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Riforma pre ruolo dell’università: un tetto di spesa nel passaggio da assegno di ricerca ai nuovi contratti di ricerca insensato e vergognoso!

Significativi miglioramenti introdotti alla Legge 240 del 2010 riguardanti il pre ruolo universitario e l’istituzione della figura del tecnologo dell’università a tempo indeterminato. L’intervento all’ultimo minuto del MEF che dispone il tetto di spesa per i nuovi contratti di ricerca rischia però di offuscare e pregiudicare parte dei risultati raggiunti.

01/07/2022
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Il Dl 36, convertito nei giorni scorsi in legge, prevede un significativo miglioramento di alcune parti la Legge 240 del 2010, che accoglie alcune istanze portate avanti in questi anni dalla FLC CGIL sia per quanto riguarda il pre ruolo, dove è prevista una fase transitoria che salvaguarda la professionalità acquisita nelle figure ora abolite di assegnista di ricerca e ricercatore a tempo determinato di tipo A, sia per che per quanto riguarda la modifica della figura del tecnologo dell’università, che ora è finalmente prevista a tempo indeterminato e normata dal CCNL. Molto positiva l’abolizione degli assegni di ricerca (lavoro qualificato che non veniva riconosciuto come tale e che aveva più volte sollevato anche perplessità UE), che vengono sostituiti con un vero e proprio rapporto di lavoro a tempo determinato, il “contratto di ricerca”, la cui retribuzione viene definita dalla contrattazione collettiva, prevedendo comunque che non sia inferiore a quella iniziale del ricercatore confermato a tempo definito. Non possiamo che valutare con soddisfazione questo risultato, che garantisce e decine di migliaia di precari della ricerca maggiori tutele e un aumento della retribuzione con il doveroso versamento dei contributi pensionistici. È un opera di inclusione e garanzia che rientra da tempo negli obbiettivi della FLC e della Cgil, come pure nelle richieste di anni di mobilitazione dei lavoratori precari dell’università.

Negli ultimi passaggi procedurali della norma relativa ai contratti di ricerca, però, qualcuno ha inserito un’ulteriore previsione: la spesa degli atenei per i contratti di ricerca non potrà superare la spesa media dell’ultimo triennio per l’erogazione degli assegni di ricerca. Si prevede cioè che ci sia una uguale spesa a fronte di figure con un costo diverso, presumibilmente intorno ai 40mila euro per i contratti di ricerca contro gli attuali 25mila di un assegno.  

Questo tetto di spesa, imposto in una fase di passaggio tra le due figure, è assolutamente ingiustificato, sbagliato e privo di senso. Infatti, come è noto, l’università italiana viene da più di dieci anni di austerità, dove il fondo di funzionamento ordinario degli atenei è stato complessivamente ridotto per più di 5 miliardi di euro e ciò ha avuto inevitabilmente un effetto anche sul personale di ruolo che risulta ad oggi ridotto del 20%, relegando l’università italiana in fondo alle classifiche internazionali per le spese del personale, tanto che la stessa relazione tecnica della legge di bilancio 2022 indica la necessità di assumere 45mila nuovi posti di ruolo, un incremento di quasi il doppio degli attuali occupati,  per arrivare alle stesse condizioni delle altre realtà europee nel rapporto medio tra docenti e studenti.

Questo tetto di spesa per i contratti di ricerca basato sulla spesa in assegni del triennio precedente oggi introduce quindi un’intollerabile tagliola, che non tiene minimamente conto neanche della mutata realtà di contesto determinata dal PNRR, con le ingenti risorse che da questo anno saranno impegnate fino al 2026. Così si rischia da una parte di indebolire le conquiste ottenute (l’implementazione appunto di forme di lavoro a tempo determinato con un minimo di tutele anche nelle università) e dall’altra di produrre una disordinata rincorsa al ricorso di figure improprie, spurie e atipiche a basso costo e senza diritti.

A riguardo chiariamo sin d’ora che non siamo disposti a tornare indietro, che non accettiamo l’idea che molti dei ricercatori che lavorano nelle nostre università, oltre la loro penalizzante situazione di precarietà, debbano accettare anche di essere pagati la metà di quello che meritano per far quadrare i conti di un sistema miope. Anche per questo riteniamo necessario non solo eliminare oggi questo vincolo di spesa, ma anche prevedere il necessario aumento delle risorse per i diversi progetti di ricerca, a partire dalle dimensioni previste per i PRIN.

La riduzione della convenienza dei contratti di lavoro precario rispetto al contratto a tempo indeterminato, oltre che rispondere alla domanda di giustizia per i precari stessi, è anche uno dei presupposti per diminuire il loro numero a vantaggio dei contratti a tempo indeterminato: ricordiamo che nell’università il numero dei lavoratori precari è attualmente pari al personale di ruolo!

Maggiori risorse per l’università e un trattamento equo e dignitoso per il personale che vi lavora: questo è il nostro obiettivo, questo è quanto continueremo a perseguire con determinazione a partire dal superamento di questo tetto di spesa insensato e vergognoso!