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Autonomie differenziate tra atenei: l’improvviso e improvvido intervento sulla legge 240/10 del “DL semplificazione”

In questi giorni si sta approvando il “DL rilancio” che, a fronte di imponenti risorse, destina all’università solo briciole. Nello stesso tempo il Governo ha approvato “salvo intese”, nel “DL semplificazioni”, una riforma dell’art. 1, comma 2 della Legge Gelmini, che riporta in vita l’ipotesi di differenziare la struttura dei diversi Atenei, con una miscellanea di ulteriori piccoli e grandi provvedimenti, senza alcun coinvolgimento del mondo accademico e delle parti sociali. Su governance e reclutamento servirebbe una vera riforma, che per tutelare e rilanciare il carattere nazionale del sistema universitario.

08/07/2020
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Il Consiglio dei Ministri ha approvato nella serata di lunedì 6 luglio 2020, salvo intese, un Decreto Legge sulla semplificazione che interviene significativamente anche sull’ordinamento universitario. Si tratta di un intervento improvviso, imprevisto ed improvvido, portato avanti dal governo senza alcun confronto nel mondo accademico (negli Atenei, nel CUN e nel CNSU, con le diverse componenti e associazioni del settore) e con le parti sociali (con cui sono da tempo teoricamente aperti dei tavoli, sinora mai concretamente attivati). Un intervento a freddo, che in primo luogo solleva perplessità e contrarietà per il metodo adottato, ma anche per il merito e il contenuto di questo DL, a cui è dedicato un intero capo, il secondo [Semplificazioni concernenti l’organizzazione del sistema universitario] del Titolo II [Semplificazioni procedimentali e responsabilità].

Questo intervento, infatti, recupera e rilancia il cuore della cosiddetta bozza Valditara di un anno fa: l’attivazione di un’autonomia differenziata tra gli atenei. L’articolo 1 comma 2 della Legge 240 permette infatti ad alcuni Atenei, quelli che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca, di sviluppare proprie modalità funzionali e organizzative (di differenziare la propria struttura organizzativa), attraverso specifici accordi di programma con il Ministero. Per dieci anni quest’articolo è rimasto inapplicato: Valditara si proponeva di attivarne il relativo regolamento, aprendo così una disarticolazione del sistema universitario.  Il DL rilancio prevede di cancellare questa limitazione agli atenei “che hanno conseguito la stabilità e sostenibilità del bilancio, nonché risultati di elevato livello nel campo della didattica e della ricerca”: in pratica, con appositi accordi di programma con il MUR, tutte le università potranno differenziarsi dall’impianto della legge 240 nella propria organizzazione interna. È però evidente che, eliminando l’ostacolo di una sua limitazione solo ad alcuni atenei, il MUR si predisponga così a differenziare ulteriormente tra loro le università, rilanciando nei fatti una turbo-autonomia che sarà raccolta e rilanciata in particolare da quelle realtà che si interpretano come poli di eccellenza continentale, in linea con lo stesso Piano Colao, e amplificando così ulteriormente le divergenze consolidate in dieci anni di autonomia competitiva.

Come FLC CGIL abbiamo contestato la legge 240 del 2010, la cosiddetta Gelmini, sin dalla sua presentazione in Parlamento. Siamo stati nelle piazze e sui tetti, con il grande movimento di ricercatori, studenti, docenti e personale tecnico amministrativo che ha lottato per un’università pubblica e democratica. Questa legge ha infatti imposto nelle università una strutturazione gerarchica e competitiva, che attraverso l’autonomia regolamentare, la redistribuzione/riduzione dei punti organico (poi prevista dal DL 49/2012), la crescita della quota premiale del FFO, i ludi dipartimentali e la ripartizione dei piani straordinari con criteri VQR ha progressivamente differenziato le condizioni dei diversi atenei, proiettando alcuni alla ricerca di posizioni di eccellenza continentale ed altri a gestire faticosamente la propria sopravvivenza e la qualità dei propri corsi di laurea. Una dinamica che già prima dell’emergenza Covid-19 aveva messo potenzialmente a rischio il sistema universitario.

Nulla ci potrebbe quindi più rallegrare, a dieci anni dalla sua approvazione, dell’apertura di una discussione politica e parlamentare sulla Legge 240 del 2010, con un bilancio collettivo dei suoi limiti e delle sue contraddizioni, in grado di riaprire una profonda discussione sul ruolo sociale e le funzioni delle università. Questo dibattito è tanto più essenziale a fronte della precipitazione di una crisi epocale e della necessità di ripensare l’intervento pubblico nella società e nell’economia, se non lo stesso modello complessivo della nostra società e della nostra economia. Riteniamo infatti che le università, la produzione di conoscenza e la sua trasmissione sociale, siano elementi centrali sia di questo ripensamento che del contrasto alle disuguaglianze sociali.

Questo intervento però si muove in direzione esattamente opposta. Da una parte chiude ogni discussione e evita ogni confronto ed ogni bilancio, semplicemente prevedendo alcuni interventi mirati e specifici (su alcuni precisi punti della legge, senza toccarne altri). Dall’altra parte, e soprattutto, interviene rilanciando significativamente proprio quell’impianto gerarchico e competitivo, a partire dal primo e principale provvedimento che viene previsto.

Questo provvedimento centrale è poi seguito da una serie di numerosi altri provvedimenti, di diversa natura ed impatto:

  • si favorisce la mobilità per scambio, anche tra docenti con ruoli diversi (nei limiti delle rispettive facoltà assunzionali);
  • il limite del 20% di assunzioni in ruolo del personale docente che non hanno prestato servizio nel proprio ateneo, è circoscritto a chi ha avuto servizio come PO, PA, RTI e RTDb;
  • si facilita strutturalmente il passaggio dei docenti e dei relativi punti organico dalle università con una situazione di significativa e conclamata tensione finanziaria agli atenei che sono sotto il parametro dell’80% nell’indicatore delle spese del personale;
  • si prevede la possibilità per gli assegnisti di rinnovi anche di 6 mesi (o più), come di assegni dai 6 ai 12 mesi nel caso siano inseriti in progetti in scadenza;
  • si inserisce una prova didattica per l’assunzione degli RTDb, sul SSD oggetto del bando;
  • si permette di anticipare la conferma in ruolo come PA degli RTDb, a partire dal termine del primo anno di contratto;
  • si conferma assegno maternità per RTD, integrato da atenei, e possibilità far slittare scadenze per RTDb a domanda delle interessate;
  • si precisano i criteri per accesso a commissioni ASN;
  • chiamate “interne” RTI e PA abilitati a PA e PO possono avvenire se abilitazione nello stesso SSD;
  • con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato (e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta), viene prevista l’emanazione di un decreto per la revisione delle procedure di accreditamento (art. 8 DL 27 gennaio 2012, n. 19);
  • il diploma finale delle Scuole superiori (Normale, IMT, Sant’Anna, ecc) e annessi diventa paragonato a master secondo livello;
  • si inquadra (e definisce la composizione) del collegio revisori legale delle Fondazioni universitarie come collegio sindacale e quindi organo di controllo delle stesse;
  • si ridefiniscono criteri ingresso scuole specializzazione in medicina per quelli che hanno già specializzazione o sono dipendenti SSN;
  • si re-interviene sul comitato direttivo dell’ancora non nata Agenzia Nazionale della Ricerca [ultima legge di bilancio, art. 1 comma 240 e seguenti della legge 27 dicembre 2019, n. 160]; in pratica nel direttivo di 5 membri viene sostituito il componente indicato dal vicepresidente del Comitato di esperti per la politica della ricerca (CEPR) con uno indicato dal presidente CRUI [!], rimanendo gli altri indicati dal MUR, da presidente ANVUR, ERC e European Science Foundation.

Alcuni di questi provvedimenti sono doverosi ed altri utili (ad esempio la maternità per gli RTD, la possibilità di anticipare la chiamata a PA per gli RTDb), altri sono molto discutibili (ad esempio la prova didattica per gli RTDb e l’ulteriore flessibilizzazione degli assegni di ricerca), altri rappresentano l’ennesima delega sostanzialmente in bianco, senza indicare in che direzione si intende andare (la revisione delle procedure di accreditamento), altri infine sono francamente stupefacenti (l’inserimento del componente di nomina CRUI nella ANR, come se quello fosse il problema di quell’agenzia nata male sin dall’inizio). La realtà è che, a fronte di un sostanziale fallimento del progetto sotteso alla Legge Gelmini, piuttosto che affrontare in maniera conseguente la necessità di mettere in discussione quel provvedimento legislativo, si fa ricorso a provvedimenti ancora più esasperati nella direzione della frammentazione e disarticolazione del sistema universitario, come nella recente richiesta delle Scuole Superiori a Ordinamento Speciale, che a fronte delle contraddizioni generate dal sistema della ASN chiedono più precarizzazione.

Il punto per noi è che oggi altro sarebbe necessario per l’università. Nel metodo, aprendo una discussione complessiva e generale, che coinvolga in modo aperto, complessivo ed inclusivo le diverse componenti e le diverse soggettività dell’università. Nel merito, rimettendo in discussione l’impianto della Legge 240 del 2010, oltre che prevedendo nuove significative risorse e una loro diversa modalità di gestione, come abbiamo indicato nel documento FLC Oltre l’emergenza, contro la crisi, rilanciare Università e Ricerca. Con questa finalità rilanceremo nel prossimo autunno, alla riapertura delle università, l’iniziativa sindacale, la discussione negli atenei e anche la mobilitazione delle università, per ottenere le risorse necessarie e soprattutto per cambiare realmente rotta rispetto all’ultimo decennio.