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L'Istat e la mobilità sospesa

I trasferimenti volontari rimangono nei cassetti dei dirigenti per mesi o addirittura anni

05/11/2017
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Nel piano di mobilità approvato lo scorso anno fra molte proteste era prevista una seconda fase di mobilità, successiva al Mo.S.I. (mobilità straordinaria interna) del 2016, che aveva lasciato senza risposta le richieste di centinaia di colleghi.

Ad oggi, tutto rimane fermo.

La mobilità rimane quindi appannaggio di affannose ricerche personali di colleghi con cui scambiarsi, di nulla osta sempre più faticosi da ottenere, di direttori che dicono di sì ma poi ci ripensano, di dinieghi con motivazioni spesso improbabili. Solo per pochi, i più fortunati, la procedura si risolve con una mobilità d’ufficio “concordata”. Per contro la maggior parte delle richieste di mobilità, anche quelle con gravi motivi certificati, riposano nei cassetti o viaggiano dal cassetto di una stanza a quello di un’altra per mesi, ed a volte addirittura per anni!

Ci sono ormai molti casi di colleghi e colleghe con gravi problemi di salute propri o di parenti stretti, la cui domanda è bloccata perché il dirigente di provenienza pretende assolutamente uno scambio, o ritiene “insostituibile” la persona, o perché il dirigente di destinazione solleva problemi di stanze.

Occorre urgentemente risolvere le situazioni da troppo tempo non risolte, soprattutto per le lavoratrici e i lavoratori con problemi gravi. Per alcuni di questi casi abbiamo recentemente inviato specifiche diffide all’amministrazione. Ricordiamo che recenti sentenze della Cassazione (come la n. 23857/17) hanno precisato e letto in maniera estensiva i diritti di chi gode della legge 104 rispetto ai trasferimenti. Anche le nuove assunzioni dall’esterno previste da qui a fine anno possono essere l’occasione per risolvere alcuni di questi casi. Del resto le assunzioni possono diventare anche un’occasione per facilitare la mobilità volontaria, professionale innanzitutto, per i lavoratori già presenti all’Istat, precari di ruolo. Sarebbe anzi un’ottima opportunità per dare la possibilità a tutti i “neo assunti” di indicare la loro preferenza professionale e logistica, cercando il più possibile di incrociare le indicazioni dei lavoratori con le richieste delle strutture. Un altro strumento semplice è quello dell’interscambio diretto, già sperimentato con il Mo.S.I., che potrebbe e dovrebbe diventare un meccanismo ordinario di mobilità volontaria. Occorrono però anche call frequenti, almeno una volta l’anno, che seguano una seria ricognizione dei fabbisogni, condotta se necessario anche interpellando direttamente il personale coinvolto. Per i casi più complessi, soprattutto per le sedi territoriali, gli strumenti del telelavoro e dello smartwork possono essere utilizzati da subito in modo intelligente, anche per rispondere ai problemi di salute - magari temporanei - del dipendente.

Infine, qualcuno dovrebbe spiegare ai direttori che ricevono solo richieste in uscita – e che vi si oppongono sistematicamente – che ogni volta che impediscono a un lavoratore di trasferirsi perdono sia capacità attrattiva sia capacità motivazionale, peggiorando la situazione da ogni punto di vista.

Da tempo sosteniamo che si debba ripensare il regolamento sulla mobilità, da ultimo anche per realizzare uno degli obiettivi del Piano strategico triennale 2017- 2019 (PG7), in attuazione dei principi dell’Istituto elencati nell’AOG 1 (articolo 2 lettera j) e anche nel nuovo Statuto dell’Istat (articolo 4 lettera n).

Notiamo comunque che con il “vademecum” di recente pubblicazione sulla Intranet dell’Istituto sono state introdotte due novità positive.

La prima è il cambio di procedura. La domanda di mobilità va oggi inoltrata direttamente alla DCRU, che si occupa di “raccogliere” le firme e i pareri dei direttori. In questo modo dovrebbe essere scongiurata la prassi dilatoria dei dirigenti che tenevano ferma la domanda presso la loro segreteria per settimane o per mesi.

La seconda è il modulo stesso, che prevede di potere indicare tra i motivi della richiesta di trasferimento non solo i gravi motivi ma anche l’“Esperienza professionale ritenuta maggiormente pertinente alle attività della struttura di destinazione”, il “Possesso di competenze ritenute maggiormente applicabili alle attività della struttura di destinazione”, la “Necessità di conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro, anche connesse alla distanza dalla sede di assegnazione” e addirittura una modalità “Altro” in cui indicare motivazioni non ricomprese tra quelle elencate.

Ci aspettiamo quindi che l’Istat risolva urgentemente le richieste che pendono da ormai troppo tempo, e che produca un nuovo regolamento da discutere con le organizzazioni sindacali, introducendo finalmente una procedura trasparente ed efficace di mobilità volontaria. 

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