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ANVUR: quando la valutazione rischia di essere una categoria ideologica

Definite le nomine ai vertici dell'agenzia, manca tutto il resto ad iniziare dalle risorse…

28/02/2011
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Dopo circa tre anni dalla sua introduzione vede la luce l’ANVUR, Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca. Come FLC CGIL abbiamo scelto di non esprimere un giudizio sui componenti che ne faranno parte (scelti tra una rosa a dire il vero non molto ampia) e che hanno avuto, adesso, anche il via libera dal Parlamento.

Riteniamo, infatti, che il problema da porsi al di là delle persone sia quale discussione pubblica verrà attivata nella comunità scientifica sui parametri della valutazione che dovranno essere indicati dall'agenzia e adottati negli atenei e negli enti di ricerca  e, ancora prima, quali risorse verranno distribuite o distratte in conseguenza della valutazione stessa.

La legge 240/2010 all’articolo 5, attribuisce all'Anvur il compito di indicare i criteri per realizzare una valutazione delle politiche di reclutamento ex post e delle strutture di didattica e di ricerca suggerendo un modello premiante dei comportamenti migliori e disincentivante di quelli peggiori capace di avere ricadute concrete sul finanziamento. Infatti una quota non superiore al 10% del fondo di funzionamento ordinario sarà correlata a “meccanismi di valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei elaborati proprio dall’Anvur in base a diversi indicatori.

Per intenderci se verrà cooptato un ricercatore incapace che non contribuisce in alcun modo alla produttività scientifica del dipartimento allora la struttura verrà penalizzata. Oltre alla produttività scientifica si dovrebbe prendere in considerazione la capacità di attirare talenti da altre sedi, il grado di internazionalizzazione ecc. Per quanto riguarda gli enti di ricerca il decreto previsto dal D,lgs 150 richiama direttamente l’Anvur per la valutazione dei ricercatori e dei tecnologi.

Valutazione all’Italiana: il gioco delle tre carte

In realtà l’agenzia nata con Mussi aveva una funzione diversa: quella di effettuare una valutazione di sistema. Niente di pregiudiziale nei confronti di un modello nazionale di valutazione dei singoli ricercatori ma, intendiamoci, non necessariamente le cose vanno insieme e soprattutto nessuna valutazione prescinde dal contesto in cui è effettuata e quello in cui si colloca la nuova struttura è davvero molto complicato…. Per prima cosa salta all’occhio che i fondi a disposizione dell'ANVUR saranno quelli già in dotazione al CIVR e al CNVSU, fondi assolutamente insufficienti a svolgere efficacemente l'attività di valutazione in ambito scientifico e universitario. 5 milioni di euro contro i 70 dell’omologo organismo francese per non citare la RAE (Research Assessment Exercise) inglese. Viene poi quasi da sorridere se pensiamo alle risorse disponibili per l’intero sistema della ricerca pubblica italiana. Com’è noto per quanto riguarda l’università i contenuti della legge 240 confermano l'opzione di una politica per la qualità a costo zero e quindi la sottrazione ad un fondo di funzionamento, già drammaticamente insufficiente a coprire i costi ordinari insopprimibili, di ulteriori risorse per sostenere gli incentivi alla qualità. Questa situazione risulterà ulteriormente aggravata nel 2010. Abbiamo in passato espresso il nostro favore a misure che tendessero a promuovere la qualità con incentivi commisurati agli esiti della valutazione. Tali incentivi devono però essere realizzati con risorse aggiuntive all'attuale FFO, già globalmente drammaticamente inferiore agli standard internazionali. Altrimenti si produrrà inevitabilmente una differenziazione drammatica tra gli Atenei, alcuni dei quali saranno costretti a chiudere mentre altri saranno messi nell'impossibilità pratica di garantire al tempo stesso funzioni di formazione e di ricerca. Per niente diversa la situazione sul fronte degli enti di ricerca dove con l’ultima finanziaria sono state decurtate ulteriormente le risorse dei fondi ordinari per incentivare un meccanismo di finanziamento a dir poco opaco in vista di una valutazione che si profila da gioco delle tre carte.

La confusione regna sovrana

Come si diceva l’Agenzia dovrebbe occuparsi anche della valutazione dei ricercatori e dei tecnologi degli enti di ricerca. L’emanando DPCM, ancora non definitivo, che contiene i principi sulla valutazione di questo personale stabilisce infatti che l'ANVUR “d’intesa con la commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche individua specifici obiettivi indicatori e standard nonché le modalità per assicurare il ciclo di gestione della performance dei ricercatori e tecnologi”. Anche su questo fronte si profilano problemi “preliminari” al funzionamento stesso della valutazione. Infatti la nuova agenzia rischia di entrare in rotta di collisione con il resto della famigerata legge Brunetta (salvata dalla scure tremontiana grazie alla solerzia di cisl e uil) che affida agli organismi interni di valutazione - OIV - il compito di effettuare la valutazione degli enti di ricerca. Circola con insistenza una idea surreale che la dice lunga sul grado di coerenza della normativa: per la parte “amministrativa” della loro attività (?) i ricercatori verrebbero valutati come il resto del personale della pubblica amministrazione da questi organismi (gli OIV) mentre la produttività scientifica ricadrebbe sotto gli indicatori dell’ANVUR.

Quindi, ricapitolando, l’Agenzia avrebbe il compito di stabilire i criteri per la valutazione della “performance” (citiamo testualmente l'orrenda terminologia scelta dal ministro brunetta) dei ricercatori e dei tecnologi per la parte relativa alla sola attività scientifica mentre quella del restante personale e dei ricercatori e tecnologi nella misura in cui svolgono attività amminstrativa sarebbe di competenza degli organismi di valutazione sulla base delle direttive previste per tutta la Pubblica Amministrazione. Insomma saranno più le persone impegnate nella valutazione di quelle che lavorano.

Incredibile. Davvero si ritiene possibile dividere con l'accetta il lavoro di un tecnico da quello di un tecnologo o un ricercatore ? o, peggio ancora, separare l’attività amministrativa che spesso i ricercatori devono svolgere per mancanza di personale dalla loro attività di ricerca? . E quale incidenza dovrebbe avere la valutazione dei gruppi di ricerca rispetto alle performance dei singoli? E ancora, lo strumento premiale evocato dalla legge 240 implicito nella valutazione ex ante ed ex post delle strutture di ricerca come opererà? Ma soprattutto, e ritorniamo alle considerazioni svolte in precedenza, con quali risorse dovrebbe avvenire questa fantomatica valutazione?Insomma le domande sono tante e i dubbi sulla efficacia di un sistema a costo zero ancora di più , l'unica certezza è che fino ad oggi questo governo non ha sentito il bisogno di confrontarsi con nessuno rispetto ai diversi e improvvidi interventi sulla ricerca e l'università. Difficilmente, però, potrà costruire un sistema di valutazione senza una discussione pubblica con i diretti interessati. L'alternativa sarà la solita propaganda sul merito che piace tanto ad alcuni editorialisti.

I veri problemi della valutazione che forse non affronteremo mai…

Veniamo, da ultimo, ai veri problemi che in un paese normale (non questo quindi) si dovrebbero affrontare quando si introduce ex novo un sistema di valutazione della ricerca. Non basta certo parlare di peer review per garantire un metodo di valutazione efficace per premiare non solo i migliori di ciascuna disciplina ma anche coloro che riescono ad innovare discostandosi dal mainstream. Nel mondo anglosassone dove la valutazione è di casa (in Inghilterra l’omologo dell’Anvur è nato nel 1986) esiste un dibattito importante che per la prima volta mette in discussione alcuni dei principi che avevano informato molte delle riforme dei sistemi di istruzione e ricerca degli ultimi anni ad iniziare dai meccanismi di valutazione. In particolare si dibatte sul valore da affidare agli indici bibliometrici considerati sempre più come strumenti da usare con grande cautela e da affiancare comunque alla conoscenza diretta del lavoro del singolo ricercatore  partendo dai contenuti delle pubblicazioni. Del resto non in tutti i settori il numero delle pubblicazioni è indicativo allo stesso modo: pensiamo ad esempio al peso delle monografie per alcune branche del diritto.

Altro tema fondamentale è che gli indici bibliometrici (utilizzati normalizzando i dati e data base completi) mettono in evidenza i ricercatori più produttivi in termini “metrici” e certamente segnalano le strutture in cui essi lavorano. La valutazione del singolo è invece cosa molto più complicata e comporta necessariamente un giudizio discrezionale di cui assumersi la responsabilità. Insomma è sempre più chiaro che non esiste una via taylorista alla valutazione perfetta, si tratta di visioni ideologiche da trattare come tali.

Con questo non si vuole dire che la valutazione non serva, anzi il contrario: serve talmente tanto in Italia che nel momento in cui finalmente si introduce un sistema nazionale a ciò deputato le sue caratteristiche, il suo funzionamento e la sua missione non possono prescindere dal punto più avanzato a cui è arrivato il dibattito pubblico nei paesi dove tali sistemi esistono da più tempo. Il rischio è che al di fuori di un dibattito pubblico si assumano punti di vista specifici appartenenti ad alcune discipline assunte ideologicamente a riferimento dal decisore politico ignorando le caratteristiche e le esigenze delle altre.

E’ fuori discussione che sia necessario incentivare la qualità attraverso la valutazione, come del resto è fuori discussione che esista un rapporto tra qualità delle pubblicazioni e tassi di innovazione ma si deve sempre ricordare che i suddetti tassi dipendono dal finanziamento di tutta la ricerca e non solo quella che sembra avere immediate ricadute economiche.Insomma perché la valutazione non rimanga una categoria dello spirito o peggio non diventi una clava ideologica sarà necessaria una grande discussione pubblica e risorse da distribuire. Altrimenti è aria fritta oppure il pretesto per nuovi tagli.