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La Corte Costituzionale boccia la Legge Gelmini sul divieto di trattenimento in servizio dei docenti

La sentenza può essere l’occasione per rivedere la Legge Gelmini e lo stato giuridico della docenza. Resta tutto il dramma dei precari.

13/05/2013
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Il 9 maggio 2013 è stata depositata la sentenza della Corte Costituzionale relativa al ricorso avverso all’art. 25 della legge 30 dicembre 2010, n. 240.

Il ricorso sollevava la pregiudiziale di costituzionalità verso l’articolo della legge che disponendo la non applicabilità dell’articolo 16 del DLgs 503/92 a professori e ricercatori universitari sanciva la facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli Enti pubblici non economici di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti.

A differenza di quanto previsto per tutti gli altri settori della pubblica amministrazione, la legge Gelmini sottraeva alle Università la facoltà di trattenere in servizio i propri docenti per un ulteriore biennio successivamente alla data della loro quiescenza. Le ragioni addotte dal MIUR erano il contenimento della spesa pubblica e la necessità di favorire il ricambio generazione.

La Corte Costituzionale, si è pronunciata a favore dei ricorrenti e contro le disposizioni della Legge 240/10 affermando che:

1. il dettato della norma che esclude l’applicazione a professori e ricercatori universitari dell’art. 16, comma 1, del DLgs 503/92,  precludendo a tale categoria la facoltà di permanenza al lavoro per un ulteriore biennio previa valutazione favorevole dell’amministrazione di appartenenza, secondo i criteri nel medesimo art. 16 indicati […] si rivela del tutto irragionevole e si risolve, quindi, in violazione dell’art. 3 della Costituzione.

2. Quanto all’argomento che vorrebbe giustificare la norma in questione con «rilevantissime esigenze di contenimento finanziario e razionalizzazione della spesa pubblica» non resiste ad un sia pur sommario vaglio critico. Infatti, la disposizione di cui si tratta interessa un settore professionale numericamente ristretto, perciò inidoneo a produrre significative ricadute sulla finanza pubblica; in secondo luogo, l’accoglimento dell’istanza di trattenimento in servizio non è automatico, a seguito dell’intervento normativo realizzato con l’art. 72 del DL 112 del 2008 (poi convertito), ma consegue alla valutazione dell’amministrazione di appartenenza, che decide in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, […];

Il pronunciamento della Corte Costituzionale conferma in sostanza le ragioni delle nostre azioni sindacali e politiche di questi anni.

In primo luogo, esso evidenzia il carattere strumentale di una Legge di riforma del sistema universitario retta soltanto da una logica di tagli e razionalizzazione della spesa, in contrasto con i principi del buon funzionamento dell’amministrazione. La condizione drammatica dei nostri atenei lo mostra con ancora maggiore chiarezza.

In secondo luogo, la Corte lascia emergere come nei confronti della materia pensionistica e della spese previdenziale in questi anni si sia variamente operato: dalla messa in quiescenza forzata di quei lavoratori che avevano raggiunto i 40 anni di servizio all’allungamento dell’età pensionabile per altri; dalla concessione o diniego del biennio discrezionale nel settore pubblico, al dramma degli esodati nel settore privato.
Resta sullo sfondo di questo quadro caotico, il dramma degli attuali lavoratori precari che rischiano di non avere in futuro alcuna copertura pensionistica o di averne una largamente insufficiente.

In terzo luogo, emerge dalle parole della Corte l’assenza di un legame diretto tra messa in quiescenza del personale degli atenei e i benefici economici per l’amministrazione pubblica da un lato, e pensionamenti e opportunità per i giovani dall’altro.
È apparso infatti evidente come le politiche di prepensionamento del personale proposte come soluzione all’invecchiamento dei nostri atenei, associate al perdurare di limiti irragionevoli al turn-over e ai tagli ai bilanci, non solo non hanno offerto opportunità ai più giovani, ma hanno visto una espulsione drammatica di studiosi giovani e meno giovani del tutto indipendentemente dai loro meriti, dal loro lavoro, dal loro impegno.

Per queste ragioni, pur ritenendo che le Università debbano utilizzare con estrema parsimonia ed esclusivamente in casi di particolarissime esigenze funzionali la possibilità di concedere ai docenti universitari il trattenimento in servizio per il biennio aggiuntivo, pur essendo consapevoli che le gravi carenze di organico potrebbero spingere nel senso di trattenere, la FLC CGIL è convinta che questo pronunciamento richiami la necessità di una revisione urgente delle diposizioni della legge 240/10 che mostra i suoi limiti di impianto oltre che una natura ideologica.

La FLC CGIL ritiene che sia altresì urgente una revisione dello stato giuridico della docenza universitaria e una razionalizzazione delle norme che lo regolano, rese caotiche dal susseguirsi di interventi legislativi non coordinati e portatori di visioni talvolta anche differenti della funzione, della natura e del ruolo del docente universitario.

La FLC CGIL ritiene che si debba intervenire con urgenza a rivedere i limiti al turn-over e si debba intervenire con finaziamenti adeguati a dare risposte al dramma dei lavoratori precari dei nostri atenei.

Le carenze di organico devono essere risolte con nuovo reclutamento e dando opportunità ai più giovani. Gli atenei hanno tutti gli strumenti per permettere ai colleghi più maturi e validi di continuare ad offrire il proprio contributo anche dopo il loro pensionamento.

Chiediamo con urgenza al nuovo Ministro di dare un segnale forte per la riscossa del sistema universitario italiano. Proprio a partire dai punti critici sollevati da questa sentenza della Corte Costituzionale.