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Lettera ai Senatori della I Commissione sul ddl di stato giuridico dei ricercatori

Ai Senatori della Commissione Affari Costituzionali

30/03/1999
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Ai Senatori della Commissione Affari Costituzionali
Onorevole Senatore,
Le scrivo a nome del Sindacato Università e Ricerca della CGIL, interpretando il comune sentire della quasi totalità dei Sindacati e delle Associazioni della docenza, con le quali la nostra Organizzazione sta conducendo una comune azione per la sollecita approvazione di una legge che revisioni profondamente l'attuale stato giuridico dei professori universitari.
Di questo indispensabile processo di riforma, la legge che istituisce la terza fascia del ruolo dei professori universitari, attualmente all'esame della I Commissione costituisce un tassello fondamentale.
Visto l'andamento generale della discussione sin qui svoltasi in I Commissione, che suscita in noi non poche preoccupazioni, mi vedo costretto a rivolgermi nuovamente a Lei per sottoporle alcune considerazioni generali. Dall'esame del resoconto del dibattito tenutosi in Commissione Affari costituzionali, il primo elemento che sembra rendere dubbia la legittimità costituzionale del disegno di legge unificato agli occhi di alcuni Commissari è la presunta violazione di un "principio di non sovrapponibilità delle funzioni dei ricercatori, o dei professori ricercatori, a quelle dei professori associati e dei professori ordinari, in assenza di sistemi di valutazione basati sul merito" (sen. Villone, seduta del 24/2/99). "Sarebbe incostituzionale, infatti, una disciplina che, senza valutazioni individuali su base concorsuale, comporti non già una razionalizzazione nelle funzioni didattiche, ma l'identità sostanziale di funzioni tra i professori ricercatori da un lato e i professori associati e ordinari dall'altro" (sen. Villone, ibidem).
Nella situazione attuale, che non viene posta in discussione, nessun vulnus alla Costituzione è arrecato dalla sostanziale identità di funzioni tra professori associati e professori ordinari, così come a suo tempo definite dal DPR 382/80, pur essendo le due fasce del ruolo dei professori universitari distinte, tanto da rendere necessaria una valutazione concorsuale comparativa per il passaggio dall'una all'altra. Ne consegue che altrettanto legittima e costituzionalmente ineccepibile sarebbe l'articolazione del ruolo dei professori universitari in tre o più fasce distinte, con sostanziale identità di funzioni, ancorché separate da valutazioni concorsuali intermedie. L'elemento sul quale si appuntano le critiche di presunta illegittimità costituzionale da parte di alcuni membri della I Commissione sembra, quindi, essere quello del transito automatico degli attuali ricercatori nella costituenda terza fascia del ruolo dei professori universitari. Secondo il parere di questi membri della Commissione Affari costituzionali, la croce del problema consisterebbe nell'assunzione da parte dei ricercatori di proprie, autonome responsabilità didattiche, in nome di una presunta "illegittimità di una normativa che permetta a un ricercatore di rivendicare la titolarità di un corso di insegnamento, che invece è solo eventuale" (sen. Passigli, ibidem), senza il passaggio attraverso valutazioni individuali di idoneità a svolgere una attività didattica autonoma. Anche in sede di esame dei nuovi emendamenti, si eccepisce presunta illegittimità costituzionale sul comma "che prescrive l'attribuzione di incarichi didattici, laddove sarebbe senz'altro preferibile (sic) una mera possibilità del genere" (sen. Passigli, seduta del 24/3/99).
Di fronte all'obiezione "che già in base all'ordinamento vigente ai ricercatori possono essere conferite funzioni di docenza" (sen. Besostri, seduta del 24/2/99), si afferma, a nostro giudizio, apoditticamente ed entrando pesantemente nel merito, che "la nuova legge dovrebbe limitarsi a registrare, sul piano delle funzioni, quello che già è ammesso, senza aggiungere dell'altro" (sen. Villone, ibidem). La posizione sostenuta da questi nostri autorevoli colleghi (in quanto professori ordinari della Facoltà di Giurisprudenza) sarebbe forse sostenibile se esistesse uno stato giuridico dei ricercatori universitari, altrettanto chiaramente definito quanto lo è quello dei professori ordinari e dei professori associati, che negasse loro esplicitamente la possibilità di svolgere compiti didattici sostanzialmente identici a quelli dei professori di prima e di seconda fascia.
Non è questo il caso, dal momento che la legge 21 febbraio 1980, n. 28, all'art.. 7 prescrive che: "dopo quattro anni dall'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della pubblica istruzione, sentito il Consiglio universitario nazionale, presenta al Parlamento un disegno di legge per definire il carattere permanente o ad esaurimento della fascia dei ricercatori confermati e nella prima ipotesi il relativo stato giuridico. Con la stessa legge sono ridefiniti i compiti e gli organici del ruolo dei ricercatori, sulla base delle esperienze didattiche e di ricerca nel frattempo compiute e dei risultati dell'attuazione dei corsi per il conseguimento del dottorato di ricerca, dei movimenti del personale docente e delle esigenze di un corretto ed equilibrato rapporto tra le diverse fasce del personale stesso".
Non sembra cogliersi in questa legge della Repubblica alcun accenno alla definitività del ruolo dei ricercatori universitari, né alcun limite ai possibili contenuti della sua obbligatoria ridefinizione, fatta esclusivamente discendere dalle esperienze accumulate, non in quattro anni, si noti, ma in poco meno di un ventennio.
Tutto quel che è conseguito alla legge 28/1980 è ben presente agli onorevoli Senatori della I Commissione. Basterà richiamare la legge 341/90 che unifica tra ordinari, associati e ricercatori, le modalità di inquadramento, le funzioni didattiche e le loro modalità di conferimento e la legge 4/1999 che ha reso proprie del ruolo dei ricercatori le funzioni didattiche comuni anche ad ordinari ed associati, estendendole ai ricercatori in attesa di conferma. Tale ultima legge ha felicemente superato, solo pochi mesi fa, il vaglio di legittimità costituzionale da parte della stessa I Commissione del Senato che oggi sembra contestare, con non poca contraddittorietà, quello della legge di istituzione della terza fascia del ruolo dei professori universitari.
Il secondo punto di critica al testo del disegno di legge unificato varato dal Comitato ristretto della VII Commissione investe di diritti di partecipazione dei professori ricercatori agli organi di governo degli Atenei. Nella formulazione varata dalla I Commissione il 23 febbraio 1999, si afferma che: "per quanto riguarda l'accesso agli organi di governo e alle altre strutture degli atenei, il parere è condizionato al rispetto dell'autonomia statutaria degli atenei".
Questa formulazione generica viene successivamente esplicitata: " quanto alla partecipazione agli organi di governo degli atenei, Š. si dovrebbe prevedere più opportunamente che essa viene ammessa nei limiti previsti dagli statuti, in conformità al principio di autonomia" (sen. Passigli, seduta del 23/3/99). Non essendo istituzionalmente possibile per la Commissione Affari costituzionali entrare nel merito delle soluzioni tecniche contenute in un disegno di legge di pertinenza di altra Commissione parlamentare, alla quale il Senato ha addirittura affidato una competenza addirittura deliberante, si deve inferire che non di maggiore o minore opportunità si tratti, quanto piuttosto dell'illegittimità costituzionale di una eventuale disposizione che sottragga alla competenza degli Atenei la definizione dei diritti di partecipazione agli organi di governo. Questa ipotesi è confortata dall'affermazione del Presidente della I Commissione: "il principio di autonomia delle università è contenuto nella Costituzione" (sen. Villone, ibidem).
é appena il caso di ricordare come la Costituzione, all'art. 33, ultimo comma, preveda che l'autonomia degli Atenei si eserciti "nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato". Che a questo principio giuridico si ispiri tutta la legislazione universitaria vigente è dimostrato dal fatto, ad esempio, che i diritti di partecipazione agli organi di governo dei professori associati e dei professori ordinari sono minuziosamente definiti e prescritti dal DPR 382/1980, senza che nel corso del ventennio trascorso dalla sua approvazione alcuna sede giurisdizionale abbia avuto alcunché da eccepire sulla sua legittimità costituzionale.
Al contrario, un vulnus al principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi sarebbe inferto da un disposto di legge che, in nome di un principio di autonomia universitaria al di sopra delle leggi della Repubblica, prevedesse la discriminazione tra professori ricercatori, da un lato, e professori associati ed ordinari dall'altro, affidando la definizione dei diritti di partecipazione dei primi alla autonoma normazione statutaria degli Atenei e attribuendo ai secondi un trattamento, omogeneo su tutto il territorio nazionale garantito da legge dello Stato. Tale eventualità viene esplicitamente paventata "dovendosi limitare la Commissione Š. alla verifica della congruenza di quanto proposto con i princìpi costituzionali di eguaglianza e dell'autonomia universitaria" (sen. Pardini, seduta del 25/3/99).
Unica, non contradditoria e coerente conclusione dell'argomentazione autonomistica addotta dal Relatore appare l'azzeramento di tutta la materia dei diritti di partecipazione agli organi di Governo degli Atenei per tutto il personale universitario, di ogni ordine e grado, e la necessaria, contestuale apertura di una nuova fase costituente, che porti alla completa ridefinizione dello Statuto di ciascun Ateneo.
Un sostanziale recepimento delle tesi della I Commissione appare contenuto negli emendamenti proposti dal sen. Masullo, relatore del disegno di legge unificato in VII Commissione, che prevedono effettivamente un rinvio agli Statuti per molti dei diritti di partecipazione agli organi di Governo per i professori ricercatori. Fa ovviamente eccezione il pieno diritto di partecipazione agli organi didattici (Consigli di Corso di Studi, Consigli di Facoltà) che deve essere riconosciuto in quanto conditio sine qua non per la corretta esplicazione delle proprie attività didattiche.
Questa previsione è evidentemente associata all'apertura di una fase costituente, meno complessiva di quella che dovrebbe conseguentemente discendere dalle affermazioni del relatore in I Commissione, sen. Passigli e del Presidente, sen. Villone. A questo proposito, il sen. Masullo ipotizza la costituzione di un organo istituzionale presso ciascun Ateneo, che garantisca l'effettivo e tempestivo avvio delle procedure di revisione statutaria e che dia al contempo le necessarie garanzie di rappresentatività per ciascuna delle categorie universitarie interessate.
Su questa equilibrata ipotesi si appuntano le critiche di alcuni Commissari della I Commissione secondo i quali: "per garantire il rispetto del princìpio costituzionale dell'autonomia universitaria, la legge statale dovrebbe astenersi dall'istituire e disciplinare direttamente l'organo competente a deliberare i singoli statuti, limitandosi a fissare le modalità della loro modifica" (sen. Passigli, seduta del 25/3/99). In questa affermazione non vi è traccia di quanto disposto dalla stessa legge 168/1989 che, nel dare concreta attuazione al principio costituzionale dell'autonomia universitaria, dispone minuziosamente, con logica che il Presidente Villone bollerebbe come centralistica, l'istituzione di un dettagliato reticolo di organi di Governo cui ciascun Ateneo dovrà obbligatoriamente dar vita, con altrettanto puntuale definizione dei compiti diciascuno. Tutto ciò conferma, se ve ne fosse bisogno, l'ineccepibilità costituzionale di una legge della Repubblica che prescriva l'istituzione di organi di Ateneo.
Di diverso (e, a nostro giudizio, costituzionalmente più corretto) avviso sono altri onorevoli senatori, per i quali non si vedono "ostacoli alla possibilità, per la legge dello Stato, di prescrivere l'istituzione di un organo rappresentativo deputato a deliberare le modifiche degli statuti universitari" (sen. Pellegrino, ibidem), "essendo a suo avviso legittimo oltre che opportuno garantire che la revisione degli statuti delle università sia affidata alla competenza di un organo rappresentativo di tutti i soggetti interessati" (sen. Besostri, ibidem). In conclusione, confidiamo nella sua attiva partecipazione al dibattito che si terrà in I Commissione e nel suo contributo per la formulazione di un parere sugli emendamenti prospettati dalla VII Commissione, che sia equilibrato e non condizionato da personali esperienze ed appartenenze accademiche.
Cordiali saluti

prof. Ing. Guido Greco

Coordinatore Consulta Nazionale Docenti SNUR CGIL