FLC CGIL
Iscriviti alla FLC CGIL

https://www.flcgil.it/@3808527
Home » Attualità » Sindacato » Il lavoro non è una merce: sciopero contro la Legge 30

Il lavoro non è una merce: sciopero contro la Legge 30

Sciopero e assemblee contro la Legge 30 sul mercato del lavoro

10/09/2003
Decrease text size Increase  text size

Da settembre è in vigore il decreto attuativo della delega sul lavoro, che rende il lavoro precario, manomette il sistema di norme e tutele che compone il diritto del lavoro, affossa la contrattazione, frantuma e rende ingestibile il mercato del lavoro lasciando le lavoratrici e i lavoratori più deboli e più soli. E’ un vero manifesto ideologico.

Tanti nuovi e indecenti rapporti di lavoro, quasi tutti a termine e individualizzati. Il governo ha dichiarato che l’Italia avrà il mercato del lavoro più flessibile d’Europa e che così s’incrementerà l’occupazione. Ma di quale occupazione parlano! Qualche lavoretto precario e saltuario farà, forse, aumentare il numero statistico degli occupati, ma non è un lavoro, un lavoro dignitoso quello che ci propongono.

Un lavoro è dignitoso quando può contare su una buona protezione contro i licenziamenti, sulla certezza di avere percorsi professionali e di qualifica, sulla certezza del reddito e della futura pensione, sulla sicurezza sul lavoro, sulla garanzia di poter avere una rappresentanza. Di tutto ciò non c’è traccia nel decreto.

Il super market della precarietà

L’impresa potrà scegliere tra più di 40 contratti di lavoro (somministrazione, lavoro intermittente, contratto di inserimento, lavoro condiviso, contratto di progetto ecc.) con meno tutele e senza un reale diritto alla retribuzione in caso di malattia e infortunio, senza una copertura previdenziale dignitosa, con il lavoratore sempre a disposizione dell’impresa.

Si stravolge il principio base del diritto del lavoro (lavoratori e datori non sono ugualmente forti), trasformando il rapporto di lavoro in un rapporto meramente commerciale, dove il lavoratore e il datore sono dotati di eguale potere e possono quindi “liberamente” accordarsi tra loro, senza una cornice di tutele collettive come i contratti nazionali .

Un esempio: con il nuovo contratto di somministrazione a tempo indeterminato un lavoratore potrà lavorare per tutta la vita dentro un’azienda (per esempio la Mario Rossi spa), ma essere dipendente di un’altra (la Paolo Bianchi somministrazione srl). Non avrà quindi diritto a nessuna tutela tipica dell’azienda in cui lavora effettivamente (per esempio l’articolo 18), di quel settore, di quel contratto nazionale, perché formalmente lui, lì dentro, non esiste.

E non è vero che tutto ciò non riguarderà i dipendenti pubblici: è pronto un tavolo specifico per l’estensione delle nuove norme anche alla pubblica amministrazione.

Terziarizzazioni e appalti “facili”

Con la legge 30 sarà possibile dividere un’azienda in più parti anche se non vi è nessuna esigenza produttiva, né autonomia funzionale preesistente del ramo d’azienda da cedere (prima era obbligatorio che, per cedere una parte dell’azienda, questa fosse già prima della cessione dotata di autonomia organizzativa, o finanziaria o contabile). Siamo in presenza di possibili “spezzatini” del ciclo produttivo fatti senza alcun controllo e di una frantumazione delle soglie dimensionali dell’impresa (da un’impresa di 16 dipendenti, ad esempio, creandone un’altra con i tre operai addetti alla manutenzione, si avrà così un “sistema” di 13 dipendenti + 3, e nessuno di loro godrà più della cassa integrazione).

Sarà possibile inoltre moltiplicare gli appalti e i sub appalti: questo vuol dire meno tutele contrattuali, salari più bassi, niente ammortizzatori sociali - anche per chi fino a ieri ne era provvisto.

Torna il caporalato

Con la legge 30 viene abolita la legge 1369/60, che vietava il caporalato. Tanti soggetti privati potranno fare affari facendo intermediazione di manodopera: agenzie private, Camere di commercio, Comuni, scuole e università pubbliche e private, organizzazioni sociali, associazioni, Consiglio dei consulenti del lavoro, enti bilaterali.

I lavoratori con meno formazione, i più anziani, le donne e gli immigrati non saranno un buon affare per questi soggetti e allora i servizi pubblici per l’impiego, con sempre meno risorse, diverranno una sorta di collocamento per gli “ultimi della terra”.

Un colpo grave alla contrattazione

Si colpisce al cuore il sistema contrattuale basato sui 2 livelli: uno nazionale di garanzia per tutti e uno aziendale o territoriale. Su molte materie, gli accordi nazionali che diranno quando e perché ricorrere alle nuove tipologie di lavoro potranno infatti essere sempre sostituiti da eventuali accordi peggiorativi territoriali o aziendali.

C’è chi dice che la legge rinvia spesso alla contrattazione tra le parti, ma è un trucco: diverse nuove tipologie contrattuali saranno utilizzabili sempre dall’azienda, anche in settori produttivi importanti, perché lo dice direttamente la legge (per esempio nella somministrazione a tempo indeterminato per pulizia, custodia, informatica, call center, nuove attività nel Sud ecc.).

E se per caso, passati pochi mesi, ancora non ci dovesse essere un accordo tra le parti sociali (anche separato, che la legge legittima), il ministro del Lavoro potrà regolare tutto con un decreto, sostituendosi ai sindacati.

La formazione? Un optional

Il nuovo contratto di apprendistato potrà durare fino a 6 anni, l’apprendista essere inquadrato 2 livelli sotto rispetto alla qualifica finale e addirittura potrà cominciare a 15 anni (altro che formazione per tutta la vita…). Gli apprendisti saranno inoltre poco tutelati, non essendo previsto un diritto all’indennità di malattia e non essendo computati per determinare le soglie dell’impresa. Sparisce anche l’obbligo ad almeno 120 ore anno di formazione da fare fuori dall’azienda.

I Contratti di formazione lavoro saranno sostituiti dal nuovo contratto di inserimento: i lavoratori saranno inquadrati 2 livelli sotto, con la possibilità - eventuale e non certa - di essere formati. L’azienda continuerà a ricevere tante agevolazioni senza che questi lavoratori siano computati nell’organico e, in caso di nuove assunzioni sempre con contratto di inserimento, l’azienda potrà farlo godendo di una specie di “bonus” rispetto ai vincoli prima previsti per i CFL. La vecchia norma permetteva infatti di assumere con nuovi CFL solo se l’impresa aveva confermato in servizio almeno il 60% dei vecchi contrattisti. Per i contratti di inserimento tale obbligo si riduce al mantenimento in servizio del 60% meno 4 lavoratori (per esempio, se un’azienda aveva assunto 10 lavoratori in CFL, per poter assumere nuovi lavoratori con lo stesso tipo di contratto doveva aver mantenuto in attività almeno 6 lavoratori; con il contratto di inserimento basta che ne abbia mantenuti 2).

Lavoro a chiamata: il futuro impossibile

Un’impresa potrà impiegare, con un preavviso di un giorno, un lavoratore, retribuendolo solo per le ore di lavoro effettivamente svolte, più un’indennità di disponibilità. Tale indennità potrà essere erogata anche in deroga ai minimi contributivi, in caso di malattia non sarà erogata e in caso di mancata risposta (anche una volta soltanto) dovrà essere restituita (il contratto potrà anche essere rescisso e il lavoratore citato per danni). Il lavoratore non saprà mai quanto percepirà davvero in un determinato periodo, in attesa di una chiamata, magari per lavorare solo poche ore.

Part-time: sempre peggio

Vengono colpiti molti diritti individuali del lavoratore part-time. Se l’impresa vuole, con la legge 30, potrà imporre lavoro supplementare o spostamenti di giornate senza più l’obbligo di avere il consenso del lavoratore. O meglio se il lavoratore rifiuterà le variazioni temporali chieste dall’impresa potrà essere soggetto a provvedimenti disciplinari (e dopo 3 provvedimenti scatta il licenziamento). Sparisce anche il diritto del lavoratore al ripensamento: una volta “accettate” le modifiche non si può più tornare indietro.

Collaboratori senza diritti

Non solo i co.co.co non spariranno (gli attuali contratti di collaborazione possono durare ancora uno o più anni), ma cambieranno solo di nome (diverranno lavoratori a progetto), sempre rinnovabili e pagati come lavoratori autonomi, senza diritto alcuno. Infatti, in caso di malattia o infortunio, il rapporto si sospende senza maturare nulla né ricevere un solo euro di indennità e senza proroga del contratto; se le assenze superano poi i 30 giorni (in caso di durata non definita del progetto), o un sesto della durata definita, il rapporto terminerà automaticamente.

Una certificazione contro i lavoratori

Con le nuove norme sulla certificazione, all’interno dei nuovi enti bilaterali, potrà essere lo stesso sindacato a rendere più difficile per i lavoratori far rispettare i propri diritti, certificando la tipologia contrattuale e le modalità di svolgimento dell’attività. Certificazione che avrà valore legale anche verso terzi (Inps ecc.). Sarà anche possibile per il lavoratore, decidere “liberamente” (del tipo: “se vuoi un lavoro prima passiamo insieme dall’ente bilaterale”) di rinunciare in anticipo ad alcuni sui diritti (premio di produzione, gratifiche ecc.) e il sindacato “metterà i bollini” su tutto questo.

LA CGIL HA RACCOLTO 5 MILIONI DI FIRME, TRADOTTI IN 4 DISEGNI DI LEGGE,
PER DIFENDERE E AMPLIARE I DIRITTI DEI LAVORATORI

LA NOSTRA BATTAGLIA PER I DIRITTI NON SI FERMA