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Le donne e il lavoro nella scuola della legge 107

Mimma, Angela, Graziella, Sandra: il mondo della conoscenza si poggia su spalle femminili.

07/03/2016
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Mimma ha 52 anni, viene dalla provincia di Reggio Calabria dove ha lasciato il marito disoccupato, due figli e un nipotino. E’ collaboratrice scolastica, con un incarico fino a giugno al nord, prima ospite dalle suore poi in affitto in una camera ammobiliata per contenere le spese. Non si lamenta, guadagna tutti i mesi e avrà il punteggio annuale per la supplenza.

Angela è entrata in ruolo quest’anno in una primaria del Veneto dopo dodici anni di GAE; è di Agrigento, ha due figlie ormai grandi che non ha visto crescere e una bella famiglia che tiene insieme con whatsapp. Lavora lontano per essere autonoma e dare l’esempio alle sue ragazze, permettendosi anche di acquistare un biglietto economico di aereo per un rientro a sorpresa nel weekend.

Graziella ha cominciato a fare l’insegnante dopo la separazione, vive sola con un figlio piccolo a centinaia di chilometri da casa per lavorare da precaria; grande responsabilità ma anche la realizzazione di una nuova indipendenza e del tanto studiare giovanile.

In ultimo c’è Sandra, con la sua brillante carriera universitaria in quelle discipline scientifiche che la leggenda vuole avverse all’intelligenza femminile: lode, dottorato, borsa di studio all’estero, salita verso una docenza accademica che chiedeva sacrificio e rispondeva con promesse sempre scadute. Per prendersi il futuro è ripartita da zero, ad insegnare matematica ai ragazzini dalle graduatorie di istituto.

Il mondo della conoscenza si regge su spalle femminili: sono il 78,5% le donne insegnanti in Italia (quasi il 100% nell’infanzia fino al 59% nelle superiori), poco più del 61% le lavoratrici ATA. Le docenti universitarie e le ricercatrici sono il 35% del totale.

Da molto tempo non funziona più il potere di attrazione del lavoro intellettuale nella scuola per i modelli maschili, perché da troppo tempo tutta la filiera dell’istruzione è attraversata da scarso riconoscimento sociale. 

L’investimento nello studio e nella professione non richiama parametri economici soddisfacenti, né prospettive di crescita verso esperienze di carriera o progressivi guadagni: i contesti educativi e formativi non vanno nella direzione della produttività, non si aprono a trend positivi, non sono misurabili con punti/percentuale per incremento di gettito.

Il vento inquinato del riformismo, però, ha soffiato anche nella direzione della scuola, portando il pregiudizio della “modernità” come una sorta di totem, sull’altare del quale sacrificare la democrazia e la sua stessa complessità, vera alternativa ad un mondo governato dal profitto economico.

Verticismo, aziendalismo, competizione, subalternità, opportunismo, rischiano di dettare il nuovo corso della scuola dietro le parole “premialità e meritocrazia” che il coro dei gaudenti saluta come unica vera cura per la malattia cronica del sistema pubblico.

Tutto il percorso della Legge 107 è stato fatto a tavolino, senza ascolto e senza considerazione di chi, nel settore, regge le fila con determinazione e volontà: un esempio di cecità culturale perfettamente inserita nella proiezione di avere lavoratori selezionabili, docili e con meno diritti.

Le donne sono tante, ma esposte: alle richieste di maggior impegno, disponibilità e orari straordinari spesso ricorrono al part-time con conseguenze gravose sul loro quadro contributivo; si sentono responsabili delle loro scelte, dei fragili equilibri interpersonali e della cura familiare, ma l’impianto normativo non le tutela e il contratto è spesso eluso dall’emergenza e dalle pressioni dell’ambiente educativo.

In questo contesto “andare a premio” pare l’invenzione creativa del Paese dei Balocchi: la conoscenza ha, in Italia, il motore di un’economia al femminile, con i valori di Sandra, Graziella, Angela e Mimma e i tempi lunghi dell’investimento e dell’attenzione alla crescita umana. 

Solo accogliendo questi principi la scuola potrà trainare il Paese verso un cambiamento vero. E solo un Paese pronto a vedere la realtà nella quotidianità delle donne può pensare di metter in campo le sue ricchezze migliori.