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Aprile On Line: Perchè votare "no" al referendum

Scheda. In cosa consiste la riforma costituzionale su cui saremo chiamati ad esprimerci il 25 giugno. Le ragioni per bocciarla

13/05/2006
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Aprileonline

Il Primo ministro, il Capo dello stato, l’iter legislativo e il Senato federale
Bisogna chiarire la complessità di questa legge di riforma che di fatto rappresenta una ristrutturazione integrale della seconda parte dell’attuale Costituzione. Con un colpo di spugna la vecchia maggioranza ha dunque cancellato il secondo livello della nostra Carta, introducendo cambiamenti radicali in diversi aspetti istituzionali, i più importanti dei quali sono:
1) un nuovo ruolo del capo di governo che viene a trasformarsi in primo ministro, con il riconoscimento di una posizione di forza rispetto alle altre componenti dello Stato (il cosiddetto premierato forte) e che verrà eletto direttamente dal corpo elettorale e potrà insediarsi senza la ratifica della fiducia;
2) un ridimensionamento del ruolo del Presidente della Repubblica che, privato delle attuali funzioni e degli attuali poteri di fatto trasferiti al primo ministro (scioglimento delle Camere, autorizzazione della presentazione alle Camere stesse dei disegni di legge di iniziativa del governo), è ridotto ad un mero ruolo cerimoniale e di rappresentanza;
3) un nuovo iter di approvazione delle leggi, per cui non è più previsto il duplice passaggio fra Camera dei deputati e Senato per una loro convergente approvazione in virtù di una divisione di competenze: alcune materie saranno infatti di specifica competenza del Senato e altre della Camera, anche se l’ultima parola in merito spetterà sempre a Montecitorio;
4) creazione di un Senato federale rappresentativo degli interessi del territorio e delle comunità locali, eletto contestualmente ai Consigli regionali e di cui faranno parte, senza diritto di voto, membri dei Consigli regionali e delle autonomie locali, attraverso però un criterio che tende a privilegiare le regioni più grandi e popolose
La Devolution
In questo processo di anomala riforma, un ruolo centrale lo ha rivestito il riscrittura del titolo V, ovvero quella parte della Costituzione preposta alla regolamentazione del rapporto fra Stato centrale e Regioni, Province, Comuni e, più in generale, istituzioni locali. Questa revisione dell’equilibrio fra il cosiddetto “potere centrale” e “potere locale”, nota comunemente come devolution o devoluzione, nasce nel tentativo di permettere un trasferimento di poteri, oneri, funzioni e doveri dallo Stato alle realtà periferiche, allo scopo – in realtà non effettivamente realizzato dalla riforma stessa e poi vedremo perché – di favorire un miglioramento delle prestazioni dei servizi pubblici erogati ai cittadini.
Proprio rispetto a questo particolare punto il centro-sinistra si è opposto e si oppone, contestando la riforma costituzionale per ragioni politiche e istituzionali. Una contestazione, va chiarito, che non si traduce nella negazione di principio di un possibile “riformismo istituzionale”, che pure rimane per il centro-sinistra una necessità a cui bisogna provvedere, ma che significa al contrario l'opposizione verso un legge, come quella imposta dal centro-destra, che realizza un rinnovamento tutt'altro che logico ed efficace.
In particolar modo, per quel che riguarda l’introduzione della devoluzione, duramente criticata dalle forze dell'Unione non ultimo per ragioni sociali, trattandosi di un rinnovamento regressivo che contribuirà a rendere ancora più diviso il paese, con la conseguente crescita del divario tra il benessere economico e sociale del Nord e quello, nettamente inferiore, del Sud. Già con il primo governo di Romano Prodi era cominciata una revisione del titolo V della Costituzione. Si voleva tentare allora un percorso di apertura verso un ruolo meno marginale delle amministrazioni locali, le prime capaci di rispondere alle esigenze della propria cittadinanza. Un maggiore protagonismo cercato sempre nel pieno rispetto dell'unità culturale e politica del paese e, chiaramente, del ruolo di coordinamento dello Stato.
La devoluzione promossa dal centro-destra riguarda principalmente il trasferimento di competenze dallo Stato alle realtà locali, ma prevede anche una ritorno allo Stato stesso di antiche funzioni per diverso tempo amministrate da Regioni, Province e Comuni. Nello specifico saranno competenza delle istituzioni periferiche materie come:
1) l’assistenza e l’organizzazione sanitaria
2) l’assistenza e l’organizzazione scolastica, con la possibilità da parte della Regione di poter definire anche i programmi scolastici e formativi
3) la pubblica sicurezza mediante la creazione di una polizia amministrata regionalmente o localmente
Lo Stato continuerà invece ad amministrare la sicurezza del lavoro, le norme generali di tutela della salute, le grandi risorse strategiche di trasporto e navigazione, l’ordinamento della comunicazione, quello professionale e ad altri ancora.
Il sollevamento dello Stato dalle competenze prima elencate si fonda sul presupposto che saranno le Regioni o le autorità periferiche a dover sovvenzionare economicamente quei servizi per garantirli ai loro cittadini. In un paese che appare tutt’altro che economicamente uniforme e risulta dominato da una innegabile separazione fra un Nord ricco ed un Sud profondamente più povero, la devoluzione promossa dal centro-destra si tradurrà in una differenziazione ancora più marcata di questi "due mondi": un Settentrione che sarà, perché più opulento, capace di garantire un buon livello di assistenza sanitaria o scolastica ed un Meridione povero ridotto a fanalino di coda nell’assistenza pubblica.
Retroscena politici
Alle ragioni politico-sociali di avversione alla riforma costituzionale, si aggiunge una contestazione di metodo. La riforma è infatti nata attraverso una univoca imposizione da parte della vecchia maggioranza, la quale l’ ha di fatto imposta sia nella Commissione che ne ha sovrinteso la creazione e che assegnava anche al centro-sinistra un ruolo di verifica, sia all’interno del Parlamento. Con il precedente esecutivo è stato infatti impossibile ogni dialogo: gli emendamenti e le richieste di modifica proposte dal centro-sinistra rimaste inascoltate, cosicché non si è potuta evitare la creazione di quello che appare sempre più chiaramente come un vero “Frankenstein” costituzionale. Un mostro della fantascienza politica nato da opportunistiche ragioni di potere: il governo Berlusconi, infatti, è stato costretto ad approvare questa pessima versione di riformismo istituzionale perché ricattato dalla Lega Nord, che ha venduto per tutta la scorsa legislatura il suo appoggio al governo in cambio del riconoscimento di una legge sulla devoluzione. Una devoluzione che però risponde agli interessi esclusivi di una parte del paese e che sacrifica tutta la restante, una devoluzione capace di tradursi in una discriminazione della cittadinanza. A questo ricatto, costretto tra l’incudine e il martello, lo stesso governo Berlusconi è stato condizionato anche dalla presenza nella sua compagine politica di Alleanza Nazionale, la quale, di fronte ai condizionamenti leghisti ha spinto in direzione di un bilanciamento della riforma e della devoluzione da essa prevista. Così An ha dato il proprio beneplacito ad una maggiore delega verso le realtà locali, ma al patto che fosse garantito anche un più massiccio ruolo dello Stato centrale e nazionale. Si è avuta in questo modo l’approvazione di un premierato forte ed anche una riaffermazione del ruolo statale in alcuni settori e per alcune materie di amministrazione. Per non parlare della ambigua creazione, prevista sempre dalla legge di riforma, di un Senato federale. A questa nuova Camera, che dovrebbe accogliere la rappresentanza regionale è stata riconosciuta un certa autonomia legislativa che però di fatto le viene negata alla luce del principio secondo cui l'ultima parola in merito all'introduzione di una legge su proposta locale spetterà comunque alla Camera dei deputati, cioè allo Stato, ovvero al potere "centrale".
Insomma, una legge di riforma schizofrenica che per accontentare tutte le componenti politiche della vecchia maggioranza finisce per scontentare proprio i cittadini, mettendone a rischio i diritti sociali essenziali. Per questa ragione è importante recarsi al seggio il 25 e il 26 giugno e votare No alla conferma di questo testo di legge, evitando così di trasformare il paese e lo Stato in una realtà divisa e discriminante. In altre parole, meno democratica


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