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Corriere della Sera: Contributo alla discussione sullo stato giuridico dei docenti universitari

Ospitiamo la lettera inviata dal collega Perrotti al Corriere della Sera, che offre un contributo alla discussione in corso sullo stato giuridico dei docenti universitari.

01/02/2000
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Ospitiamo la lettera inviata dal collega Perrotti al Corriere della Sera, che offre un contributo alla discussione in corso sullo stato giuridico dei docenti universitari.

Abbiamo fondati motivi per dubitare che venga pubblicata.

Gentile Direttore,

il dibattito sulla riforma dell'Università, si è ridotto ad uno scontro su difese corporative, vergognoso per il livello culturale che, presumibilmente, caratterizza gli interessati.

L'estensione del titolo di " professore", ancorché di terza fascia, a personale docente universitario, da tempo investito di responsabilità didattiche, ha scatenato una reazione scomposta, giunta fino ai soliti richiami militareschi del Prof. Cassese, che sembra confondere la dialettica con l'arte della guerra, la retorica col comando, la logica con la strategia militare, la critica della ragione con l'insubordinazione. " Saremo tutti generali !! " tuona da una delle solite compiacenti tribune.

Vediamo, allora, se ci viene di porre qualche punto un pò più equilibrato.

Non c'è dubbio che l'Università possa migliorare, anche se, non mi sembra, sia la peggiore delle istituzioni italiane.

Innanzitutto, forse, un pò più di " colleganza" fra le tre fasce o ruoli docenti del sistema universitario, non guasterebbe. Si tratta, tutto sommato, a diversi livelli di esperienza,anzianità e responsabilità, di persone che hanno deciso di dedicare la propria vita produttiva alla trasmissione del sapere ed alla ricerca. L'estensione del titolo di professore ai ricercatori, insieme alla possibilità di partecipare agli organi collegiali degli atenei, mi pare vada in questa direzione.

Ricercatori, professori associati, professori ordinari, sono figure professionali altamente qualificate, cui dovrebbe esser riconosciuta la possibilità o meglio il dovere di coordinare gruppi di ricerca, con una certa autonomia, una volta che abbiano dimostrato di essere in grado di farlo, sia sulla base della produzione scientifica, che dei finanziamenti ottenuti. Non vedo, inoltre, nessuna scandalo nell'ipotetica possibilità che un professore ordinario o un associato, contribuiscano con il prezioso bagaglio della loro esperienza scientifica e didattica, alla realizzazione di un progetto coordinato da un giovane e brillante ricercatore, coinvolto in problematiche di maggiore attualità.

A questo punto, naturalmente, mi aspetto la domanda, se tutti coordinano, chi, di fatto, esegue ?

Ci sono varie risposte possibili. In primo luogo la neccessità di mano d'opera riguarda solo alcune attività scientifiche. La ricerca biomedica, con i suoi laboratori e le sue procedure, senz'altro la richiede. Molto meno ne hanno necessità le ricerche di tipo umanististico. Ma qui, soprattutto, vien fuori un altro problema dell'Università italiana : il ruolo degli studenti.

Nell'ultima formulazione sullo stato giuridico, gli studenti sono visti come oggetto della trasmissione del sapere, ricevitori passivi del carico didattico imposto al docente. Non mi risulta che studenti di università straniere trascorrano tanto tempo ad ascoltare i docenti. Al contrario, essi partecipano attivamente alla progettualità ed alla attività scientifica dei docenti, trascorrono le loro giornate nei laboratori, nelle biblioteche, nelle corsie. Preparano la loro tesi di Ph.D., che è pura attività di ricerca, ed ascoltano una media di sei o sette ore di lezioni formali alla settimana, comprensive di attività seminariali, attivamente preparate dallo stesso studente. Oltre agli studenti dei corsi di laurea, ci sono poi gli studenti dei corsi di dottorato, gli specializzandi, tutte figure discenti, con diversi gradi di qualificazione, che dovrebbero essere coinvolti, con maggiore efficacia, nel processo produttivo culturale dell'università. Ricercatori, associati ed ordinari, dovrebbero essere soprattutto impegnati nella ricerca e nello sviluppo culturale e scientifico della regione che li ospita, coordinando l'attività delle diverse figure discenti, che, finalmente, arriverebbero alla laurea dopo aver attivamente partecipato all'attività culturale della facoltà.

Se lo studente universitario medio, direttamente proveniente dalla scuola superiore, appare, al momento, impreparato ad affrontare questo impegno, allora è il caso di considerare istituzioni tipo college, per il rilascio di titoli intermedi, come il master o il baccalaureato. Corsi preparatori allo studio universitario, con caratteristiche intermedie fra la scuola superiore e l'università, nei quali si studino le materie di base che verranno poi sviluppate nel corso degli studi universitari. Questi corsi, si badi ! non dovrebbero essere professionalizzanti, come invece si vorrebbe, poiché è pressoché impossibile andare, nel corso degli studi, dal particolare al generale,ma come analoghe istituzioni della tradizione anglosassone, dovrebbero essere propedeutici allo studio universitario.

In un sistema del genere ogni docente, dalla prima alla terza fascia, avrebbe un certo grado di responsabilità ed autonomia. Il compito dei più anziani, che potrebbero ricoprire cariche di responsabilità organizzativa crescente, dovrebbe esser quello di mettere i più giovani nelle condizioni di lavorare autonomamente. La responsabilità organizzativa dovrebbe, cioè, essere un dovere, eventualmente riconosciuto con adeguate gratificazioni economiche, ma non dovrebbe costituire un vantaggio culturale o scientifico. Di fatto, in alcuni ambienti scientifici altamente qualificati, per la verità non italiani, è fortemente sconsigliata la collaborazione fra il giovane ricercatore ed il capo.

Questa, di fatto, dimostrerebbe il ridotto livello di autonomia scientifica del giovane ovvero costringerebbe il più anziano ad una competizione non compatibile con l'interesse della comune istituzione di appartenenza. In queste istituzioni, naturalmente, molte menti particolarmente fertili, preferiscono rimanere a coordinare piccoli gruppi, piuttosto che assumere oneri organizzativi che, di fatto, impedirebbero di portare avanti con serenità le proprie ipotesi scientifiche.

Mi pare, al contrario che, dalle nostre parti, i ruoli iniziali siano progressivamente impegnati soprattutto nella glorificazione dell'ordinario di turno, spesso in tutt'altre faccende affaccendato.

Qualche ultima considerazione, in fine, sul reclutamento del personale docente.

Il metodo italiano, derivato dal codice napoleonico, considera la comunità scientifica parte dell'apparato burocratico dello stato e riconosce ad essa il diritto ed il dovere di selezionare i propri membri. In altri paesi, mi riferisco alla tradizione anglosassone ed, in particolare, a quella americana, questa responsabilità è sempre più affidata agli amministratori dell'ateneo, siano essi figure di nomina governativa, nelle università statali, o membri del Board of Trustee, nelle grandi fondazioni private "non profit". Gli amministratori, su indicazione delle facoltà, tendono a scegliere quegli elementi che sembrano particolarmente produttivi per l'Università, in termini di produzione scientifica, ma anche, e direi soprattutto, di finanziamenti che, in varia maniera possono convogliare sull' amministrazione.

Personalmente preferisco ancora, di gran lunga il metodo italiano, ma si tratta di scelte che meriterebbero un ampio dibattito. Quel che mi pare certo è che la comunità scientifica dovrebbe pur rispondere, in qualche modo delle scelte effettuate. Bisogna, cioè, trovare dei meccanismi attraverso cui la Facoltà abbia interesse a selezionare i migliori. Faccio qui degli esempi, certamente emendabili : Il finanziamento statale, per stipendi e borse di studio, potrebbe essere condizionato alla progettualità ed alla produzione scientifica.

Gli studenti potrebbero essere sottoposti ad un test di fine corso, non selettivo per lo studente, valutato da istituzioni diverse dalla università di provenienza, per esempio il MURST. Il finanziamento potrebbe esser condizionato ad un requisito minimo di preparazione raggiunta.

Per quanto attiene ai policlinici, il finanziamento erogato dal sistema sanitario potrebbe essere condizionato alla effettiva prestazione di servizi di alta specializzazione, da parte dell'azienda universitaria.

Ognuno, per la verità, potrebbe proporre un meccanismo che favorisca la competizione fra gli atenei e responsabilizzi le scelte della comunità scientifica, per impedire che la scelta si risolva in un arbitrio, contrario all'interesse dell'istituzione.

Una riforma che recepisca queste considerazioni andrebbe nella direzione di valorizzare l'impegno ed il lavoro intellettuale di tutte le figure presenti nel mondo universitario. Sarebbe una riforma di destra o di sinistra? Come vorrebbe sapere Panebianco ? Sinceramente non saprei, sicuramente andrebbe contro la tendenza di chi vorrebbe, in un ambiente che dovrebbe il tempio della dialettica e del libero confronto delle idee, l'ordine e la disciplina di una caserma.

Nicola Perrotti
Professore Associato
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università di Catanzaro