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Abilitazione scientifica nazionale: una qualificazione o un concorso?

Prime considerazioni della FLC CGIL su un' occasione mancata.

23/01/2014
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Dopo oltre un anno e mezzo dalla pubblicazione del bando, il MIUR rende noti i risultati di circa il 50% delle commissioni per l’attribuzione delle abilitazioni scientifiche nazionali. Al termine (si spera) di una lunga serie di proroghe, le ultime hanno spostato i lavori al 29 gennaio 2014, non solo mancano all’appello ancora molti settori concorsuali, ma assistiamo all’ulteriore ampliamento dei termini “in autotutela” di alcune commissioni.

Il MIUR ha quindi dato notizia che si aprono i lavori della seconda annualità ASN "con riferimento ai settori concorsuali i cui risultati sono stati pubblicati (tornata 2012). A breve saranno infatti disponibili i criteri di valutazione dei candidati della tornata 2013 con l'indicazione della data di scadenza per l'eventuale ritiro della domanda". Su questo punto, in via preliminare, non possiamo che giudicare paradossale che le commissioni possano modificare i criteri e i parametri per la valutazione dei candidati, e che i candidati bocciati che avessero maturato nuovi requisiti non abbiano invece la facoltà di partecipare alla seconda annualità.

Alla pubblicazione dei primi risultati, circa 96 settori concorsuali su 184, riteniamo quindi di poter fare alcune considerazioni rinviando una più dettagliata analisi al termine della prima tornata delle abilitazioni e a un documento specifico alcune nostre proposte in merito.

I risultati fin qui pubblicati mostrano come siano stati abilitati mediamente intorno al 43% dei candidati sia alla prima che alla seconda fascia. I risultati variano in maniera significativa da un settore concorsuale all’altro con percentuali di area che vanno - ad esempio - dal 53% dell’area 03 al 28,2% dell’area 14. Vi sono quindi settori le cui percentuali di abilitati superano il 70% come in 02/B1 e altri le cui percentuali sono di poco superiori al 20% in 14/C1. Il numero dei candidati è stato estremamente alto, a conferma del "clima da ultima spiaggia" che limiti al turnover, riduzione dei finanziamenti e delle opportunità di carriera, azzeramento delle prospettive per i tanti ricercatori più giovani o ancora precari ha prodotto. Questo alto numero, frutto di un contesto drammatico, ha rappresentato uno degli elementi di distorsione sistemica e strutturale dell’intera procedura.

I primi dati rendono evidente come la gran parte delle commissioni non abbia inteso l’abilitazione scientifica nazionale come una verifica dei requisiti di qualificazione scientifica dei potenziali candidati a professore di I e II fascia, ma una vera e (im)propria pre-selezione comparativa. Scelta tanto più erronea in quanto le abilitazioni - che costituiscono i requisiti per la partecipazione ai concorsi e alle procedure di reclutamento negli atenei - delineano l’estensione, composizione e articolazione delle diverse discipline scientifiche nel medio futuro.

Allo stesso modo appare evidente come nella maggioranza dei casi - non in tutti settori - i non strutturati siano stati largamente penalizzati, anche a parità di livelli di produzione scientifica come mostrato dagli indicatori (le cosiddette mediane). Tutto ciò lascia pensare che le commissioni abbiano in molti casi valutato facendosi influenzare, o comunque tenendo conto, che allo stato attuale è per gli atenei estremamente difficile reclutare come professori di II fascia studiosi non già strutturati presso gli atenei italiani o comunque un numero significativo di studiosi. In alcuni settori si profilano anche rilevanti differenze nella distribuzione territoriale o di ateneo degli abilitati. Queste differenze, che possono avere molteplici letture e che richiedono una più accorta analisi degli esiti delle valutazioni, se confermate nei risultati complessivi pongono in prospettiva elementi di criticità per la tenuta dell’offerta formativa in molti atenei.

Ancora, si moltiplicano le critiche all’operato di molte commissioni accusate di valutazioni arbitrarie, parziali, illegittime. Interrogazioni parlamentari, inchieste, scoop giornalistici - al di là della solita e pericolosa retorica dell'università marcia e corrotta - mostrano come una procedura che è stata presentata come uno strumento per limitare gli abusi e le discrezionalità mostri anche su questo versante enormi limiti. Basti solo pensare alle critiche emerse da più parti all’uso spesso troppo rigido e discrezionale del principio della coerenza con l’ambito disciplinare oppure alla variabilità degli indicatori di qualificazione scientifica dei commissari frutto della cronica mancanza di banche dati affidabili.

Anche solo questa prima serie di elementi ci permette di ribadire il nostro giudizio negativo nei confronti dell’impianto complessivo delle attuali modalità di svolgimento delle abilitazioni scientifiche nazionali.

In primo luogo non è stata chiarita e sancita in maniera inequivoca la natura di mera verifica della qualificazione scientifica di candidati che dovranno comunque sottoporsi ad un vaglio successivo. Per contro, il lungo e tortuoso iter di costruzione delle cosiddette mediane, sia per la selezione dei commissari sia per la valutazione dei candidati, ha messo in evidenza le falle di indicatori che in assenza di una anagrafe nazionale della ricerca scientifica potevano essere facilmente aggirati, modificati o presentare vistose lacune. Falle rese evidenti sia dai molti candidati che lamentano lacune e mancanze nelle banche dati Cineca in relazione al calcolo dei loro indicatori, sia dalle polemiche sorte intorno ad un certo numero di commissari che non avrebbero avuto i requisiti per far parte delle commissioni.

In secondo luogo, la valutazione di merito di ben 12/18 prodotti per candidato associata alla valutazione per criteri e parametri della produzione scientifica complessiva dei candidati nonché al vaglio dei singoli curricula ha reso il lavoro di commissioni numericamente esigue improbo e inevitabilmente superficiale. Le commissioni, composte da soli 5 membri di cui uno proveniente da paesi OCSE, si sono nella gran parte dei casi mostrate inadeguate alla enorme mole di lavoro che veniva loro richiesto.

In terzo luogo, commissioni numericamente così esigue hanno accentuato le divisioni e gli elementi di conflittualità tra i commissari e tra le diverse anime scientifiche e culturali che differenziano tra loro, talvolta al loro interno, i settori scientifico disciplinari penalizzando molti candidati. In molti casi, la presenza del membro OCSE, che doveva essere una risorsa per l'internazionalizzazione dell'ASN e rappresentare una funzione di verifica “terza” da parte della comunità scientifica internazionale dell’operato delle commissioni nazionali - principio, quest’ultimo, che lascia comunque interdetti - è stato invece ulteriore elemento di confusione linguistica oltre che scientifica e culturale. Se questo principio appare in sé provinciale, la sua applicazione appare peraltro paradossale tenuto conto del fatto che molti dei cosiddetti membri OCSE sono italiani che lavorano all’estero, molte commissioni ne hanno comunque fatto a meno, in moltissimi casi proprio i membri OCSE appaiono avere profili scientifici molto distanti da quelli propri dei settori nei quali dovevano operare.

In generale, la persistente retorica dell’eccellenza, le incertezze sulla natura del peso da attribuire agli indicatori di produttività scientifica, la scarsa chiarezza sulle modalità di operato delle commissioni hanno resto tutto il processo abilitativo confuso, determinando comportamenti e scelte molto dissimili da commissione a commissione in relazione alle percentuali degli abilitati, al peso da attribuire agli indicatori e ai parametri, alla valutazione di merito dei prodotti o alla valutazione del profilo complessivo dei candidati. Se sono necessari margini di autonomia all’operato delle commissioni, è però necessario garantire anche una sostanziale omogeneità procedurale.

Per queste e altre ragioni crediamo sia urgente e necessaria una revisione delle procedure abilitative che devono essere fatte valere esclusivamente come verifica di un soddisfacente livello di qualificazione scientifica. Gli esiti di queste abilitazioni hanno come esito paradossale quello di valutare come inadatti a ricoprire il ruolo di professore universitario oltre la metà di coloro i quali, nei fatti, già ricoprono questo ruolo nei nostri atenei e che spesso svolgono attività didattica al di là dei propri compiti istituzionali obbligatori. Appare quindi decisamente strano il dato per cui a dispetto dei livelli di produttività e qualità scientifica media dei ricercatori del nostro paese, che ci collocano nei primi posti tra i paesi OCSE, e tra i primissimi in Europa, secondo le commissioni ASN ben più della metà dei nostri ricercatori non siano scientificamente qualificati per essere “professori di II” fascia.

La FLC CGIL presenterà a breve al Ministro Carrozza una serie di proposte di modifica dell’impianto dell’ASN per sanare i limiti più vistosi in vista di una più complessiva revisione e semplificazione delle procedure di reclutamento. E’ però necessario rimarcare come, anche alla luce dei risultati delle abilitazioni, non sia più tollerabile l’assenza di interventi mirati e specifici per garantire opportunità di reclutamento dei ricercatori più giovani o da tempo precari. Gli esiti delle abilitazioni, connessi ai limiti al turnover e ai tagli di bilancio, rischiano di congelare gli organici universitari permettendo solo quasi esclusivamente carriere interne.