteremo le barriere. Quel giorno ritroveremo la scuola che avremo saputo costruire.

Se resterà la regola di precauzione della distanza interpersonale e della mascherina o della visiera, servono spazi, insegnanti, tempi nuovi. Certamente fondi ma soprattutto idee. A settembre, se il virus non ci darà la tregua che ci aspettiamo, la scuola non potrà essere quella di prima, ma non dovrà per forza essere peggiore. Il danno sarebbe incalcolabile. Si andrà tutti a scuola, ma si andrà a scuola per meno tempo: che gli orari vadano ridotti, è una soluzione che trova tutti d’accordo. Risolve una buona parte dei problemi di spazio e di trasporto, evita di stravolgere troppo le giornate di studenti e professori. Ma fare tutto e bene in meno tempo è già una sfida. Hanno ragione gli esperti e le forze politiche anche di opposizione e i sindacati a indicare al governo di assumere più insegnanti: serviranno. E del resto anche i ministri dell’Istruzione e dell’Economia hanno cominciato a fare qualche conto per aumentare il personale nelle scuole materne ed elementari. Ma serve investire di più. Non è solo una questione di numeri: ci sono graduatorie di materie come la matematica che sono vuote in diverse province. Già lo scorso anno metà dei posti di ruolo non sono stati assegnati perché non c’erano i professori che servivano. La situazione non è cambiata, in una scuola che avrà comunque oltre duecentomila supplenti. Il rischio che alla ripresa molte classi siano senza insegnanti è concreto.

E servono spazi, per poter mantenere la distanza di sicurezza. È irrealistico pensare che si costruiscano scuole in tre mesi, ma nulla vieta, visto che si stanno monitorando le aule di tutta Italia, di far partire cantieri che ci consegnino nuove scuole anche tra un anno: non sarà utile per l’emergenza, ma c’è anche un dopo che va pensato. Per trovare spazi intanto si ingegneranno i presidi, che però già — con qualche ragione — temono di diventare il parafulmine di ogni problema, dalle mascherine alle pulizie, alle supplenze, al plexiglas. Lo slogan usato dalla ministra Lucia Azzolina è che bisogna fare «scuola fuori dalla scuola». Efficace, ma che cosa si farà nei cinema, nei musei, negli oratori e in altri spazi esterni per un intero anno scolastico? C’è qualcuno che pensa di formare gli insegnanti , o dovranno ricorrere di nuovo al fai da te? Qualche risposta è contenuta nella bozza della commissione guidata da Patrizio Bianchi, che propone di rivedere addirittura i programmi, puntando sulla didattica informale e su formule di cui pedagogisti ed esperti parlano da anni ma che sono rimaste confinate nei convegni.

C’è comunque tanta strada da fare per essere all’altezza della sfida di settembre. E del resto non si sa ancora se la scuola è pronta all’esame di Maturità che comincia la settimana prossima: il fatto che non si siano ancora trovati i presidenti per completare le commissioni la dice lunga. Perché alla ripresa la scuola non si inceppi c’è bisogno del contributo di tutti: studenti, famiglie, insegnanti, presidi, sindacati, esperti, governo e opposizione. A ognuno la responsabilità di fare proposte concrete e sensate, non propaganda. Finora il dibattito si è concentrato su mascherine, plexiglas e termometri: si dovrà valutare la soluzione meno invasiva e più accettabile e ci dovremo abituare come ci siamo abituati alla distanza. Ma ci sarà un giorno in cui ci toglieremo la mascherina, smonteremo le barriere. Quel giorno ritroveremo la scuola che avremo saputo costruire.


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