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Applicazione CCNL, tutela dei lavoratori e dumping contrattuale

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro fornisce indicazioni sull’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contratti collettivi.

22/06/2018
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L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) a seguito della circolare 3 del 25 gennaio 2018, con un comunicato del 20 giugno scorso, fornisce ulteriore  indicazioni ai propri ispettori circa l’attività di vigilanza verso le aziende che non applicano i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e che possono determinare problematiche di dumping.

Nel comunicato si afferma in maniera esplicita che l’azione ispettiva si concentra sulle imprese che non applicano in contratti collettivi stipulati da CGIL, CISL e UIL, ma su quelle che applicano i contratti sottoscritti da organizzazioni sindacali meno rappresentative. Si ricorda pertanto che alcuni dei benefici previsti dalla legge e che il ricorso a clausole contrattuali flessibili, sono consentiti solo nel caso in cui si applichino ai lavoratori i contratti comparativamente più rappresentativi, diversamente in caso di violazione le imprese e chi risponde in solido sono soggetti a sanzione.

Questo importante comunicato, che ripercorre i provvedimenti adottati dall’Ispettorato contro il fenomeno del “dumping contrattuale”, è pubblicato sulla home page dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. In particolare viene segnalato che il fenomeno colpisce in maniera significativa il Terziario. Riportiamo di seguito il testo del Comunicato dell’INL: L'azione di contrasto al fenomeno del dumping contrattuale iniziata a gennaio 2018 è in corso su tutto il territorio nazionale, in particolare nel settore del terziario nel quale si riscontrano violazioni di carattere contributivo o legate alla fruizione di istituti di flessibilità in assenza delle condizioni di legge. L'azione si concentra nei confronti delle imprese che non applicano i contratti "leader" sottoscritti da CGIL, CISL e UIL ma i contratti stipulati da sindacati che, nel settore, risultano comparativamente meno rappresentative (CISAL, CONFSAL e altre sigle minoritarie). Fermo restando il principio di libertà sindacale, infatti, la fruizione di benefici, così come il ricorso a forme contrattuali flessibili, è ammesso a condizione che si applichino i contratti "leader" del settore, contratti che vanno comunque sempre utilizzati per l'individuazione degli imponibili contributivi. Le imprese che non applicano tali CCNL potranno pertanto rispondere di sanzioni amministrative, omissioni contributive e trasformazione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro flessibili. Anche gli eventuali soggetti committenti risponderanno in solido con le imprese ispezionate degli effetti delle violazioni accertate. L’INL ricorda ai propri ispettori nella citata circolare che l’ordinamento riserva l’applicazione di determinate discipline subordinatamente alla sottoscrizione o applicazione di contratti collettivi dotati del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi.

Per una maggiore comprensione della materia trattata è opportuno ricordare brevemente i contenuti della circolare INL 3/18 richiamata nel citato comunicato.

Contratto di prossimità

Ai sensi dell’art. 8 del dl 138/11 in materia contratti di prossimità; eventuali contratti sottoscritti da soggetti non “abilitati” non possono evidentemente produrre effetti derogatori, come prevede il Legislatore, “alle disposizioni di legge (…) ed alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”. Ne consegue che il personale ispettivo, in sede di accertamento, dovrà considerare come del tutto inefficaci detti contratti, adottando i conseguenti provvedimenti (recuperi contributivi, diffide accertative ecc.).

Benefici normativi e contributivi
L’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale è indispensabile per il godimento di “benefici normativi e contributivi”, così come stabilito dall’art. 1, comma 1175, Legge 296/2006.

Contribuzione dovuta
Il contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro ai fini del calcolo della contribuzione dovuta, indipendentemente dal CCNL applicato ai fini retributivi, secondo quanto prevede l’art. 1, comma 1, del dl 338/89 unitamente all’art. 2, comma 25, della Legge 549/95.

Delega alla contrattazione collettiva

Facoltà, rimessa esclusivamente alla contrattazione collettiva in questione, di “integrare” la disciplina normativa di numerosi istituti. A tal proposito si ricorda anzitutto che l’art. 51 del Dlgs. 81/15 – recante, tra l’altro, la “disciplina organica dei contratti di lavoro (…)” – stabilisce che “salvo diversa previsione, ai fini del presente decreto, per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”. Pertanto ogniqualvolta, all’interno del medesimo Decreto, si rimette alla “contrattazione collettiva” il compito di integrare la disciplina delle tipologie contrattuali, gli interventi di contratti privi del requisito della maggiore rappresentatività in termini comparativi non hanno alcuna efficacia.

Ciò può avvenire, a titolo meramente esemplificativo, in relazione al contratto di lavoro intermittente, al contratto a tempo determinato o a quello di apprendistato. Ne consegue che, laddove il datore di lavoro abbia applicato una disciplina dettata da un contratto collettivo che non è quello stipulato dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, gli effetti derogatori o di integrazione della disciplina normativa non possono trovare applicazione. Ciò potrà comportare la mancata applicazione degli istituti di flessibilità previsti dal Dlgs. 81/15 e, a seconda delle ipotesi, anche la “trasformazione” del rapporto di lavoro in quella che, ai sensi dello stesso Decreto, costituisce “la forma comune di rapporto di lavoro”, ossia il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.