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MURST: Decreto ministeriale recante la determinazione delle classi delle lauree universitarie

Documento unitario sulla riforma della didattica (4 settembre 2001)

04/09/2001
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Documento unitario sulla riforma della didattica (4/9/01)

Le sottoscritte Organizzazioni della docenza condividono gli obiettivi generali che la riforma della didattica si prefigge e che consistono in particolare:

nella valorizzazione dell'autonomia degli Atenei,

nell'aggiornamento dei percorsi curricolari, anche adeguandoli nei contenuti alle esigenze del mondo del lavoro e delle professioni,

nel recupero della coerenza tra durata effettiva e durata legale,

nel porre un serio argine al problema degli abbandoni,

nell'armonizzazione al quadro europeo, anche attraverso l'organizzazione dei titoli universitari su più livelli in serie, con una molteplicità di offerte alternative a valle di un medesimo percorso di primo livello.

A giudizio delle Organizzazioni della docenza, l'iniziativa riformatrice, di per sé positiva e necessaria, rischia di essere vanificata da talune ingiustificate rigidità ed omissioni dell'attuale formulazione, che nel prosieguo verranno brevemente esaminate e commentate.

Durata dei corsi di primo livello.

Le Organizzazioni della docenza rilevano come l'adozione generalizzata ed obbligatoria della durata triennale per tutti i Corsi di primo livello abbia pochissimi riscontri nelle offerte curricolari dei Paesi avanzati che, in particolare per i curricula tecnico-scientifici, si sviluppano tipicamente su base quadriennale.
Tale linea di indirizzo è in palese contraddizione con le scelte operate nella riforma di alcuni nuovi percorsi formativi quali, ad esempio, quelli per gli insegnanti e per le professioni forensi. I nuovi curricula, infatti, si sviluppano attraverso un percorso di durata maggiore rispetto sia a quella triennale, sia a quella attuale a singolo livello di laurea. In tal modo si nega (e giustamente) il postulato su cui si fonda la formula del 3+2 e cioè che sia possibile costruire una qualunque professionalità di base a parità di carico di lavoro per lo studente.
A giudizio delle Organizzazioni della docenza, l'adozione generalizzata di uno schema rigidamente triennale può solo dar luogo ad uno di due possibili scenari:

a) l'effettiva durata del corso non potrà non eccedere di gran lunga i tre anni nominali; nel qual caso si vanificherebbe l'intenzione di ridurre la durata dei cicli di studio (sia direttamente, sia superando la divaricazione tra durata legale e di fatto);

b) i contenuti professionali e culturali ottenibili con titolo di primo livello saranno molto al di sotto di quelli necessari per un'adeguata formazione. In questo caso, il titolo non avrà alcuna reale spendibilità sul mercato del lavoro e quindi lo studente si vedrà costretto a proseguire gli studi sino al conseguimento del titolo di secondo livello. Risulterà, inoltre, assai difficile costruire in ulteriori due anni professionalità di elevata qualità fondandosi su basi assai poco qualificate.

In definitiva, una maggiore flessibilità organizzativa del primo livello, tale da consentire l'adozione di durate triennali o quadriennali a seconda di specifiche e motivate esigenze, appare altamente raccomandabile. Tra l'altro, l'adozione di questo schema consentirebbe l'armonizzazione tra molti dei nuovi curricula italiani e quelli, corrispondenti, comunitari e, più in generale, dei Paesi più avanzati in cui, per la formazione di profili professionali di alta qualificazione, si adottano durate almeno quadriennali per il conseguimento del titolo di primo livello.
I pochissimi Paesi europei (Gran Bretagna, Olanda) nei quali era possibile ottenere, ad esempio, titoli di primo livello in Ingegneria in tre anni stanno rivedendo i propri schemi organizzativi per adottare un indispensabile allungamento del periodo di formazione.

Regolamenti didattici di Ateneo

Di fronte all'esigenza di innovare profondamente la didattica ed in tempi così compressi, si sono adottate in misura quasi generalizzata due linee di comportamento, entrambe frutto di pattuizioni accademiche piuttosto che di una meditata azione di riforma.
La prima, che consente di preservare integralmente equilibri ormai consolidati, prevede la riduzione in scala dei vecchi curricula, mantenendone inalterato numero dei corsi e denominazione.
L'organizzazione degli studi che ne consegue comprende tipicamente una trentina di esami (cinque corsi in parallelo da seguire per semestre!). Le conseguenze negative di questo approccio sono già evidenti in quanto numerosi Corsi di studio ne hanno già avviato da uno o due anni la sperimentazione.
Si registrano elevati tassi di abbandono nel primo anno e l'impossibilità di mantenere i ritmi da parte della maggioranza degli allievi. Nei casi in cui la sperimentazione è iniziata nell'aa. 1999/2000, il numero di studenti in grado di soddisfare i vincoli posti dal regolamento di Ateneo sul numero minimo di esami superati per poter accedere al terzo anno (tipicamente almeno il 75% di quelli dei primi due anni) è prossimo a zero, il che rende addirittura problematica l'attivazione del terzo anno.
La seconda formula, che nasce dall'impossibilità di trovare spazi adeguati per tutte le esigenze dei settori scientifico-disciplinari, consiste nella proliferazione di curricula in parallelo, senza alcuna analisi delle reali esigenze e prospettive occupazionali.
Una profonda rivisitazione delle proposte, avendo a disposizione un tempo maggiore per riformularle, associata alla meditata valutazione dei primi risultati conseguiti sul campo, potrà portare a soluzioni meno impraticabili dal punto di vista organizzativo e più efficaci da quello didattico.

Prerequisiti in ingresso

La legge di riforma prevede esplicitamente che, per ciascun Corso di Studi, i singoli Atenei definiscano le conoscenze che gli allievi debbono obbligatoriamente possedere, possano verificarne l'effettivo possesso e decretare, ove necessario, condizioni di debito formativo da estinguere prima dell'accesso. Di fatto, la compressione dei tempi per il conseguimento del titolo di primo livello rende impossibile lo svolgimento di significative attività di recupero del debito prima dell'inizio delle lezioni del primo semestre.
Indagini sulle condizioni degli immatricolandi svolte da qualche anno su tutto il territorio nazionale attraverso i test di ingresso in alcuni Corsi di Laurea mostrano che, almeno per i curricula tecnico-scientifici, il numero di studenti in possesso di un sufficiente patrimonio di conoscenze è di gran lunga inferiore al 10% del totale degli aspiranti. Sussistono, inoltre, enormi differenze di qualificazione tra studenti provenienti da diverse tipologie di Scuola superiore. Questo dato conferma l'impossibilità di svolgere attività di recupero di un debito ampio, generalizzato e fortemente differenziato, in parallelo col normale svolgimento dei Corsi del primo semestre, per i quali in tal modo mancano le basi minime per una proficua frequenza.
Un efficace raccordo tra Università e Scuola superiore appare l'unico strumento possibile per recuperare questo distacco al quale oggi sono in larga misura imputabili gli abbandoni ai primi anni e l'allungamento della durata effettiva degli studi.
In assenza di iniziative concertate, volte a ricollocare nelle Scuole superiori attività integrative mirate all'avviamento agli studi universitari in collaborazione con l'Università, entrambi i problemi sono destinati a non risolversi e addirittura ad acuirsi con la nuova organizzazione degli studi.

Stato giuridico dei docenti

La riforma prevede un forte e generalizzato incremento dell'attività didattica di tutta la docenza universitaria, in un quadro fortemente unitario di funzioni e doveri delle sue fasce. L'interruzione dell'iter parlamentare della legge sulla terza fascia e di quella di revisione dello stato giuridico dei docenti universitari avvenute alla conclusione della precedente legislatura lasciano a disposizione il solo D.P.R. 382/1980, come unica fonte normativa a riguardo.
Questa situazione potrebbe costringere gli Atenei ad introdurre modifiche sostanziali dello stato giuridico all'interno di norme statutarie, contribuendo in tal modo a lacerare ulteriormente il tessuto unitario della docenza, differenziandone doveri e funzioni su basi localistiche, ed a rendere gli Statuti ancora più esposti a possibili ricorsi amministrativi.
Anche per questo motivo, appare indispensabile un sollecito intervento di riforma organica dello stato giuridico.

ANDU, APU, CIDUM, CIPUR, FIRU, SNUR-CGIL, SNALS-UNIVERSITÀ, UIL-PAUR

(Il Congresso del CNU ha approvato un documento dai contenuti sostanzialmente identici)