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L’insegnamento della religione negli Stati Uniti

Stati Uniti, marzo 2002

04/03/2002
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Sul numero 21 di Valore Scuola/ Proiezioni è stato già pubblicato un articolo sull’insegnamento della religione in Europa. Questo alla luce delle polemiche suscitate dalla presentazione di in un disegno di legge governativo sulla immissione in ruolo di questi docenti che, come si sa, vengono nominati non da un’autorità pubblica, ma, di fatto, dai vescovi. A tali polemiche si sono aggiunte poi quelle derivate dalla scelta del progetto di riforma Moratti-Bertagna di rendere opzionali e persino facoltativi alcuni insegnamenti, ma di non comprendere tra questi l’insegnamento della religione che invece sarebbe rafforzato nella sua essenza curricolare.

Per arricchire questa discussione è interessante anche vedere come il problema dell’insegnamento della religione è invece affrontato negli Stati Uniti.

L’interesse per il caso americano sta soprattutto in questo: alle correnti di pensiero laiche e di sinistra, che hanno sempre sostenuto la facoltatività dell’insegnamento della religione e anzi richiesto che questa facoltatività fosse effettiva, i sostenitori della posizione opposta hanno sempre rilanciato l’accusa di essere intolleranti e poco liberali. In questi ultimi anni questo dibattito si è innestato nel dibattito sul modello di scuola da adottare legato a sua volta al modello di società e non è mancato chi , accusando di statalismo intollerante la sinistra italiana ha contrapposto ad essa il modello scolastico americano aperto alle numerose esperienze sociali a cui sarebbe aperta quella società e, tra queste, anche alle numerose confessioni religiose che la caratterizzano.

Ebbene, le cose non stanno proprio così, almeno per ciò che riguarda l’insegnamento della religione. Infatti nell’ordinamento giuridico statunitense le lezioni di religione non solo non fanno parte del curricolo, ma non sono nemmeno opzionali: sono volontarie per l’alunno che decide di seguirle o per la sua famigli che decide per lui. Non costituiscono una disciplina e tanto meno una materia curricolare. La scuola pubblica si limita a permettere che gli alunni che lo chiedono possano lasciare la scuola per assistere a lezioni di religione presso le comunità religiose di appartenenza; non controlla in nessun modo il contenuto di queste lezioni e non considera né positivamente né negativamente la loro frequenza. L’insegnamento della religione si impartisce fuori dalle aule delle scuole pubbliche per evitare di lottizzare le aule tra i gruppi religiosi e, da un punto di vista generale, per non accollarsi i costi dell’assistenza, che per altro sarebbero pagati con imposte.

La scuola quindi non si assume impegni organizzativi ed amministrativi. Allo stesso modo non esiste alcun tipo di relazione economica o lavorativa, né tanto meno contrattuale, tra le scuole e le comunità religiose, indipendentemente dal loro seguito nella popolazione o dal ruolo svolto nella storia del paese.

L’unica funzione che l’istituzione scolastica si assume è, al contrario, offrire agli alunni che rimangono a scuola la possibilità di realizzare altre attività. Queste attività “alternative” non sono valutabili in alcun modo dal punto di vista formativo.

Diversamente che da noi, nell’ordinamento giuridico statunitense il dibattito non si incentra sulla possibilità di impartire lezioni di religione nelle scuole pubbliche. La proibizione è implicita nella configurazione costituzionale dello Stato federale come stato laico, fondato sul principio della separazione tra Stato e Chiese. Un principio a cui gli americani tengono più di quanto sembri, se si pensa che in molte città persino i buoni scuola municipali, sono stati annullati da sentenze che si richiamavano esplicitamente alla violazione di questo principio.
Paradossalmente invece la controversia si situa intorno al regime a cui devono sottomettersi gli alunni che rimangono a scuola. Infatti in passato alcuni giudici della Corte Suprema hanno qualificato come coazione o comunque come provvisoria privazione della libertà la permanenza a scuola per coloro che, come diciamo noi, “ non si avvalgono”, ipotizzando persino che configurasse un attentato al principio di eguaglianza rispetto agli alunni con convinzioni religiose, i quali possono optare tra assistere a lezioni di religione, ancorché presso le proprie comunità, durante l’orario scolastico o alla fine di questo. Per questo motivo settori della Corte Suprema hanno richiesto che le lezioni di religione fossero comunque impartite assolutamente fuori dall’orario scolastico, in modo che gli alunni non avvalentisi potessero tornare tranquillamente a casa e fare ciò che era loro più gradito. Queste critiche hanno sortito il loro effetto e oggi la tendenza più diffusa è quella di effettuare l’insegnamento della religione fuori dell’orario scolastico, evitando ostacoli sia all’orario scolastico sia alle abitudini degli alunni non avvalentisi.