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Decreto "semplificazioni": torna la maledizione delle docenze universitarie gratuite

Un passo indietro gravissimo che pregiudica la riforma del sistema universitario nazionale, lede la qualità dell'insegnamento e cancella diritti e meriti dei ricercatori e dei docenti precari.

13/02/2012
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Il testo approvato dal Consiglio dei Ministri il 3 febbraio 2012 non semplifica la vita ai precari dell'università ma, se possibile, la rende ancora più dura e amara, assestando un altro colpo ferale al già martoriato mondo del precariato universitario, oggi sempre più depauperato di diritti e opportunità nel lungo percorso di accesso ai concorsi e nella assoluta mancanza di finanziamenti alla ricerca.

L'articolo 23, comma 1, sui contratti per "esperti di alta qualificazione", reintroduce la possibilità per le università di stipulare contratti di insegnamento a "titolo gratuito o oneroso di importo coerente con i parametri stabiliti". Si tratta degli stessi contratti della durata di un anno, rinnovabili fino ad un massimo di cinque, previsti dalla riforma "Gelmini" e destinati ad "esperti" in possesso di un significativo curriculum scientifico o professionale.
Rispetto alla precedente formulazione, contenuta nella legge 240/2010, spariscono però una serie di indicazioni vincolanti che risultavano utili al fine di "contenere" il ricorso sistematico alle docenze a contratto, gratuite o sottopagate. Il contratto di docenza è stato e continua ad essere, infatti, uno strumento molto diffuso in tutti gli atenei italiani e ben noto ai "riformatori" dell'università in quanto il suo uso e abuso ha reso possibile garantire l'offerta formativa – e dunque il numero degli studenti iscritti ai corsi di laurea - in una fase di sostanziale blocco del finanziamento statale e del reclutamento di nuovi docenti e ricercatori.
Con poche risorse, con pochi docenti di ruolo si è riusciti a far fronte alle esigenze didattiche ricorrendo sistematicamente all'insegnamento gratuito o simbolicamente retribuito anche € 1,00.

Contro questo abuso indecente il sindacato e tutte le associazioni di ricercatori si sono schierati in maniera compatta da sempre, ottenendo che nella stesura ultima della riforma universitaria almeno l'affidamento di insegnamenti a titolo gratuito fosse esclusivamente riservato o ai docenti e ricercatori universitari, già in ruolo, o a soggetti esterni all'università ma in possesso di un reddito annuo da lavoro autonomo o dipendente, mentre ai dottori di ricerca veniva destinato il contratto a titolo oneroso, con un trattamento economico che ha una soglia minima di 25 euro lorde per ora. Molti Atenei hanno aumentato questa cifra, anche se i vincoli di bilancio erano molto restrittivi, ritenendo questa cifra poco congrua all'alta specializzazione richiesta.

Nel nuovo testo sulle "Disposizioni urgenti in materia di semplificazione e di sviluppo" è stato, invece, rimosso:

  • il vincolo di destinare i contratti d'insegnamento, gratuito o oneroso, ad esperti che siano dipendenti da altre amministrazioni, enti o imprese, ovvero titolari di pensione, ovvero lavoratori autonomi in possesso di un reddito annuo non inferiore a 40.000 euro lordi;
  • il vincolo di stipulare i contratti d'insegnamento gratuito esclusivamente con soggetti in possesso di un reddito da lavoro autonomo o dipendente;

e, in virtù della liberalizzazione, decade il vincolo di stabilire a priori, e per tutti gli atenei, il trattamento economico spettante.

Sotto le mentite spoglie della semplificazione e della liberalizzazione si sancisce, dunque, il ritorno all'uso incondizionato dei contratti di docenza anche non retribuiti per tutti, "esperti con reddito" ed "esperti senza reddito", perché il Governo ha preso atto dell'impossibilità di far funzionare i corsi universitari altrimenti, ma stenta inspiegabilmente a prendere atto della necessità di reclutare immediatamente nuovi docenti e nuovi ricercatori.

Senza esitazione si rinuncia, deprezzandolo, al riconoscimento della qualità della didattica e del merito dei ricercatori e dei docenti che in questi anni si sono formati dentro le università e che sono pronti e qualificati ad assumere i carichi didattici, ma non più disposti a lavorare gratis. Al loro posto presto nuove leve di "esperti" a costo zero, di certo altamente qualificati, ma nuovamente fragili, senza diritti e senza opportunità.
Di certo una semplificazione, ma solo per chi - giustamente ben retribuito - amministra atenei senza risorse.